Un’irachena testimonia come i giovani di Baghdad hanno celebrato la Festa liturgica dell’esaltazione della Croce, tra solidarietà per i fratelli profughi, paura per l’avanzata di Isis e la speranza della fede.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:42
In un tempo che rafforza una cultura di guerra e ripone la propria fiducia nella violenza militare e nelle tendenze religiose militanti come mezzi per risolvere i conflitti sociali e politici, la celebrazione dell’esaltazione della Santa Croce torna di nuovo a confermare il potere dell’amore del Crocifisso sul potere della morte. Per la mentalità del mondo, è illogico esaltare la croce come cammino verso una vita nuova e passaggio al cielo e alla libertà, dal momento che essa è per molti un simbolo di dolore e vergogna; e tuttavia «Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,23-25).
Con tale forza nei loro cuori, i cristiani iracheni hanno celebrato la festa della Santa Croce in oltre quattordici chiese a Baghdad domenica 14 settembre, in un momento in cui avvertono realmente tutto il peso della croce che stanno portando. I cristiani di Baghdad, specialmente i giovani, hanno gioito per questa festa santa, consapevoli del fatto che ciascuno ha la propria croce oltre a quelle collettive. Quale significato convincente può avere per noi questa celebrazione mentre la nostra gente al Nord sta soffrendo, sfollata e privata di tutti i suoi averi e della vita dai militanti dello Stato Islamico!? Può esistere qualcosa di più terribile di questo? Che cosa c’è di peggio che discriminare e perseguitare civili innocenti sulla base della loro fede per grande gioco politico e regionale? Ma lo Spirito Santo ci ricorda che nessun discepolo è migliore del suo maestro e questa consapevolezza ci porta a nutrire un desiderio più profondo di giustizia e pace.
Ciò che è causa di tanta angoscia per i cristiani e le altre minoranze in Iraq, per i fedeli rimasti a Baghdad sta divenendo una provocazione a vivere la loro vita quotidiana con gioia nonostante il dolore. Anche se molti cristiani sono in fuga dalla loro terra, altri sembrano avere la volontà di andare avanti nell’affrontare le calamità, guidati da un amore sempre più intenso per il Crocifisso. Non importa quanta paura abbiano del futuro: il Suo sacrificio d’amore sulla croce è sufficiente a ricordare ai cristiani il glorioso epilogo, la Sua risurrezione.
I tempi duri, non c’è da stupirsi, ci hanno spinto a unirci per riflettere sulle difficoltà che affrontano i nostri profughi, incoraggiando noi e la Chiesa ad «assumere nuovi impegni di solidarietà, comunione ed evangelizzazione», come evidenzia Papa Francesco. È diventato molto importante per la Chiesa illuminare il suo popolo sul significato della fede di fronte a una cultura di guerra, morte, paura e a certe tendenze religiose, soprattutto quelle strumentalizzate impropriamente dalla politica e dal potere. Come vergine consacrata che vive in quest’atmosfera e responsabile dei giovani della Cattedrale latina di San Giuseppe vedo ancora negli occhi delle giovani generazioni una scintilla in cerca di un domani; vedo i loro sogni che sono poi quelli di poter vivere la loro vita in pace e sicurezza, con il desiderio di essere rassicurati che il nuovo giorno porterà un raggio di speranza. Credo che i cuori dei nostri giovani cristiani continueranno ad ardere d’amore per il loro Paese e il loro Redentore, il Dio d’amore che è venuto a portare loro una vita migliore e appagante. «L’amore di Dio è così grande che ci salva identificandosi nella Croce. Il Santo Padre dice: non puoi capire Gesù Cristo, il redentore, senza la Croce». Forti di tale credo, noi preghiamo Dio di continuare a dare testimonianza della nostra fede nonostante tutte le sfide e i pericoli che vogliono estinguere la fiamma della vita.
Anan Alkass Yousif, Ph.D. Docente presso il Dipartimento d’Inglese – Facoltà umanistica, Università di Baghdad
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