Una guida ai fatti della settimana in Medio Oriente e nel mondo musulmano attraverso la stampa internazionale e quella araba

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 15:50:14

Non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato il viaggio di Papa Francesco in Kazakistan, dove il pontefice ha partecipato al “VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali”, tenutosi nella capitale Nur-Sultan dal 13 al 15 settembre. Eppure non erano pochi i motivi per interessarsi a questo evento. Li ha ben sintetizzati La Croix, che ha definito il Paese centroasiatico una «periferia strategica». In effetti, ha scritto il quotidiano cattolico francese, il Kazakistan «risponde ai criteri di Francesco: dei cattolici ultra-minoritari – l’uno per cento dei 19 milioni della popolazione – e una zona ignorata del mondo. Ma il Kazakistan è anche uno dei dieci più grandi Paesi del mondo e si trova in una zona strategica: vicino alla Mongolia e alla Cina, non lontano dall’Afghanistan e dall’Iran, condivide non meno di 7000 chilometri di frontiera con la Russia». Si tratta inoltre di una «Repubblica laica», in cui vige la libertà religiosa, e che è «capace di favorire il dialogo tra diverse culture ma anche tra diverse religioni», come ha affermato al giornale Michaël Levystone, ricercatore all’Istituto Francese di Relazioni Internazionali (IFRI) di Parigi. In linea con altri grandi appuntamenti interreligiosi promossi dagli Stati, l’iniziativa aveva anche degli obiettivi politici. È stato ancora La Croix a rilevarlo: il presidente kazako Toqaev, che ha indetto nuove elezioni presidenziali per l’autunno, con la visita del Papa vuole lanciare un messaggio dopo le violente sommosse scoppiate a gennaio in tutto il Paese. «Il presidente – ha specificato Levystone – ha l’opportunità di mostrare che è lui a guidare il Paese, che ha il potere di far arrivare grandi leader internazionali. Per lui è un notevole guadagno politico». Al Congresso hanno preso parte un centinaio di delegazioni da 50 Paesi. La delegazione russa non comprendeva il Patriarca Kirill, che ad agosto ha rinunciato a partecipare all’incontro e quindi a incontrare Francesco.

 

Al centro dei lavori del Congresso il ruolo delle autorità religiose nel mondo post-pandemico. È tuttavia evidente che, per il contesto in cui si è tenuto, il significato del convegno è andato ben al di là di questo tema. Le Monde ha scritto che «se la parola “Ucraina” non è stata pronunciata durante l’incontro, è chiaro che la guerra scatenata dalla Russia costituiva il sottotesto di alcuni interventi». Il quotidiano parigino ha anche tenuto a mettere in luce il contrasto tra il discorso del Papa, con il suo appello alla pace, alla libertà religiosa e all’ascolto reciproco, e le «imprecazioni» del Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, presente anche lui a Nur Sultan: questi ha infatti denunciato «il declino morale», il «fallimento della Filosofia dei Lumi, che ha svuotato la civiltà dei veri valori», la «liberazione sessuale» e le «campagne contro la famiglia» e ha invitato i rappresentanti delle tradizioni religiose a fare la pace tra loro dal momento «che il pericolo imminente non viene dalle differenze tra religioni, ma dall’ateismo».

 

A dar ulteriore rilievo all’evento ha contribuito la visita di Xi Jinping a Nur Sultan in contemporanea con il viaggio di Francesco. Chi si aspettava un incontro tra il Papa e il Presidente cinese è rimasto deluso. Nel vertice con il presidente kazako Toqaev Xi Jinping ha invece insistito sulla convergenza tra Cina e Kazakistan, entrambi impegnati a combattere i “tre mali” rappresentati da terrorismo, separatismo, ed estremismo, come riportato dal Global Times.

 

 

Nuovi venti di guerra tra Armenia e Azerbaijan

 

Negli ultimi giorni si è riacceso il conflitto tra Armenia e Azerbaijan, dopo la guerra per il possesso del Nagorno-Karabagh che nel 2020 aveva fatto più di 6700 morti e aveva sancito la vittoria di Baku, concludendosi con una mediazione russa. Ricostruendo in modo volutamente didascalico la rivalità tra i due Paesi caucasici fino agli ultimi sviluppi, la Associated Press riporta che le due parti si sono accusate reciprocamente di aver iniziato le ostilità. Il bilancio sarebbe di 155 vittime, 105 militari armeni e 50 azeri. Nella giornata di ieri è stato raggiunto un cessate il fuoco.

La tempistica non è casuale: l’Armenia è alleata della Russia e quest’ultima, come rileva il Wall Street Journal, «isolata dall’Occidente durante la Guerra in Ucraina, ha una leva limitata nei confronti dei suoi partner del mondo post-sovietico».

 

È invece molto attiva la Turchia, i cui famosi droni sono stati decisivi nella vittoria azera del 2020. Come ha scritto su Al-Monitor Amberin Zaman, «la Turchia, che è orgogliosa della sua mediazione tra Russia e Ucraina, non ha mostrato la stessa imparzialità e i leader turchi hanno espresso apertamente il loro sostegno all’Azerbaijan». Il presidente Erdoğan ha affermato di ritenere inaccettabile la situazione che è venuta a crearsi, «risultato delle violazioni da parte dell’Armenia dell’accordo raggiunto dopo la vittoria dell’Azerbaijan». Ancora più dure le parole del suo alleato di governo Devlet Bahceli, leader del partito nazionalista di estrema destra MHP: «le bande armene stanno intensificando i propri attacchi rapaci e lanciando provocazioni proditorie e sanguinose. Il nostro caro Azerbaijan non sarà mai solo di fronte allo Stato del terrore armeno e ai bulli che lo sostengono. Il sostegno della Turchia è assoluto e completo».   

 

Se Putin, che ieri si a Samarcanda si è intrattenuto cordialmente sia con Erdoğan che con il presidente azero Aliyev, non può e non vuole spendersi troppo per l’Armenia, neppure gli altri Paesi, tra cui quelli europei, sembrano particolarmente turbati da questo conflitto. Come ha detto al Figaro Franck Papazian, membro del Consiglio di coordinamento delle associazioni armene di Francia, «Baku sta saggiando la comunità internazionale, avendo la certezza che essa reagirà molto blandamente».

 

 

La controversa eredità di Elisabetta II, l’islamofilia di Carlo III

 

Una delle notizie più battute degli ultimi giorni, la morte della regina Elisabetta, ha suscitato un dibattito piuttosto intenso sull’eredità coloniale della Gran Bretagna e sulle annesse responsabilità della corona inglese. Per citare soltanto gli esempi più significativi, il New York Times ha invitato a «Piangere la regina, non l’Impero»; un articolo della storica Elizabeth Kolsky pubblicato dal Washington Post afferma che «il persistente rifiuto di guardare in faccia la violenta storia dell’Impero e fare i conti con la sua eredità duratura è sostenuto dall’immagine di un’inoffensiva e minuta regina il cui regno è stato macchiato soltanto da privati scandali famigliari».

 

Due articoli apparsi sulla piattaforma controcorrente Unherd puntano invece a decostruire queste narrazioni. Uno, scritto da Tomiwa Owolade, afferma che se è «innegabile che l’Impero britannico ha commesso molte atrocità, e molti dei suoi fautori erano animati dal razzismo, l’idea secondo cui l’eredità internazionale della regina Elisabetta possa essere ridotta all’oppressione e alla violenza coloniale è una perversa distorsione della storia». L’altro, a firma del politologo e scrittore Remi Adekoya, conclude che «la causa principale dei problemi odierni dell’Africa non è il colonialismo o la regina Elisabetta. È il modo in cui essa è attualmente governata. E fintantoché questo non cambierà lo status quo rimarrà immutato a prescindere dalle volte in cui grideremo “colonialismo”».

 

Altri intanto si sono soffermati sull’islamofilia del nuovo re. Lo studioso musulmano anglo-egiziano Hisham Hellyer ha ricordato sul Time che trent’anni fa l’allora erede al trono aveva dichiarato di voler difendere tutte le fedi e non soltanto la fede (cioè quella cristiana). Carlo, che è un lettore di Guénon e ha una sensibilità tradizionalista, ha più volte manifestato le sue simpatie sia verso il Cristianesimo ortodosso sia verso l’Islam. È famoso il suo discorso del 1993 su “Islam e Occidente”, pronunciato al Centro di Studi Islamici di Oxford, in cui il figlio di Elisabetta aveva insistito sul contributo dei musulmani alla civiltà europea. Middle East Eye ha menzionato altre occasioni in cui il nuovo re ha espresso il suo apprezzamento verso l’Islam, attribuendogli anche una conoscenza approfondita della finanza islamica e dei benefici che questa avrebbe potuto comportare per l’economia mondiale.

 

 

In breve

 

Il francese Le Point ha pubblicato un’intervista esclusiva con l’emiro del Qatar. I contenuti della conversazione sono riservati agli abbonati, ma sono stati ripresi anche da altre testate, tra cui Middle East Eye

 

Sul borsino dell’accordo sul nucleare iraniano è il momento di un profondo pessimismo, come riporta Al-Monitor. Le Figaro parla addirittura della «agonia dell’accordo sul nucleare».

 

Il governo belga ha deciso di tagliare i ponti con l’Esecutivo dei musulmani del Belgio, accusato di scarsa trasparenza e cattiva gestione. La notizia si può leggere su La Croix.

 

Un report declassificato dell’intelligence americana, risalente a due anni fa, prevedeva la rinascita di ISIS. Lo riporta la Associated Press.

 

Reuters riferisce di un incontro al vertice tra i servizi segreti di Turchia e Russia.

 

 

Al-Sisi a Doha tra nuovi progetti e vecchie ruggini

Rassegna dalla stampa araba a cura di Mauro Primavera

 

Per la stampa araba, il tema più rilevante della settimana è stato l’incontro a Doha del 13-14 settembre tra il presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. Se si esclude il periodo 2012-2014, quando Muhammad Morsi era capo dello Stato della Repubblica egiziana, negli ultimi anni i rapporti tra i due Paesi sono stati sempre difficili, a causa del sostegno del Qatar alla Fratellanza Musulmana, principale avversario dell’establishment militare cairota. In particolare, la situazione è precipitata nel giugno 2017, quando l’Egitto ha rotto, insieme ad Arabia Saudita, Emirati e Bahrain, le relazioni con l’Emirato, ripristinandole solo nel gennaio 2021 con la Dichiarazione di al-‘Ula. Tuttavia, soltanto negli ultimi mesi si è assistito a una svolta diplomatica, con la nomina, da entrambe le parti, di nuovi ambasciatori, a cui è seguita la visita di al-Thani al Cairo nel luglio 2022.

 

La stampa egiziana ha mostrato vivo ottimismo per l’incontro, al punto da considerarlo come l’inizio di una nuova partnership. Il giornalista Farouq Gweidah scrive per al-Ahram che, malgrado le difficoltà del passato, la visita di al-Sisi «spiana la strada per la riapertura di canali di comunicazione» e, soprattutto, a «numerose opportunità di investimento» che non si limitano solo alla cooperazione energetica per l’estrazione di gas naturale e petrolio, ma anche ad ambiti culturali e sportivi che, a poche settimane dall’avvio dei mondiali di calcio in Qatar, potrebbero rientrare nella strategia di soft power.    

 

È ancora presto per parlare di rapprochement totale, come dimostrano gli editoriali di Al-Jazeera. L’emittente di Doha, oltre a ridimensionare l’importanza dei traffici commerciali tra i due Stati, ha criticato le politiche economiche del regime egiziano, accusato di aver silenziato le voci dissidenti degli esperti che avevano mostrato perplessità sulle manovre varate dal governo. L’articolo si è concentrato, soprattutto, sulla preoccupante situazione finanziaria in cui versa il Paese, alla continua ricerca di prestiti che, col tempo, potrebbero mettere in dubbio la credibilità del Cairo sui mercati. Anche se non si fa menzione del recente vertice, appare evidente l’intenzione, da parte della testata, di sminuire l’importanza geopolitica dell’Egitto che, è bene ricordarlo, non ha ancora liberato i quattro giornalisti di Al-Jazeera detenuti in carcere da mesi per aver diffuso “informazioni false”. Proprio il 14 settembre, secondo giorno della visita di al-Sisi, è comparsa la notizia che uno dei corrispondenti, Ahmad al-Najdi, potrebbe essere presto rilasciato come gesto di riconciliazione.

 

Occorre aggiungere, però, che gli altri quotidiani qatarioti come al-Sharq e al-Watan, non hanno menzionato questo tema, preferendo raccontare l’evento con toni celebrativi. Al contrario di Al-Jazeera, sono comparsi titoli a caratteri cubitali che presentavano l’arrivo di al-Sisi nella capitale come «un’occasione di investimento da parte del settore privato qatariota». 

 

Resta da comprendere quali saranno gli effetti della visita sulle relazioni tra il Qatar e la Fratellanza. Il quotidiano emiratino al-‘Ayn al-Ikhbariyya, storicamente avverso all’islam politico, pubblica un articolo dal titolo piuttosto eloquente: “Al-Sisi in Qatar… la Fratellanza è colta di sorpresa e il sogno della riconciliazione va in fumo”. «Gli Ikhwān – si legge nell’incipit – seguono con ansia e preoccupazione gli sviluppi» che avrà la visita del ra’īs egiziano. Il parere degli analisti intervistati dal giornale è unanime: senza la protezione di Doha, il movimento, diviso al suo interno, rischia di diventare estremamente vulnerabile e marginale in Medio Oriente. Inoltre, l’intesa bilaterale metterà il regime cairota in una posizione di forza, al punto da poter rinunciare a qualsiasi negoziato o riconciliazione con la Fratellanza. Al-Sharq al-Awsat giunge alle medesime conclusioni: secondo un esperto egiziano di sicurezza e antiterrorismo, «l’organizzazione islamista è (forse) clinicamente morta e non gode più di un sostegno popolare», anche se può ancora contare su «qualche cellula dormiente». L’articolo accenna poi al benestare della Turchia, storica alleata dell’Emirato, all’intesa egiziano-qatariota, come conferma la copertura dell’evento da parte della versione araba dell’agenzia di Stato Anadolu.

 

Interessante, infine, il fatto che numerosi giornali vicini al Qatar e solitamente molto critici verso l’Egitto di al-Sisi, come al-‘Arabi al-Jadid e Arabi21, si siano limitati a riportare la semplice cronaca della visita, senza fornire ulteriori commenti e analisi. Questo atteggiamento “neutrale” è presente anche in al-Quds al-‘Arabi che nell’unico articolo sul tema ha illustrato, senza prendere posizioni, le sfide e le opportunità che hanno caratterizzato l’incontro tra al-Sisi e al-Thani.    

 

 

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