Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 11:43:42
I recenti attacchi delle milizie Houthi alle navi merci che attraversano il Mar Rosso hanno comprensibilmente destato preoccupazione tra la stampa filo-saudita e filo-emiratina. Il quotidiano al-Sharq al-Awsat riconosce, da una parte, la necessità di agire prontamente per riportare la stabilità nella regione ma, dall’altra, giudica in maniera severa l’iniziativa militare degli americani, non fosse altro per gli scarsi risultati della politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente: «perché Washington deve guidare gli sforzi internazionali per affrontare gli Houthi? Senza voler mancar di rispetto, perché spetta a lei, in particolare all’amministrazione Biden» risolvere la situazione, soprattutto dopo che l’attuale presidente americano «si era affrettato, in una delle sue prime decisioni, a togliere gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali. Giorno dopo giorno, l’esperienza e la realtà provano che gli scenari di riconciliazione americani con l’Iran non funzionano, anzi producono in continuazione risultati controproducenti, incoraggiando arroganza e presunzione. Biden e la sua amministrazione credevano che scagionando gli Houthi dalle accuse di terrorismo avrebbero goduto della pronta condiscendenza iraniana […]. Sembra invece che l’Iran si prenda gioco di Washington ogni giorno da mattino a sera». L’emiratino al-‘Ayn al-Ikhbariyya critica la spregiudicatezza degli Houthi e invoca la linea dura: di fronte «all’Asse della Falsa Resistenza a guida iraniana, ci conviene riconoscere l’utilità delle politiche degli Stati della regione dotati di senno, guidati da Arabia Saudita, Emirati ed Egitto, in modo da evitare qualsiasi forma di violenza». Il filo-qatariota al-‘Arabi al-Jadid, invece, non critica gli attacchi degli Houthi e concede addirittura un’intervista a uno dei loro capi, Hizam al-Asad, che conferma il coordinamento, ma non la dipendenza, del suo movimento all’alleato iraniano.
Il déjà-vu delle elezioni provinciali in Iraq
Il risultato delle elezioni provinciali irachene è netto: ha vinto il Quadro di Coordinamento, ampia coalizione di partiti sciiti, che si è aggiudicata 101 seggi sui 285 totali. Uno scenario che sembra anticipare le intenzioni di voto delle elezioni parlamentari che si terranno l’anno prossimo. La notizia non è stata (ancora) trattata in maniera approfondita dalla stampa araba, anche se gli articoli finora pubblicati mostrano un atteggiamento piuttosto scettico. Al-Sharq al-Awsat nota come sia in aumento «l’indifferenza degli elettori», in particolare dei giovani che «sentono di non aver beneficiato dei vantaggi della mostruosa ricchezza petrolifera», per lo più «mal utilizzata» oppure «derubata». Anche la testata al-Hurra, con sede negli Stati Uniti, scrive che, nonostante queste siano le prime elezioni locali degli ultimi dieci anni, l’affluenza è stata piuttosto bassa e il voto delle urne ha riaffermato la forza dei movimenti iracheni alleati dell’Iran. Al-‘Arab tratteggia la campagna elettorale quasi con toni divertiti, facendo notare come tutti e tre i grandi blocchi (sunniti, sciiti e curdi), ricorrano alle ben note pratiche settarie per ottenere consensi e voti. Gli schieramenti iracheni sarebbero quindi indistinguibili se non fosse per i differenti colori e simboli. Anzi, in realtà, osserva ironicamente il quotidiano panarabo, l’ex primo ministro Nuri al-Maliki «bramoso di imitare tutto ciò che ha successo, colori inclusi, ha preso a prestito l’arancione del partito Taqaddum […]. Tutto quello che sta succedendo è un déjà-vu, è una vita che abbiamo già vissuto».
Nuova Repubblica, vecchio protagonista: l’Egitto di al-Sisi, parte terza
Fatta eccezione per i giornali egiziani – al-Ahram: «il popolo ha dimostrato al mondo intero che il cittadino, pur affamato, non si gira dall’altra parte e risponde alla chiamata» – la scontata vittoria del Capo dello Stato egiziano ‘Abd al-Fattah al-Sisi alle elezioni presidenziali è stata accolta con molta freddezza persino dai quotidiani panarabi più benevoli nei suoi confronti. Nel titolo dell’articolo dedicato a questo tema, al-‘Arab definisce il risultato del voto «privo di sorprese e di clamore», in parte dovuto a quanto sta accadendo in Palestina: «La guerra di Gaza è un albero immenso, la cui ombra ha oscurato il resto degli avvenimenti in Medio Oriente, soprattutto le elezioni in Egitto […]. Di fronte a una lista di candidati che erano perfetti sconosciuti e nel mezzo di una crisi regionale senza precedenti» era del tutto impensabile attendersi dei colpi di scena. Ma questo apparente stato di tranquillità che ha permeato la campagna elettorale è per il giornale del tutto illusoria, e la risposta non può essere una nuova stretta autoritaria sui mezzi di informazione: «la situazione non sembra idilliaca. Negare le mancanze e nascondere ai cittadini le difficoltà è soltanto uno dei metodi della grancassa mediatica che distrugge la fiducia degli egiziani nei confronti dello Stato, colpendo alle fondamenta le relazioni tra governati e governante. È il classico errore che si verifica nei sistemi di governo arabi, dove si nega il riconoscimento del “quarto potere” [la stampa] per il fatto che questo viene considerato uno strumento capace di sovvertire il regime». Cooptare i media nella propaganda, ridurli al silenzio o addirittura sopprimerli non è la soluzione, anzi occorre «concedere loro più libertà», fare in modo di creare uno «spazio in cui gli egiziani possano esprimere i loro bisogni e interessi». Se si intraprenderà questa via, allora il terzo mandato di al-Sisi potrebbe essere una «occasione d’oro» per correggere tutte le storture interne e gestire le crisi regionali che circondano l’Egitto. Scenario ancora più fosco quello tracciato dalla testata filo-qatariota al-Quds al-‘Arabi: nonostante il presidente abbia ottenuto quasi il 90% delle preferenze, il risultato delle elezioni è stato definito «opaco», per via delle gravi limitazioni imposte dal governo ai movimenti di opposizione. Senza contare le numerose sfide, dalla grave crisi socioeconomica interna a quella di Gaza e alla questione dei profughi. Del tutto catastrofica la visione di al-‘Arabi al-Jadid: la congiuntura negativa tra i problemi finanziari del Cairo e il conflitto israelo-palestinese potrebbero innescare una “tempesta perfetta”: la realizzazione di un «piano satanico» per lo «spostamento dei nostri fratelli da Gaza ai territori egiziani, in cambio di un prestito di molti miliardi di dollari» ad al-Sisi per far fronte alla crisi inflazionistica, garantendogli così un’«uscita di sicurezza».