Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:43:59

Non si ferma l’ondata di violenza nell’Isola di Mindanao (Sud delle Filippine). Alla recente liberazione di Eugenio Vanni, volontario della Croce Rossa rapito sei mesi fa da una presunta banda armata legata al gruppo terroristico musulmano di Abû Sayyaf, si è aggiunto l’increscioso attentato dinamitardo davanti a una chiesa in Cotabato City (centro-ovest di Mindanao), che ha provocato 5 morti e 45 feriti. L’attentato è avvenuto in una regione controllata dall’Esercito filippino, ma ancora sotto l’influenza del MILF (Moro Islamic Liberation Front). Di per sé questi eventi non hanno una relazione diretta tra loro, ma ci fanno capire in tutta la loro drammaticità come il “business dei rapimenti” e la “strategia del terrore” infiammi di violenza e di incertezza il difficile processo di pace attualmente in corso tra MILF e Governo filippino. Nel primo caso, non si è ancora certi che il gruppo che ha rapito Eugenio Vanni fosse realmente l’Abû Sayyaf (gruppo terroristico legato ad al-Qa’ida), o che in ogni caso fosse legato ad esso. Infatti nella zona delle isole di Jolo e di Basilan e nell’ovest di Mindanao agiscono diversi gruppi, più o meno d’ispirazione islamica, che operano autonomamente e fanno dei rapimenti la loro principale risorsa economica. Gli stranieri sono il loro bersaglio preferito, siano essi volontari, missionari, imprenditori, giornalisti o turisti. Tuttavia, anche i filippini finiscono nelle mani dei rapitori, soprattutto se sono persone facoltose o se ricoprono funzioni pubbliche di rilievo. Tali gruppi agiscono contro la dignità della persona umana e contro le regole internazionali per i motivi più disparati, cha vanno dall’ideologia islamista al desiderio di ottenere l’indipendenza dell’Isola di Mindanao e la sua separazione dal resto delle Filippine, al bisogno di far fronte alla crescente miseria che attanaglia queste zone colpite dalla depressione e dal sottosviluppo. Come sempre accade in questi casi, sono molte le ragioni che portano vere e proprie bande di spostati a scegliere le scorciatoie della violenza e del sopruso, illudendosi che tali vie possano realmente pagare. Infatti, molti dei rapitori vengono in seguito catturati se non uccisi in scontri a fuoco con l’Esercito filippino o con le bande rivali. Nel secondo caso, quello dell’attentato alla chiesa, ci troviamo di fronte ad una situazione a mio parere più grave, che tocca non solo il problema della sicurezza in Mindanao, ma lo stesso processo di pace e le relazioni tra cristiani e musulmani. Esso mostra infatti un uso della violenza contro i cristiani come espediente per creare incertezza e coprire chiari interessi politici. Che tipo di interessi si tratta? Come accennato sopra, da alcuni anni è in corso un processo di pace tra l’MILF e il Governo filippino; processo che ha avuto alti e bassi, ma che non è mai giunto a una soluzione definitiva. L’MILF chiede di essere riconosciuto, da parte del governo, come movimento islamico di liberazione nazionale e non come gruppo terroristico. In più vuole l’amnistia per i suoi combattenti e condizioni sociali ed economiche migliori per i musulmani filippini e per le stesse famiglie dei membri dell’MILF. Il Governo, da parte sua, chiede la cessazione della guerriglia, lo smantellamento dell’arsenale militare dell’MILF e l’integrazione dei suoi combattenti nell’Esercito filippino. Le sue ragioni fanno leva sul fatto che non può esistere un esercito non nazionale all’interno della nazione filippina, così come non può esistere un’organizzazione, sia essa d’ispirazione musulmana o non musulmana, che non riconosce la sovranità del Governo su tutto il territorio nazionale. Il problema in questione è dunque la demilitarizzazione dell’MILF e la preservazione dell’unità nazionale filippina. L’MILF dovrebbe quindi diventare una forza politica inglobata nel sistema politico nazionale e rinunciare alla sua azione militare e alle sue pretese separatiste. Attualmente, parte del MILF è favorevole ad abbandonare l’azione militare antigovernativa per raggiungere un accordo sulla possibile autonomia amministrativa delle aree sotto il loro controllo. Un’altra parte dell’MILF vuole invece continuare la lotta armata per fini separatistici e per giungere all’istituzione di una repubblica islamica in Mindanao. In questo senso, credo che l’attentato di Cotabato City debba essere inserito nell’ampio contesto del conflitto politico e militare all’interno dell’MILF, dove le due aree di orientamento si stanno confrontando senza esclusione di colpi. Attentare alla sicurezza dei cittadini, in questo caso cristiani, ha voluto significare l’innalzamento delle pretese negoziali con il Governo filippino, ma più ancora ha messo in evidenza il tentativo di delegittimazione dell’area “moderata” a vantaggio di quella “oltranzista” all’interno del MILF. Lo stesso fatto che l’MILF abbia sconfessato la paternità dell’attentato e abbia istituito una commissione investigativa su di esso, potrebbe significare che la parte “moderata” vuole recuperare la sua legittimità, onde evitare che tutto l’MILF venga additato come colpevole della strage e quindi come un vero e proprio gruppo terroristico. Al di là di queste valutazioni storiche e politiche, è chiaro che, oggi come quarant’anni fa, nell’isola di Mindanao regnano ancora il pericolo e l’insicurezza, e gli interessi geopolitici, colorati d’integralismo religioso, portano i contendenti a guardare più ai loro interessi di parte che all’interesse di tutta popolazione filippina lasciando il processo di pace in una situazione di stallo da quasi dieci anni. Tale processo non è qualcosa di irrealizzabile: esso può essere percorso qualora agli interessi personali o di partito sia anteposto il bene comune della persona umana, oltreché la sicurezza e il bene nazionale. Sono questi i criteri guida attraverso cui i cristiani, i musulmani, i buddisti e le popolazioni tribali possono costruire la loro integrazione sociale, politica e religiosa.