Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:32

«Quello che sta accadendo in Pakistan, con le dovute proporzioni, è parallelo a ciò che sta avvenendo nell'orizzonte globale: in tutto il mondo c'è un problema all'interno dell'islam che vede in atto uno scontro tra modernisti e fondamentalisti-estremisti. Lo si constata in Iraq, in Afghanistan e anche da noi. Gli attacchi violenti contro Benazir Butto o Musharraf sono la prova di come chi rappresenta una posizione 'liberale' e aperta all'Occidente sia visto come nemico da combattere ed eliminare dagli estremisti violenti, che fomentano il terrorismo». Mons. Anthony Lobo, vescovo di Islamabad in Pakistan, racconta in modo lucido e disincantato la presente instabilità del suo Paese. «Estremisti provenienti dall'Arabia Saudita e dal Kuwait aprono scuole in Pakistan e introducono un islam di stampo wahabita che si diffonde tra il popolo. Così abbiamo pakistani che si ispirano ad un'ideologia saudita o egiziana. Nella mia diocesi un'ampia zona è pesantemente minacciata dai talebani. Qualche tempo fa le nostre due scuole, una maschile e una femminile, sono state occupate una dall'esercito nazionale e l'altra dai talebani, che hanno cominciato a spararsi e combattersi a pochi metri di distanza, spaventando e mettendo a rischio la vita dei nostri alunni, delle loro famiglie e delle suore che gestiscono le strutture. Viviamo di fatto in una situazione di guerra». Ma quando si è diffuso così massicciamente il fondamentalismo? «Negli anni '80, durante la dittatura del generale Muhammad Zia ul-Haq, in Pakistan ci fu un'espansione della legge islamica contemporaneamente ad un afflusso di rifugiati e di armi dall'Afghanistan. Il generale favorì tale diffusione del fondamentalismo perché trovava in esso uno strumento per rafforzare il suo potere di controllo su un popolo che non lo riconosceva. Chi ha conquistato allora posizioni di potere, non ha più voluto perderle, anche a costo di grandi spargimenti di sangue». La stampa mondiale invoca stabilità per il Pakistan, che molti temono possa diventare un nuovo Iran «Si può arrivare a una stabilità se si dialoga tra parti avverse, ma si può dialogare con chi vuole ascoltare, non con chi ti vuole eliminare in forza di una falsa interpretazione della propria tradizione religiosa. Il Pakistan instabile spaventa perché una sua deriva definitiva verso il fondamentalismo sarebbe molto più grave di quella iraniana, dal momento che dispone già di armi atomiche e questo non viene dimenticato a livello internazionale». È più realistico ipotizzare che un fermento di stabilità giunga da fuori confine, da Occidente, o dall'interno? «In Pakistan ci sono alcuni intellettuali che pubblicano testi e professano una fede islamica aperta e rispettosa anche delle altre comunità religiose. Ma vanno appoggiati e sostenuti dall'Europa e dall'America, perché il cambiamento dell'islam non può essere imposto da fuori, ma deve germinare dal di dentro». Sente mai sulla pelle il pericolo di morte in un contesto così esplosivo? «Non ho il tempo di essere preoccupato. Devo correre dove mi chiamano, dove i miei fedeli sono in pericolo, devo avvisare e sensibilizzare le autorità, devo muovere i mass-media. Non mi avanza tempo per sentirmi minacciato». Intervista a S. E. Mons. Anthony Lobo, vescovo di Islamabad, a cura di Maria Laura Conte