Israele si avvia a vincere questa guerra. Ma il nuovo Medio Oriente di Benjamin Netanyahu non sarà né più stabile né più pacificato di prima

Ultimo aggiornamento: 02/10/2024 17:17:39

Per la quarta volta nella sua storia, Israele si prepara a invadere il Libano. Dopo aver messo in ginocchio Hezbollah nel giro di due settimane, non ha alcuna intenzione di fermarsi a metà strada. La passività del regime iraniano, che preferisce salvare la propria pelle piuttosto che quella della sua creatura, e il semaforo giallo-verde degli Stati Uniti, a cui non dispiace vedere Hezbollah sconfitto, danno mano libera a Benjamin Netanyahu. Questi può finalmente realizzare il suo sogno di spezzare l’asse iraniano, prima di tutto neutralizzando Hezbollah e rimandandolo indietro di decenni, poi prendendo forse di mira direttamente Teheran (e il suo programma nucleare), privandola in tal modo della sua migliore arma di dissuasione.

 

Israele si avvia a vincere questa guerra. Ma non gli basta. Vuole cambiare il volto del Libano e del Medio Oriente. Non si fermerà prima d’aver raggiunto questo obbiettivo, che presuppone che Hezbollah e il suo padrino iraniano accettino la loro sconfitta e la nuova realtà che ne deriva. Offensiva terrestre, bombardamenti intensivi: tutte le opzioni sono sul tavolo finché i nemici rifiutano di piegarsi. Cosa esclusa per il momento, se si deve credere al numero due del partito sciita, Naim Qassem. La Repubblica islamica sembra dunque pronta a battersi fino all’ultimo libanese.

 

Da entrambe le parti, nessuno sembra aver appreso la minima lezione dalla storia. Hezbollah rischia di farsi cancellare e di far cancellare una parte del Libano in un conflitto in cui il Paese dei Cedri ha tutto da perdere e assolutamente nulla da guadagnare. Israele per parte sua sembrerebbe in grado di riportare una vittoria militare, senza però riuscire a dare il colpo di grazia all’avversario. Più cercherà d’ottenere una vittoria totale, più correrà il rischio di perdere questa guerra sul piano politico.

 

Come sempre in Medio Oriente, la logica del più forte prevarrà senza risolvere alcunché. L’invasione israeliana del 1982 ha condotto allo smantellamento dell’OLP, ma al tempo stesso ha offerto un terreno propizio per la creazione di Hezbollah da parte dei guardiani della rivoluzione iraniana. L’intervento americano in Iraq nel 2003 ha messo fine a una delle peggiori dittature che la regione abbia conosciuto nell’epoca contemporanea, ma ha anche profondamente destabilizzato il Paese, ha fatto centinaia di migliaia di morti, ha svuotato l’Iraq delle sue minoranze e ha creato un vuoto di cui i movimenti jihadisti e soprattutto la Repubblica islamica hanno ampiamente approfittato.

 

Ogni attore nella regione considera che tutto gli è permesso nel momento in cui è il più forte. Si fa la guerra, si uccidono innocenti a decine o centinaia di migliaia, si assassina, si spostano delle popolazioni nell’ordine di centinaia di migliaia o di milioni di persone senza dover rendere conto ad alcuno. Tutti agiscono con lo stesso sentimento d’impunità. Bashar al-Asad con la sua popolazione, la Turchia con i gruppi curdi, l’Arabia Saudita in Yemen, l’asse iraniano nel mondo arabo… e la lista potrebbe continuare.

 

Israele non fa eccezione, né in senso positivo né in senso negativo. Quello che lo differenzia dagli altri attori – oltre alle condizioni in cui è nato – è il fatto di possedere un arsenale di distruzione molto più fornito e soprattutto di essere il solo a beneficiare del sostegno indefettibile delle democrazie occidentali. Queste versano in una logica di negazione – incapaci di superare i traumi della loro propria storia – e talvolta di complicità criminale.

 

Il nuovo Medio Oriente di Benjamin Netanyahu non sarà né più stabile né più pacificato di prima. Anzi. La violenza chiama la violenza. E questa dinamica mortifera senza limite, senza regola e soprattutto senza la minima prospettiva politica finisce per riacciuffare tutti quelli che l’alimentano.

 

Gli esempi si sprecano. Hezbollah ha costruito la propria onnipotenza sulla guerra e sugli assassinii politici e si trova oggi abbattuto con le sue stesse armi. Israele dal canto suo dispone di una superiorità militare incontestabile nella regione, ma l’attacco del 7 ottobre è venuto a ricordargli che neppure lui può sottrarsi a questa realtà.

 

In Libano, in Medio Oriente e nei Paesi occidentali, molte voci si rallegrano oggi al vedere l’asse iraniano subire una batosta senza precedenti. Per quanto comprensibili siano alcune di queste reazioni, nell’insieme danno prova di una mancanza di visione e di comprensione delle conseguenze che la probabile vittoria israeliana avrà nella regione.

 

Oltre al bilancio umano – i morti, i feriti, i profughi – oltre ai villaggi e ai quartieri distrutti, l’anno che va terminando, e che ha condotto alla distruzione sistematica dell’enclave palestinese sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale, ha provocato una radicalizzazione a livello dell’intera regione.

 

In un mondo arabo in rovine, la sparizione di Gaza rappresenta per così dire l’ultimo atto della tragedia. Lungi dal creare un mondo nuovo, la potenza di fuoco israeliano si appresta semplicemente a portare a termine la distruzione dell’antico. Ne risulterà un caos generalizzato in cui il sentimento d’ingiustizia e la volontà di rivincita prevarranno su tutto il resto.

 

Israele continua a ignorare il fatto che non può distruggere l’asse iraniano e “cambiare il volto del Medio Oriente” finché non sarà creato uno Stato palestinese degno di questo nome. Tutto il resto, quali che siano le vittorie sul terreno, non è altro che fuga in avanti…

 

 

Traduzione di Martino Diez

Articolo di Anthony Samrani originariamente pubblicato in francese su L’Orient-Le Jour il 1 ottobre 2024 « Israël est en passe de gagner cette guerre, mais après ? »

 

 

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