La scomparsa del presidente iraniano apre una fase delicata per un sistema già in profonda crisi di legittimità. Due le principali sfide: la transizione del potere esecutivo e la riapertura del dibattito sul successore dell’attuale Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei

Ultimo aggiornamento: 20/05/2024 18:12:19

La conferma ufficiale della morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi a seguito dell’incidente sull’elicottero su cui viaggiava con altre sette persone è arrivata poche ore fa. Il velivolo stava sorvolando la provincia dell’Azerbaijan Orientale quando, probabilmente a causa di un’avaria, è precipitato in una zona montuosa difficile da raggiungere anche per i soccorritori della Croce Rossa Iraniana, mobilitati in massa per le operazioni di recupero. Raisi aveva presieduto, assieme al ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, l’inaugurazione della diga Qiz Qalasi, un progetto idrico congiunto con il vicino Azerbaijan e celebrato dagli organi di stampa iraniani come un grande esempio di cooperazione tra Teheran e Baku.

 

La morte di Raisi, confermata nelle prime ore di lunedì 20 maggio, aprirà certamente una fase delicata all’interno della Repubblica Islamica. Le due principali sfide per il sistema politico consisteranno nel guidare la transizione del potere esecutivo, attualmente nelle mani del Vicepresidente Mohammad Mokhber, e nel riaprire informalmente un dibattito, seppur ancora speculativo, sulla successione dell’attuale Guida Suprema, Ali Khamenei.

 

Il sistema politico iraniano (Nezam) non gode di particolare legittimità interna. A dimostrazione di ciò, ci sono i dati delle scorse elezioni parlamentari (2020 e 2024, con un’affluenza rispettivamente del 42% e 41%) e delle elezioni presidenziali del 2021, in cui Raisi fu eletto con la più bassa affluenza alle urne (48,8%) dalla fondazione della Repubblica nel 1979. La scarsa partecipazione al voto è un segnale del malcontento decennale, che di tanto in tanto si manifesta attraverso le proteste popolari: a volte guidate dai giovani disoccupati e dai gruppi sociali indigenti (2017-2019), altre dai lavoratori che reclamano salari adeguati al costo della vita (2017-2022) e, più recentemente, dalle giovani donne che rivendicano maggiori libertà individuali (il movimento “Donna, vita e Libertà” del 2022). Tutte le manifestazioni di dissenso sono sempre state represse con la forza dagli organi di sicurezza, ciò che ha contribuito a esacerbare il malcontento diffuso a più livelli sociali e generazionali della società iraniana.

 

A prescindere da chi verrà eletto alle prossime elezioni, previste entro 50 giorni secondo la Costituzione, non si prevedono cambiamenti drastici o significativi né in politica interna, caratterizzata da un crescente restringimento imposto dall’alto degli spazi di espressione individuale, né in politica estera, orientata ormai da decenni verso Est e verso partnership di sicurezza e commerciali con la Cina e la Russia. Il prossimo presidente iraniano proseguirà lungo queste traiettorie, sarà una figura poco divisiva tra i conservatori e capace di assicurare continuità con il sistema.

 

Il secondo aspetto riguarda la successione della Guida Suprema (rahbar), l’ormai anziano Ali Khamenei. Per molto tempo si è pensato che Ebrahim Raisi sarebbe stato nominato dall’Assemblea degli Esperti quale suo successore. Raisi, infatti, sembrava possedere, almeno sulla carta, tutti i requisiti necessari per diventare rahbar. Era un Seyyed (discendente della famiglia del Profeta), era stato Procuratore generale tra il 2014 e il 2016, aveva guidato la magistratura (2019-2021), proveniva da Mashhad (la città natale di Khamenei) e gestiva dal 2016 la lucrosa fondazione Astan-e Quds-e Razavi.

 

Il sistema politico ha cercato per anni di “abbellire” l’immagine pubblica di Raisi (già sconfitto alle presidenziali del 2017) per preparare la società iraniana a una sua eventuale nomina a Guida Suprema. I canali televisivi di Stato, per esempio, rilanciavano spesso la sua immagine già prima della sua elezione alla presidenza. Tuttavia, il suo scarso carisma e il divario sempre più ampio tra Stato e società avrebbero reso la sua nomina molto difficile, se non inverosimile. Analogamente, è da ritenersi altrettanto inverosimile la nomina a Guida Suprema di Mojtaba Khamenei che molti studiosi e osservatori stanno ipotizzando in queste ore. Figlio dell’attuale Guida Suprema, Mojtaba è un religioso inviso alla popolazione e la sua nomina rappresenterebbe di fatto una successione dinastica, ben lontana dai principi della Rivoluzione che nel 1979 mise fine a 2500 anni di monarchia.

 

Se l’establishment sarà abbastanza saggio da evitare questo errore e prevenire un’irreparabile frattura del patto sociale, è probabile che almeno nel medio periodo ci sarà continuità a tutti i livelli del complesso sistema politico-istiruzionale-militare iraniano.

 

 

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