L’incontro con i musulmani è stato uno dei temi forti del pontificato che si è appena concluso. Una scelta che ha la sua radice nel Concilio Vaticano II, e che Francesco ha declinato secondo un suo personalissimo tratto umano
Ultimo aggiornamento: 23/04/2025 15:41:22
Vista l’eccezionalità dell’evento proponiamo una riflessione sul pontificato di francesco e una speciale rassegna.
Quando Jorge Mario Bergoglio, primo latino-americano della storia, è stato eletto al soglio di Pietro, non era scontato che il dialogo con i musulmani sarebbe stato una sua priorità. Molto presto, però, si è capito che proprio questo sarebbe diventato uno dei temi forti del suo pontificato. Già l’Evangelii Gaudium, documento programmatico pubblicato pochi mesi dopo l’elezione, conteneva due paragrafi, il 252 e il 253, dedicati all’Islam. Notoriamente attento alle periferie, Francesco ha poi scelto quale destinazione del suo primo viaggio in Europa l’Albania, Paese cerniera tra Oriente e Occidente e laboratorio di convivenza interreligiosa. Intanto, l’ascesa dell’organizzazione dello Stato Islamico stava rendendo ancora più urgente il confronto con il mondo musulmano. Come già aveva fatto Giovanni Paolo II dopo gli attentati dell’11 Settembre, Francesco ha rifiutato la duplice sovrapposizione tra Cristianesimo e Occidente da un lato e tra Islam e jihadismo dall’altro, impedendo così di fornire una legittimazione cattolica a chi tentava di presentare la lotta contro il terrorismo come uno scontro di civiltà.
È in questo quadro che, dopo cinque anni di crisi diplomatica tra la Santa Sede e la moschea-università di al-Azhar, nel 2016 il Papa argentino ha incontrato in Vaticano il Grande Imam dell’importante istituzione cairota Ahmad al-Tayyeb, prima tappa di un percorso che tre anni più tardi avrebbe portato alla firma del documento sulla Fratellanza umana ad Abu Dhabi, a sua volta preludio dell’enciclica Fratelli Tutti. Benché sia innegabilmente questo il punto culminante del suo incontro con i musulmani, tutto il pontificato di Francesco è costellato di momenti che anche nei prossimi anni andranno ricordati e ripresi. Nel 2017, al Cairo, Francesco ha condensato in una felice formula – «il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni» – l’atteggiamento più adeguato per vivere il dialogo evitando allo stesso tempo chiusure e sincretismi. Nel 2019, durante la sua visita in Marocco, incontrando i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio ecumenico delle Chiese alla Cattedrale di Rabat, il Papa argentino ha delineato in un bellissimo discorso il nesso inscindibile tra dialogo e missione. Due anni dopo, quando ancora non si era conclusa la pandemia di Covid-19, e in condizioni di sicurezza tutt’altro che ottimali, Francesco non ha rinunciato a recarsi in Iraq, Paese martoriato da guerre, conflitti confessionali e malgoverno. In quell’occasione, l’incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani ha allargato al mondo sciita il percorso iniziato con il grande imam al-Tayyeb, tracciando così un sorprendente triangolo del dialogo interreligioso e interconfessionale tra Chiesa cattolica, musulmani sunniti e musulmani sciiti.
Durante il pontificato di Francesco, il dialogo con l’Islam è andato di pari passo con l’attenzione per la testimonianza di fede delle comunità cristiane che vivono, spesso in condizioni precarie, nei Paesi a maggioranza musulmana. Soprattutto nella tragica stagione del terrorismo jihadista, Papa Bergoglio ha evocato in più di un’occasione il valore dell’“ecumenismo del sangue”, un richiamo che nel 2023 ha avuto una traduzione pratica con l’inclusione nel martirologio romano dei 21 copti uccisi dall’ISIS nel 2015 in Libia.
Il suo contributo alla concordia interreligiosa, l’impegno costante per migranti e rifugiati e un’azione a favore della pace che precede lo scoppio della guerra in Ucraina e di quella a Gaza hanno reso Francesco una personalità molto apprezzata anche dai non-cattolici e dai non-cristiani, come testimoniano i tanti attestati di stima che in questi giorni gli sono giunti da ogni latitudine.
Il suo pontificato si chiude nello stesso anno in cui ricorre il sessantesimo anniversario della Nostra Aetate, la Dichiarazione conciliare che ha segnato una svolta nel dialogo della Chiesa cattolica con le religioni non-cristiane, e quindi anche con l’Islam. Francesco ne è stato un interprete appassionato. In alcuni casi, la potenza dei suoi gesti e il suo carisma personale hanno colmato distanze che in altre condizioni avrebbero forse richiesto un lavoro più lungo e paziente. Convinto che «una Chiesa incidentata» sia meglio di una Chiesa «ripiegata su sé stessa», non si è lasciato intimorire delle incomprensioni che le sue iniziative avrebbero potuto generare.
Nel 2005, Benedetto XVI aveva dichiarato che «il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro». Francesco ha fatto sua questa posizione, declinandola secondo un suo personalissimo tratto umano. Non è detto che questo tratto sia ripetibile. Lo è certamente l’opzione di fondo, che appartiene al patrimonio della Chiesa e potrà essere non solo confermata, ma anche approfondita secondo lo stile proprio dei prossimi successori di Pietro.
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