Di Sua Beatitudine Gregorios III Lahham, Patriarca greco-melkita di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e del resto d’Oriente
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:22
L’espressione Chiesa degli arabi significa in breve che la Chiesa di Cristo che visse e vive in ambito arabo si trova in una relazione profonda con questo mondo arabo, con i suoi dolori e le sue speranze, le sue gioie e le sue sofferenze, le sue difficoltà e le sue crisi. È la Chiesa dell’Emmanuel, una Chiesa-con e una Chiesa-per, con la società araba e nella società araba. Senza dimenticare le sue radici arabe e la sua arabicità attraverso la storia e la geografia, la cosa più importante non è in questa espressione l’arabicità della Chiesa, ma la sua missione nella società araba. E la realtà è che questa società araba in cui vive la Chiesa araba, piantata in suolo arabo e seminata nella profondità della sua storia e geografia - la realtà è che questa società araba è nella sua maggioranza musulmana. In essa i cristiani costituiscono 15 milioni su un totale di circa 260. Perciò la Chiesa degli arabi è la Chiesa della società araba, la Chiesa del mondo arabo ed è anche la Chiesa dell’Islam, la Chiesa della società musulmana. Una Chiesa che vive in questo mondo arabo e musulmano, che interagisce con esso, soffre con esso e con esso gioisce, costruisce e spera, crede ed ama. Essa è davvero la Chiesa dell’Emmanuel, la Chiesa-con e la Chiesa-per. Una Chiesa alla scuola di Gesù In ciò la Chiesa dell’oriente arabo, la Chiesa dell’Islam, si mette alla scuola del suo Maestro, il Signore Gesù, l’Emmanuele, il Dio amore, il Dio della redenzione, della salvezza e del dono, il quale definì lo scopo della Sua incarnazione e della Sua nascita in questi termini: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45). Ed ancora: « Io sono venuto perché abbiano (tutti abbiano) la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). San Paolo soggiunge: «Cristo non cercò di piacere a se stesso» (Rm 15, 3) e ancora: «Nessuno di noi vive per se stesso» (Rm 14, 7). E Gesù ci ha detto: «Voi siete la luce del mondo! Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16). Questi santi versetti rappresentano un chiaro invito rivolto ad ogni cristiano perché esca da se stesso e dal suo isolamento, dalla sua gente: («Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre» Gn 12,1) e da tutto ciò che potrebbe costituire un ostacolo tra sé e l’altro, in modo da poterlo incontrare per essere anch’egli Emmanuel ... un uomo-con e per. Una Chiesa con l’uomo Il cristiano deve superare se stesso, la sua Chiesa e la sua persona per essere davvero “cattolico” (cioè universale). Il termine Chiesa degli arabi e dell’Islam esprime uno dei tratti della Chiesa nel Credo: «Credo la Chiesa, una, universale (cattolica)», cioè raggruppante ogni cultura, civiltà, lingua, nazione ed etnia. L’espressione Chiesa degli arabi non è uno slogan, né un oggetto di vanto o autocompiacimento, né un titolo di distinzione, un certificato di buona condotta, una eccessiva manifestazione di superbia. Questa espressione non appartiene all’ordine del mancante, del superfluo, del secondario o dell’aggiunto, non è oggetto di un gioco al rialzo; essa è parte del nostro credo e dei nostri dogmi. Se fossi in India, direi Chiesa degli indiani, dell’Induismo e del Buddismo. Perciò posso dire che la mia Chiesa è la Chiesa dell’uomo, di ogni uomo e per ogni uomo, per ogni tempo e per ogni luogo, una Chiesa davvero universale e cattolica. Nella sua onnicomprensività non perde le sue particolarità, nel suo calarsi nelle particolarità non dimentica la sua universalità e cattolicità. Una Chiesa con l’Islam Noi cristiani arabi abbiamo un rapporto profondo con i musulmani dei paesi arabi: condividiamo con loro la carne ed il sangue, l’etnia, la nazionalità e le tribù, la cultura, la civiltà e le usanze. Siamo una Chiesa che convive quotidianamente da 1400 anni fianco a fianco con l’Islam, da esso profondamente influenzata. Lungo la storia la nostra Chiesa ha condiviso con i connazionali musulmani importanti responsabilità nazionali, sociali e addirittura militari. L’Islam è presente in tutte le nostre società, famiglie, interessi, congressi, studi, prediche e conferenze, pensieri, analisi sociali e progetti. Tu, cristiano, non puoi passare accanto al tuo fratello musulmano in questa patria come se ti fosse estraneo o non ti riguardasse! Tu sei con lui in un dialogo esistenziale, quotidiano e rivolto al destino. Quando diciamo Chiesa dell’Islam intendiamo con ciò la comunità dei cristiani che si segnalano per la loro relazione singolare con i musulmani. E tutti noi conosciamo che i servizi offerti dalla Chiesa ben di rado distinguono tra cristiani e musulmani. Chiesa dell’Islam significa una Chiesa la cui storia, presente e passata, e la cui cultura è legata in maniera strettissima all’Islam ed ai musulmani. Conosciamo tutti la grandissima quantità di studi circa l’Islam prodotti dai cristiani locali, senza menzionare la mole enorme delle opere scritte dagli studiosi occidentali sull’Islam. Il termine Chiesa dell’Islam esprime dunque il legame della Chiesa con l’Islam, a livello di esistenza, coscienza, destino, civiltà, spiritualità e cura pastorale. Chiesa dell’Islam esprime la particolare responsabilità che portiamo verso l’Islam ed i musulmani. Nessun proselitismo, ma solidarietà e convinzioni comuni Chiesa dell’Islam non significa assolutamente comunità di musulmani che abbracciano il cristianesimo e neppure comunità di cristiani che si adoperano per guidare i musulmani al cristianesimo. Questa espressione, a parer mio e secondo l’analisi che ne faccio, è lontanissima dall’idea del proselitismo in ogni sua forma. Questa espressione, per me, è sinonimo di amore e rispetto, collaborazione e solidarietà, ottimismo, dialogo, convivialità, compassione e sostegno reciproco, lavoro comune nei nostri paesi arabi per costruire un mondo migliore, per edificare la civiltà dell’amore. È necessario che queste convinzioni siano condivise da tutti noi, figli e figlie della nostra Chiesa patriarcale (e insomma da tutti i cristiani). Esse devono costituire la Magna Carta della nostra spiritualità, dei nostri insegnamenti negli istituti del clero per la formazione dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, e dell’insegnamento nelle nostre scuole ed istituzioni, in tutte le fondazioni religiose, culturali, sanitarie, professionali e sociali. Queste convinzioni non sono una libera opzione, né una scelta strategica legata alle condizioni particolari di una certa situazione politica o sociale. Queste convinzioni sono un fattore essenziale per la scoperta del senso della nostra vocazione, dell’essenza della nostra missione di cristiani greco-cattolici, o in generale, della nostra missione nella nostra società araba mediorientale. Per quanto mi riguarda, questa è una condizione vitale e fondamentale per limitare l’emigrazione cristiana che si va aggravando nelle nostre chiese. Emerge con chiarezza l’importanza di questo ruolo per i cristiani dopo gli eventi che hanno marcato gli inizi del terzo millennio cristiano, tra cui i fatti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, l’11 marzo 2004 in Spagna, l’11 settembre 2004 in Russia, e la guerra contro l’Iraq del 2003 e tutte le tragedie che sono successe e continuano a succedere. Chiesa Emmanuel – Chiesa con e per La permanenza della Chiesa e dei cristiani ai loro posti è una permanenza a fianco dei connazionali nei paesi arabi e anche nei paesi della diaspora, al fine di operare insieme per affermare valori che necessariamente dovranno assumere una rilevanza maggiore nel mondo arabo, soprattutto per quanto concerne i diritti umani e le libertà fondamentali, tra cui la libertà religiosa, di fede e di coscienza, la dignità dell’uomo, l’apertura ed il dialogo est-ovest, il pluralismo intellettuale e politico nelle istituzioni arabe. Chiesa dell’apertura e degli orizzonti e non Chiesa dell’emigrazione Partiamo dalla nostra Chiesa greco melkita per essere Chiesa dell’Emmanuel nel consorzio umano, qui nei nostri paesi arabi e nei paesi della diaspora nel mondo intero. Desideriamo esprimere il nostro vivo auspicio che la nostra Chiesa sia e resti una Chiesa senza confini, una Chiesa degli orizzonti, delle larghe vedute, dell’apertura e del progresso, una Chiesa con e per. Comprendere davvero che cosa significhi che Gesù è chiamato Emmanuel, comprendere il senso della Chiesa che serve, della Chiesa degli arabi e dell’Islam, comprendere tutte queste espressioni e le realtà che designano è di un’estrema importanza. Perché se il cristiano orientale, il cristiano arabo, egiziano, siriano, libanese, giordano, sudanese, non comprende il senso del nome di Gesù e del suo stesso nome di cristiano, del suo essere battezzato nel nome di Gesù, del suo essere chiamato cristiano in relazione a Cristo Gesù, se non comprende di essere erede di coloro che per la prima volta ad Antiochia furono chiamati cristiani (At 11, 26), se non comprende questo nome e questa realtà, se non percepisce questo ruolo e questa missione, se non si rende conto che non vive per se stesso, quest’uomo, anche se si chiama cristiano, ha già perso gran parte del significato del cristianesimo, del suo battesimo, della sua cresima, dei sacramenti e della sua appartenenza ecclesiale. Così è esposto allo spirare dei venti ed è un emigrante in potenza. E così questi paesi che sono cristiani nella loro nascita, origine e radici, diventeranno musei a causa dell’emigrazione dei loro figli, resti e rovine e di loro si dirà: «Qui visse Gesù; qui vissero i cristiani. Qui ... ieri, ma poi sparirono, emigrarono e sparirono e la loro società araba, da cui venivano, cui appartenevano e di cui formavano una parte imprescindibile, perse così fratelli, parenti, compagni della storia araba e artefici di essa, artefici della civiltà arabo-islamica, della letteratura araba, della filosofia e delle scienze». La presenza cristiana in Oriente: responsabilità islamo-cristiana Come agli inizi dell’Islam i cristiani svolsero il loro ruolo soprattutto traducendo l’eredità greca in arabo, così oggi essi devono svolgere un ruolo culturale a fianco dei loro fratelli musulmani. La mia speranza, il mio desiderio, il mio auspicio, la mia preghiera e la mia supplica è che i musulmani operino insieme ai loro fratelli cristiani. Ciò che io faccio come Patriarca e ciò che fanno gli altri Patriarchi ed i Vescovi miei confratelli, i monaci e le religiose e le varie associazioni per mantenere una presenza cristiana nella regione costituisce un piatto della bilancia. Il sostegno dei miei fratelli musulmani a questo progetto, il “progetto per la presenza cristiana nei paesi arabi”, costituisce l’altro piatto, ed il più importante. A questo del resto ci invitano i nostri fratelli musulmani intellettuali ed illuminati.