Nei sette padiglioni della kermesse, antichi manufatti e opere d’arte contemporanea dialogano sul rapporto tra arte e Islam. Con il contributo di istituzioni internazionali come la Biblioteca Vaticana, l’evento è per Riyad un’occasione per consolidare la propria diplomazia culturale

Ultimo aggiornamento: 06/03/2025 12:56:43

Dal 25 gennaio al 25 maggio, Gedda ospita la seconda edizione della Biennale di Arte islamica. L’evento, la cui importanza va come vedremo al di là della mera dimensione artistica, si svolge nel Terminal Hajj (Pellegrinaggio) dell’aeroporto internazionale Re Abdulaziz, dove opere d’arte contemporanea sono poste in dialogo con antichi e preziosi manufatti della cultura islamica, provenienti da diverse parti del mondo. Il titolo dell’Esposizione, And All That Is In Between, ricalca un versetto del Corano (38,27), che narra la creazione «del cielo e della terra e di tutto ciò che vi è nel mezzo». La mostra esplora il modo in cui la fede è stata vissuta ed espressa dagli artisti nel corso dei secoli, intrecciando tradizione e innovazione in un viaggio sensoriale e spirituale. La curatela dell’Esposizione è stata affidata a un gruppo internazionale guidato dal Direttore artistico Abdul Rahman Azzam, affiancato da Julian Raby, Direttore emerito del Museo nazionale di arte asiatica dello Smithsonian Institution, e Amin Jaffer, Direttore della Collezione Al Thani. La sezione dedicata all’arte contemporanea è stata curata dall’artista saudita Muhannad Shono. L’Esposizione si articola in sette padiglioni tematici, ciascuno dei quali offre una prospettiva unica sulla connessione tra arte, fede e cultura islamica.

Il padiglione Al-Bidayah (“L’inizio”) custodisce uno dei pezzi più straordinari della Biennale: la kiswa, il drappo nero che copre la Ka‘aba a Mecca.

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Kiswa, drappo che ricopre la Ka‘aba a Mecca [Oasis]

Per la prima volta nella storia, il prezioso telo è stato esposto integralmente fuori dalla città santa, offrendo ai visitatori un’occasione unica per ammirarlo da vicino. L’esposizione celebra peraltro il centenario dell’inizio della produzione della kiswa in Arabia Saudita. Fino al 1927 il prezioso drappo veniva realizzato al Cairo, ma con l’annessione della regione dello Hijaz al Najd, re Abdulaziz ibn Saud, fondatore della moderna Arabia Saudita, aprì a Mecca il primo laboratorio dedicato alla sua manifattura. Nel 1977 questo laboratorio fu sostituito dalla Kiswa Factory, rinominata da re Salman King Abdulaziz Complex for Holy Kaaba Kiswa.

Ogni anno, all’inizio del mese di Muharram, il drappo viene sostituito con quello nuovo, la cui produzione richiede nove mesi di lavoro. Tradizionalmente, il telo dismesso viene smembrato in piccoli frammenti e donato ai pellegrini. Realizzata in pregiata seta nera, la kiswa è decorata con raffinati ricami in fili d’oro raffiguranti versetti coranici, mentre in argento sono incisi l’anno di produzione del telo, il nome di re Salman – e, prima di lui, quello dei suoi predecessori, che dal 1986 si fregiano del titolo di “Custode dei due luoghi sacri” – e infine quello di Abdulrahim Amin Bukhari, nominato calligrafo ufficiale da re Abdulaziz ibn Saud e ideatore dello stile che caratterizza fino a oggi la kiswa. Privo di discendenti, Bukhari chiese a re Faisal, terzo sovrano dell’Arabia Saudita, che il suo nome fosse ricordato nel tempo. Il re accolse il suo desiderio facendo ricamare il suo nome sulla kiswa come segno di riconoscimento del suo contributo artistico e spirituale. Un video all’interno del padiglione documenta l’evoluzione del processo di produzione del telo, illustrando le tecniche artigianali impiegate nel tempo. Sempre in questo spazio, sono esposti altri oggetti legati alla Ka‘aba: l’antica chiave in oro massiccio del portale d’ingresso e la canaletta d’oro utilizzata in passato per raccogliere l’acqua piovana, un tempo posizionata sopra l’entrata del santuario.

Particolarmente suggestivi sono anche i padiglioni Al-Mukarrama e Al-Munawwara, in cui sono esposti pezzi rari provenienti dalle città sante di Mecca e Medina. Tra questi una struttura in argento un tempo utilizzata come castone per la Pietra nera, oltre a preziosi tessuti ricamati in oro. L’Esposizione offre inoltre un viaggio nel passato attraverso una raccolta di fotografie scattate a Mecca alla fine dell’Ottocento dal fotografo Abdulghaffar Albaghdadi Almakki, e un documentario in bianco e nero del 1928 che racconta il viaggio di un gruppo di pellegrini indonesiani durante il loro Hajj.

Accanto ai preziosi manufatti storici, la Biennale accoglie anche opere di arte contemporanea. Tra queste spicca Mishkah, l’installazione di Ahmad Angawi, artista saudita originario di Gedda. L’opera consiste in una lampada realizzata in legno intagliato con eleganti motivi geometrici ispirati ai lampadari delle moschee. Mishkah evoca simbolicamente Medina, città conosciuta fin dai tempi del Profeta con il nome di Al-Munawwara (“La Luminosa”), e celebra il legame tra luce, spiritualità e tradizione islamica.

La luce è anche il fulcro dell’opera Light Upon Light dell’artista britannico Asif Khan: un Corano formato da 604 sottilissimi fogli di vetro su cui il celebre calligrafo arabo Uthman Taha ha vergato in oro i versetti del Testo sacro dell’Islam.

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Light upon Light, Glass Quran [Oasis]

Osservando l’opera in controluce, si svela in modo straordinario la prima sura del Corano, Al-Fatiha (“L’Aprente”). Il titolo dell’installazione richiama il celebre versetto della luce (Corano 24,35), che descrive Dio come la «luce dei cieli e della terra», «Luce su Luce» che non si estingue mai. Per secoli questo versetto è stato fonte di ispirazione per i sufi nella loro esplorazione della dimensione interiore della fede e e della conoscenza metafisica.

Ahmad Mater, artista originario di Tabuk, interpreta in chiave simbolica il rito della circumambulazione della Ka‘aba con Magnetism, un’installazione che evoca il movimento circolare dei pellegrini attorno al santuario meccano.

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Magnetism [Oasis]

Al centro dell’opera si trova un piccolo magnete nero a forma di cubo, che richiama evidentemente la Ka‘aba, attorno al quale migliaia di schegge di ferro si dispongono in un moto orbitale, ricreando il tawaf. L’artista paragona questa forza di attrazione al moto dei pianeti intorno al sole o al movimento degli elettroni attorno al nucleo, suggerendo una connessione profonda tra microcosmo e macrocosmo. Magnetism diventa così una riflessione sull’armonia dell’universo, in cui forze opposte – luce e oscurità, attrazione e repulsione – coesistono in un perfetto equilibrio, seguendo un ordine divino.

Il delicato equilibrio del cosmo è messo a tema anche dall’artista vicentino Arcangelo Sassolino, la cui opera Memoria del divenire è una riflessione sul tempo, la trasformazione e la natura effimera dell’esistenza.

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Memoria del divenire [Oasis]

L’installazione presenta un grande disco metallico, montato su una parete e rivestito di un denso olio industriale. In un movimento costante, il disco ruota lentamente, lasciando cadere gocce di liquido a intervalli irregolari. La sua rotazione ininterrotta diventa simbolo dello scorrere del tempo, mentre il gocciolare lento e imprevedibile del liquido richiama l’inevitabile fluire e mutare della vita. Con un linguaggio materico, Sassolino traduce il concetto di divenire in un’esperienza visiva che invita alla contemplazione del cambiamento perpetuo.

Il padiglione AlMadar (“L’Orbita”) indaga il profondo legame tra numeri, conoscenza e spiritualità, mettendo in luce come la civiltà islamica abbia utilizzato la matematica per interpretare il mondo come manifestazione del divino. Attraverso una straordinaria raccolta di oggetti provenienti da 21 Paesi, il padiglione racconta il ruolo dei numeri nella mappatura del cielo, degli oceani e dei fiumi, tracciando un ponte tra la dimensione terrestre e quella celeste.

Di particolare rilievo sono i preziosi prestiti dalla Biblioteca Vaticana, tra cui antiche traduzioni del Corano e un manoscritto del Liber Abaci di Fibonacci, che introdusse il numero zero in Occidente. Accanto a questo testo è esposto un trattato del celebre matematico persiano al-Khwarizmi, vissuto nel IX secolo, il cui lavoro ha gettato le basi dell’algebra. La giustapposizione di queste opere sottolinea il valore degli scambi tra le civiltà, che nei secoli hanno contribuito a plasmare il sapere umano.

Un altro pezzo eccezionale della mostra è un’antica mappa del Nilo, redatta nel XVII secolo seguendo le descrizioni del viaggiatore ottomano Evliya Çelebi.

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Mappa del Nilo [Oasis]

La mappa, lunga 6 metri, rappresenta le sorgenti del fiume secondo una tradizione che le vuole originate da dieci corsi d’acqua sgorganti dalla leggendaria Montagna della Luna, situata nell’Africa orientale. Questo raro documento fu acquistato a Istanbul nel 1736 da Giuseppe Assemani (latinizzazione del nome arabo Yusuf al-Sim‘ani), grande collezionista di manoscritti e opere d’arte, arcivescovo maronita di Tiro e, dal 1739, prefetto della Biblioteca Vaticana. Un’opera che testimonia il costante dialogo tra scienza, esplorazione e cultura attraverso i secoli.

La Biennale islamica è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, come dimostra l’opera I Wish You in Heaven dell’artista saudita Fatima Abdulhadi. L’installazione esplora il significato simbolico del basilico nella tradizione islamica, una pianta associata sia alla celebrazione della gioia che al lutto per i defunti. L’opera invita il visitatore a percorrere un sentiero immerso tra piante di basilico, mentre sopra di esse fluttuano strisce leggere di stoffa bianca. Su queste superfici tessili, l’artista ha inciso motivi a inchiostro che imitano le ombre proiettate dalle piante sottostanti, creando un raffinato gioco visivo tra realtà e immaginazione. Attraverso questo intreccio di elementi naturali e simbolici, Abdulhadi riflette sul legame tra spiritualità e percezione sensoriale.

La Biennale di Arte islamica assume un significato profondo per l’Arabia Saudita, non solo come evento artistico, ma anche come strumento di diplomazia culturale ed elaborazione identitaria. È significativo che si svolga proprio a Gedda, una città che per secoli ha accolto milioni di pellegrini provenienti dall’Asia meridionale e dal porto di Suakin (nell’attuale Sudan), in viaggio verso la Mecca. Conosciuta anche come “la Nonna” – un epiteto che richiama il suo storico ruolo di accoglienza – Gedda ha sempre rappresentato un crocevia di culture, rendendola la sede ideale per un evento incentrato sul patrimonio islamico in chiave artistica.

Di grande rilevanza è anche la partecipazione della Biblioteca Vaticana, considerando che tra la Santa Sede e l’Arabia Saudita non esistono ancora relazioni diplomatiche ufficiali e che nel Regno non è consentita la pratica pubblica di religioni diverse dall’Islam. La presenza della Biblioteca Vaticana alla Biennale segna un passo significativo nel dialogo interculturale, impensabile fino a pochi anni fa, quando persino l’ingresso nel Paese con simboli di altre fedi visibili era vietato. Come ha sottolineato monsignor Angelo Zani, archivista dell’Archivio apostolico vaticano, «la collaborazione tra la Biblioteca Vaticana e la Biennale offre un’opportunità per promuovere la fraternità attraverso simboli universali, che fungono da potenti strumenti per la comprensione e la connessione tra culture diverse».

Dal punto di vista saudita, il coinvolgimento di artisti internazionali e il prestito di opere da istituzioni di prestigio rappresentano un modo per rafforzare i legami con la comunità culturale globale, consolidando il ruolo del Regno come attore chiave nel dialogo tra civiltà. Allo stesso tempo, la Biennale assume un’importante funzione interna: la grande affluenza di visitatori sauditi dimostra come l’arte possa diventare un mezzo per sensibilizzare il pubblico autoctono al patrimonio culturale islamico e alle sue connessioni con il mondo contemporaneo.

Infine, l’evento è un modo per promuovere gli artisti sauditi contemporanei, offrendo loro visibilità internazionale e contribuendo al più ampio processo di apertura culturale e sociale avviato nel Paese negli ultimi anni.