Cristiani e musulmani hanno contestato lo spettacolo di apertura dei giochi olimpici per le sue rappresentazioni blasfeme. La vera posta in gioco non è tuttavia il rispetto dei simboli sacri, ma il modo in cui il Vecchio Continente concepisce il proprio passato e il proprio futuro
Ultimo aggiornamento: 05/08/2024 10:25:51
Nel 2022, il campionato mondiale di calcio disputato in Qatar era stato accompagnato da un intenso dibattito sulle divergenze valoriali tra mondo musulmano e Occidente. La cerimonia di apertura delle Olimpiadi in corso a Parigi ha acceso una nuova polemica, unendo questa volta cristiani e musulmani. L’immagine di una tavola attorniata da drag queen, una parodia dell’Ultima Cena tardivamente rinnegata, ha infatti suscitato un vasto coro di critiche che ha per un attimo messo d’accordo vescovi, istituzioni islamiche e politici di destra. Le critiche più veementi sono però venute dai musulmani, offesi dal sacrilegio nei confronti di Gesù, che essi venerano come profeta. Il Corano, alla sura 5, contiene anche un’allusione a una Mensa discesa dal cielo a cui Gesù avrebbe convocato i propri discepoli e che taluni commentatori leggono come un riferimento all’ultima cena (ovviamente senza l’aspetto sacramentale contenuto nei Vangeli).
La moschea di al-Azhar, ad esempio, ha condannato la scena come «lesiva della nobile persona di Gesù e del suo elevato statuto profetico» e affermato che «qualsiasi ingiuria nei suoi confronti, o nei confronti di qualsiasi profeta è una vergogna per chi la commette e per chi la accetta». Ha inoltre invitato a non «sfruttare gli eventi internazionali per normalizzare le offese alla religione e diffondere malattie sociali indegne e distruttrici, come l’omosessualità e il transgender», e richiamato all’unità per «far fronte a questa corrente abietta e pervertita che punta a distruggere la religione». Sulla stessa lunghezza d’onda l’Unione Mondiale degli Ulema di Doha, che ha parlato di una «decadenza morale senza precedenti». A queste voci si sono unite quelle di numerose organizzazioni e personalità islamiche in diverse parti del mondo, compresa l’Italia.
Oltre a condannare la cerimonia parigina, molti musulmani hanno lamentato una certa passività dei cristiani, a loro avviso troppo remissivi di fronte all’entità dell’affronto. Non si tratta di una novità. Anche in passato, provocazioni simili hanno generato reazioni diverse. Ad esempio, le vignette di Charlie Hebdo che schernivano la Trinità non hanno prodotto lo stesso clamore di quelle che hanno preso di mira il Profeta dell’islam. In più di un’occasione, inoltre, il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb ha invocato un’alleanza tra le religioni, e in particolare tra cristiani e musulmani, contro l’ateismo e la blasfemia, senza però trovare un vero interlocutore da parte cristiana.
Il diverso atteggiamento di cristiani e musulmani di fronte alla satira e alla parodia anti-religiosa ha ragioni di varia natura. I cristiani d’Occidente vivono in società profondamente secolarizzate, dove da tempo è venuta meno la deferenza nei confronti dei simboli sacri, e sono probabilmente più assuefatti a gesti di questo tipo. Nel mondo musulmano la religione continua invece a permeare la vita pubblica e a godere di un rispetto generalizzato, e le azioni dissacranti sono considerate un grave oltraggio. Non è un caso che vescovi e cristiani orientali abbiano condannato l’esibizione parigina con parole più dure di quelle utilizzate dai loro confratelli europei. Ma probabilmente incidono anche le differenze teologiche. Islam e cristianesimo non hanno la stessa visione della rappresentazione artistica e non concepiscono allo stesso modo il rapporto tra Dio e il mondo. I cristiani credono in un uomo-Dio che è consegnato volontariamente alla passione e alla morte di croce, senza reagire alle offese. Per i musulmani la crocifissione è invece impensabile, in quanto significherebbe il fallimento di un inviato di Dio. Per questo, secondo la tradizione islamica a subire il supplizio non è veramente Gesù ma un suo sosia. Un profeta non può essere sconfitto, né schernito.
Anche a prescindere da queste considerazioni, la messa in scena parigina va letta in ogni caso come una raffigurazione emblematica del modo in cui l’Europa concepisce sé stessa e si presenta al mondo.
Per quanto in versione kitsch, a essere andata in scena nella Ville Lumière è infatti la traiettoria della cultura europea degli ultimi tre secoli. Come Horkheimer e Adorno hanno messo in luce nella loro celebre Dialettica dell’Illuminismo, se «l’Illuminismo è, per dirla con Kant, “l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità di cui egli stesso è colpevole”» e minorità è «l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro», l’opera del marchese De Sade «mostra “l’intelletto senza la guida di un altro”, cioè il soggetto borghese liberato dalla tutela». Il libertinismo è l’altro volto dei Lumi, e la rivoluzione sessuale è l’esito consequenziale della rivoluzione illuminista. La Maria Antonietta decapitata e il banchetto (o Ultima Cena) transgender non stavano assieme per caso nella cerimonia parigina.
La sfida che cristiani e musulmani hanno di fronte non è tanto cercare di arginare a suon di proteste e petizioni le manifestazioni più radicali dello spirito del tempo. Come ha evidenziato Olivier Roy nel suo L’aplatissement du monde, questo equivarrebbe ad accettare la logica della cultura che si sta contestando: quella «dei gruppi identitari che chiedono la fine della loro sofferenza» e che esigono una protezione particolare sulla base della loro condizione di vittime. Più urgente è invece saper mostrare le ragioni per cui riconoscere la dipendenza costitutiva dell’uomo da un Altro è in fondo più liberante dell’affermazione della sua illusoria autonomia assoluta.
A questo si aggiunge un aspetto che riguarda in particolare gli europei. La cerimonia di Parigi è stata anche l’emblema dell’attuale incapacità occidentale di interagire con le altre civiltà. È infatti singolare che l’evento che per eccellenza dovrebbe celebrare la concordia tra i popoli abbia finito per provocare tante polemiche e divisioni. Qual è il motivo di quest’incomprensione? Da alcuni secoli l’Europa e poi l’Occidente pretendono di possedere una cultura universale che in quanto tale merita di essere esportata, e talvolta imposta, anche altrove. Tale cultura ha assunto la forma prima del cristianesimo, poi dei diritti dell’uomo, della scienza moderna e della tecnologia. Oggi sembra volersi presentare nella veste della rivoluzione sessuale e dei “nuovi diritti”, considerati l’ultimo traguardo del progresso umano.
Il cristianesimo ha trasceso da tempo i confini del Vecchio Mondo e oggi non è in alcun modo rivendicato come proprio dagli europei. Scienza moderna e tecnologia hanno trovato casa a varie latitudini, svincolandosi dalla loro origine occidentale, come dimostra il livello che la Cina ha raggiunto in questo ambito. I diritti dell’uomo non hanno conosciuto la stessa diffusione incontrastata e non godono oggi di buona salute, anche se in forma magari sotterranea e tra tante contraddizioni hanno trasformato e continuano a trasformare anche le società extraeuropee. Per quanto riguarda la rivoluzione sessuale, come ha rilevato ancora Roy «l’utopia di una società “primitiva”, sessualmente libera e dunque armoniosa, ha sempre ossessionato l’età dei Lumi […]. Ma l’idea che la liberazione sessuale sia la madre di tutte le liberazioni non si è mai concretizzata». Essa ha dunque mancato la propria promessa in Occidente ed è fortemente contestata nel resto del mondo. Nel corso di questa parabola si è fatta strada in Europa una visione puramente negativa, che concepisce la storia come un passato di cui liberarsi e non come un’eredità da mettere criticamente a frutto. Una prospettiva avvilente per gli europei, e molto poco attraente per gli altri popoli.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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