Nel Paese nordafricano si torna a discutere di parità tra uomo e donna. Le associazioni femminili chiedono la fine delle discriminazioni in materia di eredità e tutela dei figli. Il re sembra voler accogliere queste istanze, ma gli islamisti si oppongono
Ultimo aggiornamento: 21/08/2024 09:26:54
In Marocco, negli ultimi mesi si è tornati a discutere di riforma della Mudawwana, il Codice che regola il diritto di famiglia. Istituita da re Mohammad V nel 1958, la Mudawwana nei decenni è stata sottoposta a revisione due volte, nel 1993 e poi nel 2004. Proprio la riforma del 2004 aveva introdotto importanti cambiamenti, come la limitazione della poligamia, suscitando un intenso dibattito nel Paese. Aveva però lasciato immutate alcune norme, di cui ora le associazioni femministe marocchine e, più in generale, i difensori dei diritti delle donne chiedono il superamento. Il re (fautore, peraltro, della riforma precedente) si è fatto interprete di questi appelli e lo scorso settembre ha incaricato il capo del governo Aziz Akhannouch di avviare il processo di revisione del Codice. Tale processo prevede una serie di consultazioni preliminari con il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile marocchina, di alcune ONG, di studiosi ed esperti di diritto e dei partiti politici. Le proposte di emendamento dovranno essere presentate entro le prossime settimane per consentire al governo di elaborare il progetto di legge da sottoporre al voto del parlamento.
L’obbiettivo della nuova riforma è conformare il Codice all’evoluzione della società marocchina e garantire la coerenza tra la Mudawwana, la Costituzione marocchina e le convenzioni internazionali firmate negli anni dal Regno (per esempio, la Convenzione sui diritti del fanciullo e la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, nota con l’acronimo CEDAW). Diverse disposizioni presenti nel Codice, infatti, si basano sui principi della giurisprudenza islamica malikita, la dottrina giuridica ufficiale del Marocco, e contraddicono il principio dell’uguaglianza tra l’uomo e la donna previsto dalla Costituzione marocchina e dalle convenzioni internazionali sottoscritte dal Paese nordafricano. La difficoltà, perciò, sarà trovare un compromesso tra valori islamici e diritto positivo. Su questo punto la monarchia aveva già lasciato intendere quale fosse il suo orientamento. Nel discorso pronunciato il 30 luglio 2022 in occasione del 23esimo anniversario della festa del Trono, Muhammad VI aveva auspicato una riforma del Codice della Famiglia, tracciando fin da subito le linee guida che avrebbero dovuto guidarne il percorso: «Noi desideriamo che la revisione avvenga nel quadro delle finalità della sharī‘a e delle specificità della società marocchina, si fondi sulle virtù della moderazione, dello sforzo d’interpretazione aperto, della consultazione e del dialogo, e con il coinvolgimento di tutte le istituzioni». Mohammad VI aveva anche insistito sulla necessità di preservare le norme previste dal Corano, sul rispetto delle quali è chiamato a vigilare in qualità di Comandante dei Credenti (Amīr al-mu’minīn) – titolo impiegato dai musulmani per designare i primi successori di Muhammad e di cui storicamente si fregia il re del Marocco: «Non posso autorizzare ciò che Dio ha proibito, né proibire ciò che l’Altissimo ha reso lecito, in particolare gli aspetti sui quali il testo coranico è chiaro», ha dichiarato il re nel suo discorso, facendo evidentemente riferimento ad alcune questioni sulle quali i Testi sacri sono dirimenti.
Quali riforme?
Una delle principali questioni al vaglio della commissione preposta alla riforma è il diritto successorio. Il testo coranico stabilisce in maniera esplicita le quote ereditarie, attribuendo alle donne la metà di quelle cui hanno diritto gli uomini (Cor. 4,11-12). L’attuale Codice della Famiglia marocchino applica questa norma, con una conseguente disparità di trattamento tra i due sessi. Essendo fondato su un’evidenza coranica, il diritto successorio è molto difficile da riformare, e resta uno dei temi principali su cui da anni le femministe marocchine si battono. Analogamente, la Mudawwana vieta ai non musulmani di ereditare dai musulmani (e viceversa), anche se si tratta dei discendenti o del congiunto.
La questione dell’eredità per le donne tocca gran parte degli Stati musulmani. Un dibattito simile a quello attualmente in corso in Marocco è avvenuto in Tunisia, un altro Paese in cui sono tradizionalmente molto attive le associazioni femministe. Anche in Tunisia il Codice dello Statuto Personale emanato nel 1956 da Habib Bourguiba aveva introdotto significativi cambiamenti nel diritto di famiglia, ma non aveva modificato il diritto successorio fondato sulla giurisprudenza islamica. Nel 2017, l’allora presidente Béji Caid Essebsi aveva sollevato il tema della contraddizione tra queste norme e la Costituzione del 2014 e le convenzioni internazionali sottoscritte dal Paese, avanzando una proposta di legge che avrebbe dovuto garantire pari diritti ai due sessi. La proposta, però, si è arenata in Parlamento, e il dibattito sulla riforma dell’eredità è stato interrotto definitivamente dal nuovo presidente Kais Saied, che si è opposto al progetto proprio sulla base del testo coranico.
In Marocco, un altro tema spinoso su cui la commissione è chiamata a esprimersi riguarda i matrimoni di minori, ancora ampiamente praticati benché già proibiti dal Codice del 2004. L’articolo 19 del testo fissa a 18 anni l’età del matrimonio per le ragazze e i ragazzi, ma al contempo l’articolo 20 consente al giudice di derogare a questa norma, senza però stabilire esattamente le circostanze che consentono la dispensa e lasciando quindi ampia discrezionalità al giudice. A questo vuoto legislativo si aggiunge la possibilità, riconosciuta ai giudici dall’articolo 16, di equiparare i matrimoni consuetudinari, suggellati dalla semplice lettura di una sura coranica, a quelli celebrati secondo le forme stabilite dalla Mudawwana. Ne è conseguita una proliferazione di matrimoni di minori – nel 2018 sono stati oltre 40.000 – e della poligamia, ampiamente praticata nei contesti rurali, nonostante il Codice del 2004 avesse cercato di limitarla.
Il testo del 2004 inoltre riconosceva alle donne il diritto di chiedere il divorzio e di scegliere liberamente il proprio marito senza dipendere dall’autorizzazione di un tutore, aboliva il dovere di obbedienza al marito, poneva la famiglia sotto la responsabilità congiunta dei due coniugi, e prevedeva la creazione di tribunali secolari incaricati di dirimere le questioni famigliari, in precedenza prese in carico dagli adoul, i notai incaricati di redigere atti legali nell’ambito della legge religiosa.
Nonostante queste modifiche, alcuni aspetti dell’attuale codice rimangono problematici per la parità tra uomo e donna. L’articolo 39 vieta per esempio alle donne musulmane di sposare un uomo non musulmano, mentre l’articolo 65 stipula che una musulmana che voglia sposare un convertito all’islam debba comunque chiedere l’autorizzazione alla Corte d’appello.
Inoltre, la corresponsabilità dei coniugi nella gestione della famiglia non è mai stata tradotta in norme esecutive, così come la tutela legale congiunta dei figli, che è rimasta una prerogativa esclusiva del padre. Oggi, in caso di divorzio, la custodia del figlio è conferita alla madre, mentre la tutela legale è conferita automaticamente al padre (art. 163), con tutti i problemi che questo genera per i figli e per le madri, che devono avere l’autorizzazione degli ex mariti per iscrivere i bambini a scuola, ricoverarli in ospedale, o fare loro un passaporto. Peraltro, in caso di seconde nozze, attualmente la madre perde il diritto alla custodia del figlio da quando quest’ultimo compie sette anni (art. 175). Tale norma contrasta però con l’articolo 19 della Costituzione marocchina, secondo cui «l’uomo e la donna godono degli stessi diritti e libertà civili, politiche, economiche, sociali, culturali e ambientali». Le disposizioni relative alla potestà genitoriale e ai diritti dei bambini contrastano anche con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, firmata dal Marocco nel 1993. Inoltre, i tribunali secolari creati a seguito della riforma del 2004 per dirimere i conflitti familiari continuano ad applicare i sistemi della vecchia scuola, concedendo troppo spesso deroghe al Codice, oltre all’alto grado di discrezionalità che vige tra i giudici chiamati a dirimere le controversie. Tale discrezionalità trova fondamento nell’articolo 400 della Mudawwana, che rimanda «alle prescrizioni del rito malikita e/o alle conclusioni a cui giunge lo sforzo d’interpretazione giurisprudenziale (ijtihād) per tutto ciò che non è espressamente enunciato nel Codice».
Sulla carta, la riforma del 2004 ha apportato diversi miglioramenti alla posizione della donna nella società marocchina, ma alla prova dei fatti non ha saputo garantire pienamente l’uguaglianza tra i sessi, per quanto questo fosse uno degli obbiettivi conclamati del nuovo codice. Il nodo non è soltanto di natura sociale o giuridica. La persistente “visione ineguale dell’uguaglianza”, per usare le parole della femminista marocchina Nouzha Guessous, trova infatti fondamento nella qiwāma, la superiorità dell’uomo sulla donna ricavata da un versetto del Corano – «gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle (4,34)». Tradizionalmente, questo passo coranico è stato interpretato come l’affermazione del primato e della tutela (wilāya) maschile all’interno della famiglia, ma oggi questa lettura viene contestata dalle femministe musulmane marocchine, la più nota delle quali a livello internazionale è probabilmente Asma Lamrabet. Partendo dall’assunto che il problema non sia il Corano in sé stesso ma la sua interpretazione, esse propongono nuove letture del versetto in questione. Nella fattispecie, sostengono che qiwāma e wilāya non siano concetti coranici (anche perché il termine qiwāma, come tale, non compare nel Corano), ma costrutti giuridici divenuti elementi costitutivi della tradizione giuridica islamica. Questi costrutti avrebbero resistito al tempo perché funzionali a sostenere una visione patriarcale della società.
Ai limiti della lettera del testo coranico, si è aggiunta la difficoltà di applicazione della Mudawwana, che si è spesso scontrata con un deficit di comunicazione in particolare nelle campagne e nelle zone più remote del Paese, i cui abitanti raramente sono a conoscenza dei diritti che la legge garantisce loro e perciò non ne chiedono l’applicazione.
Gli islamisti insorgono
Nei vent’anni trascorsi dall’ultima riforma, il Codice ha dato prova di tutti i suoi limiti, ambiguità e contraddizioni. L’annuncio della nuova riforma lo scorso settembre, tuttavia, non ha trovato tutti d’accordo e ha suscitato un grande dibattito tra i conservatori e i riformisti. I primi ritengono che l’islam offra già sufficienti garanzie per le donne e ammettono il principio di una riforma solo se questa è elaborata dagli ulema, gli unici autorizzati a compiere l’ijtihād, l’interpretazione dei Testi sacri, sotto la guida del Comandante dei Credenti. I progressisti invece auspicano una revisione del testo che consenta alla società marocchina di stare al passo con i tempi, e si appellano allo spirito di apertura e alla moderazione che caratterizza la tradizione malikita. Per le forze progressiste, inoltre, la Mudawwana è sì ispirata alla sharī‘a, ma rimane un prodotto umano, passibile perciò di revisione.
Sono in particolare gli islamisti a opporsi alla revisione del Codice, ritenendo il diritto di famiglia l’ultimo bastione della tradizione e dei valori islamici. A febbraio 2023, qualche mese dopo il discorso del Trono e prima dell’annuncio ufficiale della riforma, il partito islamista marocchino Giustizia e Sviluppo (PJD) ha diffuso un comunicato firmato dal Segretario generale Abdelilah Benkirane che condannava gli appelli alla parità uomo e donna nell’eredità in quanto contrari al Corano, e ricordava che l’islam non ammette interpretazioni in contrasto con quanto esplicitamente stabilito dal Testo Sacro. Il comunicato definiva inoltre gli appelli alla riforma «estranei alle convinzioni e alle aspettative reali della società musulmana marocchina», vedendovi «un passo pericoloso che mette a rischio il sistema della famiglia marocchina e la stabilità nazionale». Il punto tre della dichiarazione collegava il dibattito sulla riforma «all’attuazione di un’agenda straniera» in violazione della sovranità nazionale. L’obbiettivo non dichiarato di questi dibattiti, continuava al punto 4, è «violare la sacralità del Testo coranico e distruggere il primato della sharī‘a». Il testo chiudeva con un appello rivolto alle istituzioni nazionali impegnate nel dibattito a realizzare una riforma coerente con l’identità e i valori islamici nazionali.
Nei giri di consultazioni che si sono tenuti lo scorso autunno in vista della riforma, il PJD è in effetti il partito che ha adottato la linea più conservatrice. Nella fattispecie, ha chiesto di mantenere invariate le norme che regolano l’eredità, la custodia e la tutela legale dei figli, il divieto di matrimonio tra una musulmana e un non musulmano, e l’articolo 400, mentre ha proposto di fissare a 15 anni l’età minima per i matrimoni di minori e di facilitare la pratica della poligamia. Altri partiti, soprattutto quelli di sinistra, come il Partito del Progresso e del Socialismo (PPS), l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP) e l’Alleanza della Federazione di Sinistra (FGD), hanno invece avanzato proposte molto più coraggiose e in rottura con la Mudawwana del 2004, chiedendo per esempio la concessione della custodia dei figli alla madre anche in caso di seconde nozze, la co-tutela legale dei figli durante il matrimonio e anche in caso di divorzio, il divieto dei matrimoni di minori e della poligamia, l’eliminazione dell’articolo 400, la possibilità di effettuare il test del DNA per provare la paternità in caso di bambini nati al di fuori del matrimonio, la possibilità di stipulare matrimoni tra persone di fedi diverse. Sulla questione dell’eredità le posizioni tra questi partiti presentano alcune piccole differenze, ma la linea generale è dare la possibilità a tutti di ereditare tramite testamento.
Oggi le associazioni femministe e le istituzioni impegnate nella difesa dei diritti delle donne concordano sulla necessità di compiere un ulteriore passo avanti rispetto alla Mudawwana del 2004 per arrivare alla parità effettiva tra i sessi. Un ruolo di primo piano in questo percorso lo sta giocando il Consiglio nazionale dei Diritti dell’Uomo (CNDH), presieduto da Amina Bouayache. Nel 2004, invece, la riforma era stata affidata a una commissione composta da un presidente e quindici membri (di cui solo tre donne), principalmente magistrati e ulema. La diversa composizione degli organi coinvolti nei due processi di riforma è indicativa del maggiore peso che le istituzioni laiche hanno assunto nel Paese negli ultimi vent’anni, ciò che spiega il minore coinvolgimento degli ulema.
Le attuali rivendicazioni sono il segnale di una società civile in grande fermento. I prossimi mesi ci diranno quanto la monarchia è disposta a concedere, e saranno indicativi dei rapporti di forza che oggi esistono tra le forze conservatrici e riformiste, e della capacità della monarchia di mediare tra le parti.
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