Il numero di atlete saudite alle Olimpiadi di Rio 2016 è cresciuto nonostante la forte opposizione dei religiosi

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:52

Come i giornali arabi vedono le donne e lo sport Al-Ray al-Youm, 8 agosto 2016

Quest’anno quattro giovani donne saudite rappresentano l’Arabia Saudita ai giochi olimpici di Rio nella maratona, nel fioretto, nella corsa (100 metri) e nel judo (categoria 52 kg). Questa delegazione rappresenta certamente un progresso per lo sport femminile in Arabia Saudita e testimonia un aumento del 100 per cento del numero delle partecipanti rispetto ai giochi olimpici nel 2012, quando il Paese era rappresentato da due donne soltanto.

Questo “progresso” è impressionante se si considera che in Arabia Saudita ufficialmente non esistono palestre per donne né campi sportivi. La partecipazione delle donne alle competizioni internazionali costituisce inoltre un ulteriore salto di qualità se si pensa alla forte opposizione che incontra da parte delle correnti religiose. Secondo la fatwa emessa da Muhammad al-‘Arīfī, uno degli esponenti religiosi più in vista, “è vero che praticare sport è un diritto delle donne, ma se questo implica che la donna abbia a che fare con gli uomini, mostri la sua nudità, o che gli uomini la guardino mentre corre, cade, piange, ride, cavalca i cavalli o lotta, o la fotocamera la riprenda, senza dubbio tutto questo è proibito».

Nonostante questa fatwa, la famiglia reale saudita ha permesso alle donne di partecipare alle competizioni internazionali. Ciò è stato reso possibile grazie al sostegno di re Salman, che la settimana scorsa ha nominato la principessa Rima bint Bandar bin Sulayman a capo dell’appena istituita sezione femminile del ministero dello sport. Rima è figlia di un ex ambasciatore dell’Arabia Saudita a Washington e si è laureata alla George Town University specializzandosi nella gestione dei musei e delle antichità. Nel 2014 è comparsa nella lista diffusa da Forbes tra le 200 donne arabe più influenti nel mondo. Che cosa rende Rima meritevole di assumere l’incarico di capo della sezione dello sport femminile in Arabia Saudita? Innanzitutto la sua vicinanza alla famiglia reale. Ma è discutibile che la sua nomina sia da considerarsi alla luce dell’interesse delle donne per lo sport in un regno che non consente loro di guidare le automobili ed esercitare molte professioni, che impedisce loro di viaggiare all’estero senza il consenso del tutor maschio, e le obbliga a indossare il velo.

In Arabia Saudita le donne hanno cominciato a mostrare interesse per lo sport nel 1966, quando hanno avuto la possibilità di allenarsi nella palestra della prima scuola per ragazze. […] Vent’anni dopo è nata la squadra femminile di pallacanestro e due anni dopo è stato inaugurato il primo campo sportivo per donne. Durante quel periodo, gli ambiti dello sport femminile furono sottoposti allo stretto controllo degli uomini di religione, che consideravano negativamente non soltanto la pratica dello sport da parte delle donne, ma anche il fatto che queste ultime guardassero le competizioni sportive maschili.

Le fatwe emesse negli ultimi anni mettono in guardia dal guardare le gare sportive, il calcio soprattutto, perché “le divise degli uomini lasciano scoperte le gambe e non nascondono le loro nudità, ciò che può provocare eccitazione nelle donne”. E come se ciò non bastasse, “guardare il calcio e le gare sportive è uno spreco di tempo, e chi vuole distrarsi può farlo pregando o dedicandosi alla Chiamata (da‘wa)”. Tale divieto si applica soltanto alle donne, non agli uomini il cui tempo non è prezioso come sembra, e che non si eccitano alla vista di altri uomini. È stato il re Salman a favorire lo sviluppo dello sport. Uno degli obbiettivi di “Saudi Vision 2030” – il piano statale annunciato ad aprile per rendere l’economia saudita meno dipendente dalle rendite petrolifere, ndr - è per l’appunto aumentare il numero di chi si occupa di sport, portandolo dal 13 per cento per cento al 40 per cento. Ma non è specificato se le donne avranno finalmente accesso a palestre loro riservate.

L’Arabia Saudita compete con l’Iran nel porre limiti alle donne in ambito sportivo. L’Iran infatti non consente alle donne di prendere parte a competizioni sportive tra gli uomini. È vero che l’Iran ha mandato alle Olimpiadi un’atleta che ha promesso di vincere la medaglia d’oro. Ma quando le donne hanno chiesto di entrare allo stadio Azadi di Teheran per guardare la partita di pallacanestro, hanno scoperto che tutti i biglietti erano stati venduti. Il divieto di partecipazione delle donne alle gare avrebbe potuto impedire all’Iran di partecipare alle Olimpiadi, ed è la ragione per cui la televisione iraniana ha diffuso le immagini di un gruppetto di donne in una parte dello stadio. Ma non è chiaro se erano giocatrici oppure semplici spettatrici che sono riuscite a ottenere i biglietti. Sembra che l’Arabia Saudita e l’Iran continueranno a competere per conquistare il titolo di Stato più reazionario. Allo stato attuale, l’Iran sta perdendo la gara, non soltanto perché consente alle donne di guidare, ma anche perché permette loro di lavorare in molti più ambiti rispetto all’Arabia Saudita.

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