L’interesse del pensiero occidentale ha prodotto nel tempo una massa enorme di ricerche ed elaborazioni, spesso condizionate da approcci parziali

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Ultimo aggiornamento: 26/11/2024 17:06:58

Nella storia del pensiero occidentale, lo studio dell’Islam occupa un posto relativamente importante rispetto a quello delle altre religioni orientali; sono in molti a pensare che ciò sia dovuto al rapporto conflittuale di cui si sono nutriti e che tuttora mantengono l’Occidente e il mondo musulmano. Potremmo iniziare dunque con una rassegna delle motivazioni che hanno spinto a produrre una massa enorme di studi.

 

In primo luogo e da tempi lontani, c’è la “polemica”: studiare per meglio conoscere e combattere il nemico. Uno dei rappresentanti più noti di questo genere è stato Henri Lam­mens (1862-1937)[1]. Ai giorni nostri, questo filone è alimentato da Bruno Bonnet-Aymard, discepolo dell’Abbé Georges di Nantes che, valutandone uno scritto, dichiara: «Il suo lavoro scientifico ha portato un colpo mortale alla religione musulmana»[2]. Prima di lui, Hanna Zakarias (m. 1959) aveva cercato di dimostrare che l’Islam non era altro che un’impostura inventata di sana pianta da un ebionita della Mecca[3]. Gli esempi sarebbero numerosi, ma ci limitiamo a questi tre. La polemica ha per scopo di escludere ed eliminare, essa dunque distrugge il senso dello studio. L’apologetica, a essa apparentata, è un po’ meno violenta, ma i suoi propositi non sono migliori. Ludovico Marracci (1612-1700), che ben la rappresenta, traduce il Corano e cita i grandi commentatori musulmani al fine di spiegarne il testo. Il titolo del primo volume, Prodromus ad refutationem Alcorani, indica precisamente l’intenzione dell’autore: egli vuole dimostrare che il Corano ha torto, soprattutto quando nega i principali dogmi del Cristianesimo. La sua critica ha il merito di essere erudita e di fare ricorso diretto ai testi[4]; e tuttavia, ciò non toglie che l’apologetica miri alla valorizzazione di sé sminuendo l’altro. Essa, dunque, non può motivare un lavoro intellettuale degno di questo nome.

 

Vi è poi un’apologetica talmente specifica che merita di essere trattata a parte; si tratta del “tentativo riduzionista”. Alcuni membri del clero, in particolare orientale, ricorrono a questo sistema, che consiste nel dimostrare che il Corano altro non è che un intreccio di prestiti dalla Bibbia e dai Vangeli. Non avrebbe dunque una legittimità propria. Gli autori dimenticano così che tutte le culture e tutte le religioni hanno fatto lo stesso e che con materiali antichi si può costruire una struttura nuova. La riduzione può senz’altro essere una fase dello studio; tuttavia, per essere equilibrato, esso deve anche proporsi lo scopo di scoprire le novità specifiche elaborate a partire da innegabili prestiti.

 

Alcuni lavori elaborati dalla teologia cristiana sulle religioni non-cristiane peccano per un altro difetto, quello dell’“annessione”, per non dire tentativo di assimilazione. Spesso l’informazione in merito all’Islam sulla quale questi autori basano la loro elaborazio­ne teologica è modesta, a volte perfino inesat­ta o quanto meno approssimativa. Come potrebbe essere altrimenti, quando si constata che alcuni di loro passano dal Cristianesimo all’Islam, dopo aver toccato Buddismo, Confucianesimo, Taoismo e anche le religioni africane? Una tale estensione del campo di studi non può testimoniare che della superficialità del loro bricolage intellettuale. Ciò li porta a negare la specificità dell’oggetto trattato, affermando, come è il caso di Giulio Basetti Sani[5], che il loto del termine (sidrat al-Muntahâ), di cui si parla in Corano 53, 14-16, altro non è che la croce di Cristo; oppure, come affermano altri, che il buon musulmano è salvato inconsciamente grazie a Cristo. A una tale affermazione rispo­se seccamente un giorno l’iraniano Sayyed Nasr, ribattendo: «Cosa pensereste se io dicessi che voi, cristiani, siete salvati a vostra insaputa dalla grazia muhammadica?»[6]. Un tale genere di annessione, nei suoi due aspetti, può dunque rasentare la mancanza di rispetto e persino l’offesa.

 

Nella sua monografia su Muhammad[7], Maxime Rodinson (1915-2004), a partire da una lettura storico-sociologica, fornisce interessantissimi punti di vista sul personaggio studiato e sul suo ambiente: ciò è innegabile. Tuttavia, l’ottica marxista in cui si riconosce funge per lui da categoria a priori e da punto di vista talvolta parziale e discutibile. Egli è, perciò, un rappresentante tipico di quel che possiamo definire lo studio ideologico, che può cadere nell’anacronismo, poiché presuppone, in maniera dogmatica, che le società di tutti i tempi abbiano sempre funzionato nella stesso modo, laddove possiamo legittimamente esprimere dei dubbi sulla possibile analogia fra le società della Mecca e di Medina nel VII secolo e la società europea del XIX secolo analizzata da Marx.

 

Il grande orientalismo tedesco, inglese, francese, spagnolo, americano e italiano, per citare solo alcuni riferimenti, ha promosso e realizzato una straordinaria ricerca scientifica. Citiamo, ad esempio, l’immenso lavoro della Encyclopédie de l’Islam[8], che, malgrado imperfezioni e perfino errori, è uno strumento scientifico di prim’ordine. Ricordiamo inoltre lavori eccellenti, di una probità scientifica senza pari, quali gli Annali dell’Islam di Leone Caetani (1869-1935), la Geschichte der Arabischen Literatur di Carl Brockelmann (1868-1956) e il Lexique de la langue philosophique d’Ibn Sînâ di Amélie-Marie Goichon. Per l’approccio scientifico puro, l’Islam non rappresenta un oggetto specifico di studio o un caso particolare: va studiato come qualsiasi altra materia. Una delle regole dell’attitudine scientifica è la neutralità, il distacco e la distanza. Questo atteggiamento ideale non ha tuttavia impedito critiche severe da parte di numerosi musulmani[9]. ‘Abd al-Nabî Istîf, un contemporaneo, riconduce a tre posizioni l’atteggiamento dei musulmani nei confronti degli orientalisti: per alcuni, l’orientalismo è un’opera di demolizione dell’Islam condotta da agnostici o da missionari cristiani; per altri, gli orientalisti hanno reso un immenso servizio all’Islam, rivelando al mondo le grandi opere di questa civiltà; infine, per gli ultimi, l’orientalismo è una scienza che, come tutte le altre, ha le sue grandezze e i suoi limiti.

 

Attitudine Scientifica

 

Nella linea dell’attitudine scientifica c’è l’“immersione culturale” e sociale che consiste nel partecipare in profondità alla grande tradizione culturale e religiosa islamica, vivendo in mezzo ai musulmani, al fine di conoscere in modo diretto la loro visione del mondo e di provare la loro sensibilità. Una tale maniera di fare ha il merito di essere corretta ed efficace, ma, malgrado questo enorme vantaggio, essa risulta carente in rapporto alla precedente in fatto di distanza e distacco, pur neces­sari a mantenere la piena capacità di comprendere quel che si sta studiando.

 

Questo è stato il caso di Louis Massignon (1883-1962), ma talmente spinto agli estremi che si potrebbe parlare, per quel che lo riguarda, di “simpatia” con l’oggetto della ricerca. Massignon, uomo di vasta cultura e ricercatore ispirato, non si è accontento della vita intellettuale e culturale in ambiente musulmano, ma si è identificato in una certa misura con i musulmani, “mettendosi spiritualmente al posto di” coloro che frequentava e con i quali aveva stretto fortissimi vincoli di amicizia. Tale esperienza è all’origine del movimento della Badaliyya, da lui fondato, con Mary Kahil, al Cairo, nel 1934. Il pericolo di un tale atteggiamento è di mescolare il rigore della scienza con la soggettività delle scelte spirituali personali.

 

Vi sono altri approcci all’Islam che ci sembrano un po’ meno seri; intendiamo, in particolare, l’avventura estetica o esotica dei grandi viaggiatori del XVIII e XIX secolo, quali ad esempio Gérard de Nerval e Pierre Loti, che si avvicinarono a questo mondo solo per nutrire la propria arte e “quella strana nostalgia” che portavano in sé, in un’epoca in cui gli effluvi del romanticismo e il lezzo del nichilismo pervadevano l’aria normalmente respirata in Europa; ciò che diede, tra l’altro, come prodotto artificiosamente raffinato, gli Orientales di Victor Hugo. È inutile indugiare in critiche su questo mezzo di servirsi dell’apparenza degli altri per alimentare inclinazioni personali più o meno morbose. Si potrebbe peraltro ricordare la ben nota eccezione di Lady Lucie Duff-Gordon, che soggiornando al Cairo e a Luxor per curare la tisi, diede prova di una capacità di armonia, di apprendimento, di conoscenza e comprensione senza pari dell’ambiente musulmano che la ospitò, come testimonia la sua corrispondenza[10].

 

René Guénon (1886-1951) è l’esempio per eccellenza di chi affronta lo studio dell’Islam da un angolo particolarissimo e forse di mino­re importanza, cioè l’esoterismo. Assolutiz­zan­do il dettaglio, egli ne deforma la conoscenza e falsa la prospettiva sull’insieme. Iniziato, al Cairo, alla gnostica esoterica di un certo Islam da ‘Abd al-Hâdî, Guénon prenderà il nome di ‘Abd al-Wâhid Yahyâ e, più tardi, ne La méta­physique orientale (Parigi 1939), ripor­terà i risultati delle sue sintesi che sono, in parte, conseguenza della partecipazione all’ordine del Tempio Rinnovato, alla Massoneria, al proget­to di una restaurazione della Chiesa gnostica, per non parlare della sua fre­quentazione di ambienti indù. Guénon sarà anche indirettamente uno degli ispiratori del surrealismo di André Breton, il che non è poco. Benché partecipasse a un ambiente analogo, non possiamo dire la stessa cosa di Henri Corbin (1903-1978), che si è imposto per la seria formazione intellettuale e che ha applicato rigorosamente il metodo scientifico alla conoscenza della gnosi sciita iraniana. La sua dh riflette i larghi orizzonti che inquadrano l’oggetto specifico della sua ricerca assicurandone la legittimità.

 

Terminiamo infine questa panoramica con la motivazione più vitale per lo studio dell’Islam, e cioè la conversione. Quest’ultima è da intendersi nei due sensi: quella che va verso l’Islam, ed è il caso di Maurice Glotton e di Alessandro Bausani[11], ad esempio; e quella che fa uscire dall’Islam per andare verso il Cristianesimo, ed è il caso recentissimo di Magdi Allam. La prima è il risultato di uno studio e di un avvicinamento che sfociano in una valutazione positiva e attraente dell’Islam, mentre la seconda si situa agli antipodi. In questi casi, però, usciamo dal quadro propriamente detto dello studio e della vita intellettuale, per entrare in quello della scelta spirituale e personale.

 

Formazione Superficiale

 

Esaurita questa rassegna, troppo sommaria per essere puntuale ed esaustiva, vorremmo esporre alcune constatazioni particolari, che sono il frutto di vari anni di ricerca e di insegnamento presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica di Roma.

 

Anzitutto, siamo testimoni che tutti coloro che arrivano da noi con l’idea di studiare per provare una qualunque tesi e che perseverano in quest’ottica, non acquisiscono altro che una preparazione mediocre e di parte. È in particolare il caso di un significativo numero di ecclesiastici che, dopo aver completato uno o due anni di studi, si dedicano allo studio comparato fra Cristianesimo e Islam. Non mettiamo in dubbio che i loro studi di teologia cattolica si fondino su basi solide, ma dobbiamo constatare che la loro formazione nel campo dell’islamistica lascia ancora molto a desiderare. Dunque che cosa potrebbero comparare, se ignorano la metà di quello di cui parlano? Essi dissertano sulla “visione cristiana” o sul “discernimento cristiano dell’Islam”, ciò che spesso si riconduce a un giudizio ideologico intellettualmente scorretto. Se invece pazientassero e persistessero nell’approfondimento delle loro conoscenze, si renderebbero conto che quanto costituisce l’essenza delle due religioni non è comparabile, poiché da una parte abbiamo a che fare con una gnosi, nel senso elevato del termine, ­l’Islam e, dall’altra con una soteriologia, il Cristianesimo. Il grande nemico dello studio e della ricerca in generale, e in questo campo in particolare, è lo zelo intempestivo che scaturisce dall’infatuazione o dal risentimento e che non sfocerà altro che nel cercare ciò che a priori si vuol trovare. Come per tutte le materie, lo studio dell’Islam presuppone dunque disponibilità, disinteresse e gratuità.

 

Coerenze Interne

 

Invece di smarrirsi in un azzardato comparativismo, si consiglierà piuttosto agli studenti di ricercare una comprensione acuta delle coerenze interne dell’Islam. Numerosi sono quelli che istintivamente provano riluttanza a comprendere il funzionamento interno di un sistema loro estraneo come l’Islam, tanto che non possono fare a meno di ricorrere al proprio modello personale per emettere un po’ frettolosamente giudizi di valore autoreferenziali. Ad esempio, prima di dire senza riguardi che il rifiuto della crocifissione di Cristo nel Corano è un errore storico, sarebbe bene comprendere che la struttura stessa di tutti i racconti profetici ivi riportati comporta come ultimo elemento il fatto che Dio non abbandona mai il suo profeta; così che il caso di Cristo non può fare eccezione. O ancora, invece di dichiarare indignati che la “protezione” (dhimma) accordata ai non musulmani all’interno della comunità islamica è un attacco ai diritti dell’uomo e una flagrante ingiustizia, sarebbe più corretto comprendere che storicamente si tratta di un concreto e realistico farsi carico di un elemento estraneo da parte del gruppo maggioritario, attribuendogli, ancorché in forma limitata, uno statuto giuridico e un riconoscimento legale. È questa una cosa che poche altre comunità hanno saputo fare nel passato e hanno difficoltà a realizzare ancora oggi; basti pensare al diritto elementare di avere un luogo di culto in taluni Paesi europei oltre alla chiesa o al tempio. Ultimo esempio: quando lo studente avrà compreso che la vita spirituale, anche mistica, che procede per elevazione progressiva verso le più alte sfere della contemplazione non ha per il musulmano alcun valore se non è seguita dalla ridiscesa verso la gente comune e la banalità del quotidiano per assumerne i doveri più elementari, non si meraviglierà che nell’Islam lo spirituale sia legato al temporale e la religione allo stato; ciò che il suo modello cristiano attuale difficilmente può fargli immaginare, benché nel corso della storia non sia stato sempre così. Dunque, un buon progetto di studio sull’Islam presuppone a priori l’attitudine mentale di far posto alla differenza, pena l’incapacità di scoprire le coerenze fondanti l’alterità.

 

Terza constatazione: lo studio dell’Islam è fecondo se si serve delle opere degli orientalisti occidentali come delle stampelle necessarie a sostenere il malfermo passo degli inizi, ma che si abbandoneranno appena possibile per ricorrere direttamente alle fonti dell’Islam. Ciò presuppone la conoscenza seria della lingua araba, poiché le traduzioni, per quanto utili siano, non sono che interpretazioni. In particolare, è assolutamente impossibile comprendere l’essenza del Corano e valutarne forma e struttura se non nella lingua originaria. Questo vale per le fonti scritte, ma c’è un altro genere di fonti, i musulmani di oggi. Non si può portare felicemente a termine lo studio dell’Islam senza un adeguato soggiorno in una comunità musulmana o quanto meno un’assidua frequentazione di musulmani stabiliti in Europa. È la familiarità con queste due fonti la reale base di uno studio dell’Islam che miri a un minimo di correttezza intellettuale.

 

Infine è molto pregiudizievole trascurare, col pretesto dell’attualità e dell’efficacia, l’acquisizione di una conoscenza solida della storia e della cultura dell’Islam delle origini e dell’epoca classica, per interessarsi solo agli aspetti sociologici e geo-politici dell’Islam contemporaneo. Siamo attualmente sommersi da un’informazione superficiale, approssimativa, e perfino falsa, quando si occupa delle realtà del mondo musulmano, poiché essa tratta questo argomento mettendolo sullo stesso piano delle corse dei cavalli, del problema della spazzatura o del prezzo del petrolio. La maggior parte dei giornalisti non si sono mai recati sul posto per vedere cosa accade, se non di passaggio, per il tempo di un servizio-lampo, e hanno una cultura islamistica “wikipedia”. Inoltre, il loro obiettivo sono solo le realtà calde, conflittuali e violente di un mondo che come gli altri racchiude una ricchezza umana, culturale e religiosa gigantesca.

 

 

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[1] B. Bonnet-Aymard, Le Coran, traduction et commentaire systématique. T. II. Sourate III : Le Dieu des délivrances,CRC, 1990.
[2] Un solo esempio della sua abbondante produzione: Fâtima et les filles de Mahomet, Istituto biblico, Roma 1912. Si tratta di note critiche per lo studio della biografia di Muhammad.
[3] Hanna Zakarias, L’Islam, entreprise juive, Ed. Chez l’auteur, Cahors 1995, vol I, 53 ss.; L’Islam et la critique historique, s.é., Cahors 1960, 13 ss.
[4] Fra gli studi più recenti su Marracci vi è quello di M. Rizzi, Le prime traduzioni del Corano in Italia: contesto storico e attitudine dei traduttori, Torino 2007. Si tratta della pubblicazione della tesi di licenza sostenuta al PISAI (Roma) nel 2006.
[5] Christianity Through Non-Christian Eyes, Orbis Books, New York 1990, 126-134; e Islamic-Christian Dialogue - Problems and Obstacles To Be Pondered and Overcome, «The Muslim World», Vol. LXXXVIII-3/4 (1998), 218-237.
[6] Giulio Basetti Sani, L’Islam nel piano della salvezza, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (FI) 1992, 86.
[7] Per un approfondimento vedi: Sayyed Nasr, Islamic View of Christianity, in: Paul J. Griffiths (Ed.), Maxime Rodinson, Maometto, Einaudi, Torino 1973.
[8] La seconda edizione è iniziata nel 1960 (Leiden, Brill) ed è terminata nel 2005; l’Encyclopédie conta 11 volumi oltre ai Suppléments che continuano a essere regolarmente pubblicati, sia in francese che in inglese.
[9] Per una documentazione abbondante su tale soggetto, cfr. J.D.J. Waardenburg, «Mustashrikûn»,
art. in Encyclopédie de l’Islam, VII, 736-754 e al-Mustashriqûn, textes arabes sur l’Orientalisme,in «Études Arabes», n. 83, Roma (PISAI), 1992/2, pp. 138; i testi arabi sono accompagnati da una traduzione francese, da una presentazione e da note esplicative.
[10] La traduzione francese è stata pubblicata con il titolo di Lettres d’Egypte 1862-1869, Petite Bibliothèque Payot, Paris 2002. Cfr. il testo inglese, in versione elettronica, nel sito: http://www.gutenberg.org/etext/17816
[11] Bausani tuttavia aderì infine ai Bahâ’î.
 

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