Paesi e culture /1. Algeria. Dal febbraio 2006 una ordinanza dello Stato regolamenta l’esercizio dei culti non musulmani. Ed è da quel momento che si è aperta una crisi.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:27
In Algeria la relazione islamo-cristiana, che in questi ultimi anni era stata molto feconda, attraversa attualmente un periodo di crisi dopo la pubblicazione da parte dello Stato, il 28 febbraio 2006, di un’ordinanza che disciplina l’esercizio dei culti non musulmani. Questo documento afferma nel suo preambolo che lo Stato (algerino) garantisce il libero esercizio del culto (non musulmano), la tolleranza, e il rispetto tra le diverse religioni. Ma prevede al suo articolo 10 pene carcerarie e multe severe per chiunque «inciti, costringa o utilizzi mezzi di adescamento diretti a convertire un musulmano a un’altra religione». Molto rapidamente, come mostreremo nella prima parte di questa riflessione, questo decreto fu utilizzato da diversi settori dell’amministrazione per limitare in modo grave la libertà religiosa delle comunità cristiane presenti nel Paese. Tuttavia, e sarà la seconda parte della nostra esposizione, la Chiesa d’Algeria – e molti dei nostri amici musulmani – malgrado misure ufficiali deplorevoli, non rinunciano a capire come poter stabilire una relazione pacifica e significativa tra la società algerina e le comunità cristiane. La presente riflessione si sforzerà innanzitutto di far capire l’origine delle difficoltà nate nella relazione islamo-cristiana in Algeria da due anni a questa parte. Poi, in un secondo momento, cercheremo di mostrare come un periodo di crisi nella relazione islamo-cristiana possa anche diventare un’occasione favorevole allo sviluppo e all’approfondimento di questa stessa relazione tra cristiani e musulmani, in particolare riguardo a questo tema difficile della “libertà di coscienza”. La relazione islamo-cristiana ha una lunga storia in Algeria. Senza risalire al periodo coloniale, il nome di Monsignor Duval è stato, dopo l’indipendenza del Paese, un simbolo positivo, fino a oggi unanimemente rispettato dagli algerini musulmani. Tuttavia la relazione è entrata da due anni in una nuova fase. È innanzitutto questa evoluzione negativa che vogliamo far comprendere. Le tensioni tra lo Stato algerino e le Chiese cristiane in Algeria trovano la loro origine nella nascita e nello sviluppo, soprattutto in questi ultimi dieci anni, di nuovi gruppi cristiani formati da algerini di origine musulmana convertiti al Cristianesimo. Queste conversioni sono il risultato dell’azione di gruppi missionari di tendenza evangelical. All’inizio questi gruppi hanno basato la loro azione su corsi di Bibbia per corrispondenza e su visite di missionari, soprattutto d’origine anglosassone. Ma molto rapidamente questo movimento è diventato un’iniziativa del tutto autoctona, anche se è sostenuta dall’esterno da trasmissioni televisive e predicazioni bibliche diffuse in lingua araba in tutto il perimetro del Mediterraneo. Per una decina d’anni, la stampa, soprattutto la stampa arabofona, si è scatenata contro lo sviluppo di questi nuovi gruppi, rimproverando ai poteri pubblici di non rispettare la Costituzione algerina che, dichiarando l’Islam religione di Stato, obbliga quest’ultimo a proteggere i musulmani contro ogni tentativo di evangelizzazione. Interpretazioni Massimaliste Alla fine, come abbiamo detto, lo Stato algerino ha emanato il 28 febbraio 2006 un’ordinanza per disciplinare l’esercizio dei culti non musulmani nel Paese. Questo documento è stato integrato, nel maggio 2007, da due decreti applicativi che definiscono le condizioni imposte alle «manifestazioni religiose» dei culti diversi dall’Islam, e precisano le condizioni di lavoro della commissione incaricata di seguire i culti non musulmani. L’ordinanza del 2006 presenta nel suo preambolo dichiarazioni di principio positive. Essa afferma di avere come obiettivo quello di assicurare la protezione dei culti non musulmani; garantisce la libertà di culto e invita al rispetto delle religioni diverse dall’Islam. Tuttavia, le disposizioni enumerate in seguito lasciano spazio a interpretazioni massimaliste estremamente pregiudizievoli per la pace interreligiosa. In effetti, ogni comportamento o ogni testo suscettibile di incitare un musulmano ad abbandonare la sua religione è punito con severe pene di prigione (da uno a tre anni) e da multe piuttosto pesanti. Per altro non solo i culti non musulmani sono autorizzati solo nei luoghi pubblici riconosciuti a questo uso e esplicitamente indicati alle autorità responsabili ma, cosa più grave, ogni attività diversa da quella cultuale è proibita in quegli stessi luoghi di culto (sarebbe la fine del servizio umanitario della Chiesa: asili, ambulatori, sostegno scolastico, conferenze etc.). Così questa disposizione rende sospetta ogni preghiera tra cristiani in un contesto diverso da quello di una chiesa. In questo modo diventano altrettanto sospette l’assistenza religiosa ai lavoratori cristiani stranieri nei cantieri, ai gruppi di pellegrini in marcia verso Tamanrasset, così come le celebrazioni tra gli immigrati che vivono nelle periferie delle città, ma, soprattutto, più generalmente ogni incontro di preghiera cristiana o ogni eucarestia domestica nei quartieri e nelle città dove non esistono edifici ecclesiastici riconosciuti. Non parleremo qui nel dettaglio delle numerose misure prese contro gli evangelicals, direttamente accusati, dalle autorità e dalla stampa, di aver costituito delle comunità visibili di convertiti dall’Islam. Vogliamo piuttosto riportare alcune delle misure che riguardano direttamente la Chiesa cattolica che, in linea di principio, non avrebbe dovuto essere accusata di proselitismo, tenuto conto della sua concezione di testimonianza cristiana rispettosa dell’interlocutore musulmano. Di fatto le prime misure prese dallo Stato algerino sono state dirette contro la Chiesa cattolica, che pure non è stata responsabile della campagna di evangelizzazione entrata nel mirino dello Stato algerino, come riconosciuto dallo stesso Presidente Bouteflika. Alcuni esempi faranno capire che la nuova situazione creata dall’ordinanza ha condotto a misure prive di rapporto con questo testo. Tra il 7 e il 15 maggio 2007, tutte le comunità di religiosi e religiose cattolici in tutti i dipartimenti del Nord del Paese sono stati convocati e invitati a lasciare l’Algeria per ragioni di sicurezza. A partire dal mese di ottobre del 2007 è diventato quasi impossibile ottenere dei visti per accogliere nuovi religiosi e religiose o volontari laici. Divieti e Vessazioni Queste prime misure, che prendevano direttamente di mira la Chiesa cattolica, furono poi seguite da molte altre decisioni: espulsione, il 20 novembre 2007, di quattro volontari brasiliani cristiani invitati in Algeria dall’Arcivescovo per servire gli studenti borsisti cristiani provenienti dai paesi lusofoni (Mozambico, Angola, Capo Verde, Guinea Bissau etc.); divieto da parte del Wali di Ouargla di celebrare la Messa di Pasqua in un campo petrolifero italiano, per via delle disposizioni contenute nell’ordinanza sui luoghi di culto; rifiuto del visto a diversi responsabili di congregazioni religiose che lavorano in Algeria; rifiuto del visto a una laica con la motivazione, espressamente dichiarata al consolato a Parigi, che lavorava alla delegazione “cattolica” alla cooperazione etc. In seguito, non sono mancate, in diversi luoghi e in diverse occasioni, interpretazioni massimaliste dell’ordinanza che disciplina la vita dei culti non musulmani. Un prete cattolico, della diocesi di Orano, don Pierre Wallez, è stato trattenuto per trenta ore alla gendarmeria di Maghnia, il 9 gennaio 2008, per aver pregato, due giorni dopo Natale, con dei cristiani camerunensi che vivevano in una foresta vicino alla frontiera algero-marocchina. In linea di principio l’ordinanza vietava soltanto il “culto” al di fuori di una chiesa. Ora, questo prete si era limitato a compiere una visita pastorale a dei cristiani presso i quali non era stato celebrato nessun “culto”, ma soltanto una preghiera condivisa nel contesto della grande festa cristiana del Natale. Questo prete fu condannato in prima istanza a sei mesi di prigione con la condizionale, poi, il 9 aprile 2008, a due mesi di prigione con la condizionale in seconda istanza, quando queste visite agli immigrati avevano luogo da più di dieci anni e dopo che le auto¬rità algerine responsabili ne erano state informate dal Vescovo del luogo. Il medico algerino che in spirito di carità accompagnava il prete in questa visite fu prima condannato a due anni di prigione, pena commutata alla fine in sei mesi con la condizio¬nale, ma col divieto di esercitare la professione di medico nella funzione pubblica. Nella vita quotidiana, capita che la gendarmeria fermi i preti che circolano per strada e li accusi di proselitismo perché portano con sé la Bibbia e il breviario (cfr. la gendarmeria di Sidi Akacha, vicino a Ténès). Cattolici che arrivavano in aereo si sono visti confiscare i loro libri cristiani personali (per esempio all’aeroporto di Batna, nel giugno 2008). Un’insegnante algerina cristiana che aveva con sé un rosario viene fermata dalla polizia e subisce un interrogatorio serrato, etc. Più recentemente, nel giugno scorso, la polizia ha fatto sequestrare dalla dogana tutti gli esemplari ricevuti individualmente dalla posta dei Prions en Église e dei Magnificat, malgrado una lettera di protesta dell’Arcivescovo indirizzata al Ministero degli Affari Religiosi rimasta senza risposta etc. In diverse città si lamenta ormai la chiusura delle attività educative animate dalla Chiesa. Ma tutte queste misure dipendono, molto spesso, dalle molestie di certi responsabili e non avrebbero avuto grandi conseguenze senza un fatto che ha diffusamente toccato l’opinione pubblica. Intendo la diffidenza nei confronti dei cristiani diffusa nel paese non solo dalla campagna contro l’evangelizzazione condotta dalla stampa arabofona (diverse centinaia di articoli per dei mesi), ma anche dalle dichiarazioni pubbliche del Ministro degli Affari Religiosi e del Presidente dell’Alto Consiglio islamico. Da una decina d’anni, come abbiamo detto, la stampa algerina presenta regolarmente degli studi sul fenomeno, nuovo in un Paese musulmano, della conversione di gruppi di persone di origine musulmana, soprattutto nella regione della Kabilia. Non presenteremo gli articoli negativi che, molto spesso, proposti dalla stampa arabofona, si accontentano di ripetere quello che l’opinione pubblica nei Paesi musulmani pensa abitualmente delle conversioni. Ma lungo tutto questo periodo, vi sono stati anche numerosi articoli scritti soprattutto da giornalisti della stampa francofona che hanno posto il problema della libertà di coscienza. In uno di questi numerosi articoli degli anni scorsi, ripreso, a titolo di esempio, dal giornale francofono di Algeri «Le Soir d’Algérie», si poteva leggere: «Fatto significativo, la quasi tota¬lità dei membri di queste comunità non è affiliata all’entità cattolica, tradizionalmente presente in Algeria. Sono algerini di confessione cristiana, ma di rito protestante. Molti dicono di aver avuto un’avventura spirituale e religiosa in seguito alla quale hanno cambiato vita, altri fanno per la prima volta l’esperienza della fede, ma tutti convergono sulla via di Cristo, affermando di aver ricevuto la sua grazia. Ma da dove nasce il fatto che tutti questi uomini e queste donne abbiano provato un entusiasmo così vivo per la spiritualità abbracciando la religione cristiana? Segno di un’epoca? Fenomeno contemporaneo agli anni Novanta, così ricco di eventi drammatici e significativi per un’Algeria che cerca se stessa e si interroga sul suo futuro, esso merita un approccio più acuto, quello del sociologo. È forse l’espressione di una ricerca identitaria? L’epoca è, infatti, favorevole a questo genere di ricerche nelle quali molti scrutano l’orizzonte a caccia di un modello che dia loro delle certezze. Si tratta di un tentativo di riappropriazione dell’eredità agostiniana che si nasconde sotto la cenere dei secoli? Il fenomeno ha qualche legame con l’attualità immediata dell’Algeria, in cui l’islamismo scuote il paese sullo sfondo di violenze assassine? O esprime semplicemente un vezzo alla moda, palliativo di un bisogno passeggero d’identificazione? C’è ancora, dietro questa esperienza spirituale, un desiderio di trascendere la materialità dell’esistenza, una ricerca terapeutica davanti a un’angoscia esistenziale dove la ricerca del senso della vita si è spostata dalla terra verso il cielo?». Giornalisti, Sindacati e Cristiani Vediamo dunque, attraverso la citazione qui proposta, che già prima della crisi attuale, certi giornalisti si erano espressi positivamente sul tema della libertà di coscienza, compreso il diritto per un musulmano di cambiare religione. Ma ciò che è veramente nuovo per un paese arabo, è che l’aggravarsi della situazione provocata dai decreti del 28 febbraio 2006, sta suscitando nell’opinione musulmana liberale in Algeria una reazione collettiva in difesa dei diritti dei nuovi cristiani venuti dall’Islam. Infatti, dopo la messa in stato di accusa da parte della giustizia di una giovane educatrice algerina di Tiaret, “Habiba”, nell’aprile-maggio 2007, che si era convertita al Cristianesimo evangelico, è nato un vero dibattito pubblico nel quale una parte degli interlocutori ha pubblicamente difeso il diritto alla libertà di coscienza di “Habiba” e di tutti gli algerini. Il giornale francofono algerino «El Watan» ha addirittura preso l’iniziativa di pubblicare una petizione firmata poi da più di duemila intellettuali algerini e il cui testo recita: «Giornalisti condannati a pene detentive e minacciati di incarcerazione. Sindacalisti licenziati per aver rivendicato salari decenti. Cristiani vessati per delitto di preghiera. I firmatari fortemente preoccupati da questa scalata contro le libertà democratiche esprimono la loro solidarietà con i giornalisti liberi, i sindacati autonomi e la comunità cristiana d’Algeria, bersaglio di misure tanto brutali quanto ingiustificate; riaffermano il loro attaccamento alla libertà d’espressione, al pluralismo sindacale e alla libertà di coscienza, sinonimo del diritto di ognuno di praticare la religione che sceglie o di non praticare affatto; invitano alla tolleranza e al rispetto delle libertà e delle diversità, valori cardinali di ogni società democratica» [«El Watan», martedì 18 marzo 2008, 6]. Nello stesso senso va la dichiarazione fatta dal Rassemblement pour la culture et la Démocratie, uno dei principali partiti di opposizione algerini e dal suo Presidente il Dr. Said Saadi, nella presentazione datane dal giornale «El Watan»: «La libertà di culto è stata “colpita”! L’RCD reagisce. Il partito di Said Saadi denuncia infatti “gli opinion makers in servizio permanente che hanno lanciato una campagna inquisitoria per denunciare l’evangelizzazione del paese”. […] L’RCD ritiene, in un comunicato reso pubblico ieri, che ciò attenta alla Costituzione e ai patti internazionali firmati dall’Algeria che “garantiscono rispettivamente la libertà di culto e la libertà di coscienza”. Secondo Saadi non c’è ombra di dubbio che si tratti di una “vera operazione di persecuzione” condotta contro i cristiani d’Algeria. “Questa campagna, portata avanti con un gran clamore mediatico, ha un’apparenza – la difesa dell’Islam – ma una realtà: suggellare di nuovo l’alleanza tra Bouteflika e la corrente islamista radicale”, si sottolinea nello stesso comunicato» [«El Watan», giovedì 28 febbraio 2008, 2]. Si troveranno posizioni simili in una dichiarazione pubblicata dalla Maison des droits de l’homme e du citoyen de Tizi Ouzou: «Invitiamo tutti quelli che […] possono influire sugli eventi a far prova di saggezza e di senso di responsabilità: l’Algeria non ha bisogno di lanciarsi in una falsa guerra di religione. Per i militanti dei diritti umani, la libertà di culto e di coscienza è un principio intangibile. I poteri pubblici devono vigilare sul rispetto pieno degli obblighi contenuti nei trattati e nelle convenzioni ratificate dall’Algeria; parecchi di questi documenti vi fanno esplicito riferimento». Il capo del Governo dell’epoca, Belkhadem, è chiamato direttamente in causa da «Le Soir d’Algérie», in un articolo intitolato Il tempo dell’Inquisizione, sempre sul tema della libertà di coscienza: «a intervalli regolari, l’Islam serve da merce di scambio e le concessioni fatte agli islamisti sono presentate come un male necessario. La messa in opera della riconciliazione nazionale non ha sistemato le cose. Peggio ancora, si assiste a un vigoroso ritorno del religioso. […] Annunciando che “la società algerina si è legata al santo Corano da quando ha abbracciato l’Islam e che il Corano rappresenta la costituzione che essa non accetterà di cambiare”, il capo del Governo, oltre a violare il principio della libertà di coscienza, non fa che legittimare la caccia ai non musulmani condotta a tambur battente dal Ministro degli Affari Religiosi. In meno di un mese, 25 comunità cristiane si sono viste notificare l’ordine di cessazione di ogni attività. Algerini convertiti al Cristianesimo sono perseguiti in via giudiziale e alcuni responsabili di chiese sono costretti a lasciare l’Algeria perché rappresentano “una minaccia per la sicurezza della nazione”. Più grave ancora, una giovane donna rischia tre anni di prigione a Tiaret. È stata arrestata in possesso di diversi esemplari della Bibbia, ciò che è bastato alla sua imputazione» [Nawel Imès, «Le Soir d’Algérie», lunedì 26 maggio 2008, 3]. Uno dei pensatori contemporanei algerini più in vista, residente in Francia, ma recatosi in Algeria per una conferenza, Soheib Bencheikh, tiene dei discorsi che vanno nello stesso senso, riprodotti dal giornale «El Watan»: «“Il legislatore o il moralizzatore non può penetrare nella coscienza delle persone”, ha esordito Soheib Bencheikh, già mufti di Marsiglia […] Scoraggiato dalla piega presa dagli eventi, unisce la sua voce a quella di chi denuncia la caccia alle streghe sollevando il paradosso dell’Algeria moderna. Infatti, nel momento in cui si tiene un colloquio internazionale sulla concezione dei diritti dell’Uomo secondo l’Emiro Abdelkader, con la sottolineatura della sua difesa dei cristiani del Medio Oriente, il Tribunale di Tiaret giudica una donna per “pratica illegale di una religione diversa dall’Islam”. “La fede non si decide per decreto” dice Bencheikh rifiutando “il modo di fare dell’amministrazione” così come “questi modi di agire in piena contraddizione con la nostra religione che favorisce le confessioni e le protegge”. Tutto questo a suon di citazioni di quelle sure che danno un fondamento alle sue dichiarazioni, segnatamente i versetti sulla tolleranza, la diversità religiosa e la non costrizione» [«Notre nation est vouée à l’enfermement», giovedì 22 maggio 2008, 2]. Di Fronte alle Conversioni Al di là di queste prese di posizione dell’opinione pubblica liberale in Algeria, è molto significativo che il Ministro degli Affari Religiosi, Ghoulamallah, abbia dichiarato a più riprese che sosteneva la libertà di coscienza, ivi compresa la possibilità per un musulmano di cambiare religione, aggiungendo che quello che lo Stato algerino teme è la costituzione di minoranza religiose che cercassero poi di appellarsi all’estero per difendere i loro diritti. Si sa che il dibattito, nell’Islam, sullo statuto del musulmano che abbandona l’Islam per convertirsi a un’altra religione (il murtadd) è un dibattito antico e oggi molto attuale. Il Corano minaccia l’apostata solo di pene nell’altro mondo (per esempio 16,108). Ma lo hadîth prevede la messa a morte dell’apostata. I fuqahâ’, o specialisti della sharî’a, dibattono per sapere come interpretare questa tradizione. Certi esegeti contemporanei dicono che bisogna tener conto del fatto che i versetti radicali sono stati pronunciati in un contesto in cui si profilava la minaccia di una rivolta generale delle tribù della penisola arabica, che avrebbe messo in pericolo l’esistenza stessa del giovane Stato musulmano, come effettivamente avvenne sotto il califfato di Abu Bakr. Di conseguenza, questi versetti andrebbero compresi come una condanna del tradimento in caso di pericolo della nazione. Il principio “non vi sia costrizione nella fede” rimarrebbe valido. Ma il fatto nuovo che lo Stato algerino deve affrontare è la conversione di diverse centinaia, forse di diverse migliaia di persone nate in famiglie musulmane e che scelgono pubblicamente di aderire al Cristianesimo. Di fatto, il dibattito, sulla stampa algerina, non è nato a partire dai criteri propri dell’esegesi musulmana. Per la stampa francofona, generalmente più aperta al rispetto delle convinzioni personali, si è trattato di un dibattito sulla libertà di coscienza, a partire da una prospettiva dei diritti dell’uomo. Un’evoluzione molto importante si è dunque prodotta in Algeria in occasione di questo movimento di conversioni. Non si tratta più, infatti, di un’opinione privata di uno specialista, ma di una reazione di coscienza espressa da centinaia di giornalisti e da migliaia di intellettuali musulmani che difendono la libertà di coscienza di quelli, tra i loro compatrioti, che hanno scelto di lasciare l’Islam per abbracciare un’altra confessione. Non conosco un altro paese arabo dove vi sia già stato un dibattito di questa ampiezza sulla libertà di coscienza intesa come libertà per i musulmani di abbandonare la loro religione di nascita per scegliere di aderire liberamente a un’altra confessione.