Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 20/12/2024 15:35:57

Questo è l’ultimo appuntamento del 2024 con Focus attualità e Rassegna dalla stampa araba. Ci prendiamo due settimane di pausa e ci rivediamo il 10 gennaio. Buon Natale e felice anno nuovo!

 

La stampa araba continua a seguire da vicino gli eventi in Siria. Due sono i temi principali analizzati. Il primo riguarda il fallimento del progetto geopolitico iraniano in Medio Oriente e il futuro dell’Iraq, considerato come la prossima pedina dell’Asse della Resistenza che potrebbe cadere; il secondo è rappresentato dalle numerose incognite del percorso di rifondazione politica del nuovo Stato.

 

Apriamo con il quotidiano di proprietà saudita al-Sharq al-Awsat che, nel corso di un’intervista ad Ahmad al-Sharaa (al-Jawlani), domanda quale messaggio voglia dare il leader di Tahrir al-Sham alle monarchie del Golfo. La risposta è chiara e soprattutto rassicurante: «la rivoluzione siriana è terminata con la caduta del regime e non permetteremo che venga esportata in qualsiasi altro posto; la Siria non sarà una piattaforma per lanciare attacchi o per suscitare le preoccupazioni di qualsiasi Paese arabo o del Golfo». Sullo stesso giornale, l’ex presidente dell’Iraq Berham Salih invita a non ricommettere gli errori avvenuti nel suo Paese vent’anni fa: la caduta del partito Ba‘th siriano costituisce di certo un fatto positivo, così come lo fu a suo tempo la dissoluzione di quello iracheno nel 2003. Tuttavia, la Siria non è ancora stabilizzata e sul suo suolo sono ancora presenti diversi gruppi terroristi: «l’ultima cosa di cui il Medio Oriente oggi ha bisogno è l’ascesa di organizzazioni jihadiste armate. Perché questa regione non è un Afghanistan allargato, anzi è molto più collegato al resto del mondo ed è molto più strategico». Per questo motivo, «il futuro della Siria è cruciale non solo per il suo popolo, ma anche per i suoi vicini. Il Libano, infatti, ha urgente bisogno di ripristinare il suo Stato civile e democratico e di avere stabilità e pace dopo questi difficili anni di scontri e guerre. Al contempo, nel mare magnum delle grandi trasformazioni regionali, l’Iraq si trova di fronte a un bivio. Deve essere assolutamente attento a quanto sta succedendo in Siria, e deve essere un aiuto per i suoi fratelli siriani al fine di mantenere stabilità e sicurezza. Ma noi non possiamo giocare questo ruolo se non risolviamo i nostri problemi strutturali legati alle istituzioni e al potere».

 

Questa preoccupazione è condivisa anche dal giornalista iracheno Farouk Youssef che dalle colonne di al-‘Arab invita il suo Paese a liberarsi dal giogo persiano: «la cecità confessionale non sarà un destino eterno» per Baghdad che, «ostaggio» di Teheran, negli ultimi anni è «diventata un mero cortile per giovani persiani». «Si dice che sia giunto il turno di Baghdad. È tempo di liberarla dall’occupazione persiana dopo che Beirut si è avvicinata alla salvezza e Damasco si è liberata dall’eterno Assad che le ha dato fuoco prima di scappare via, nel silenzio dell’Iran e di coloro che sono ancora suoi alleati in Iraq e in Yemen». Il giornalista libanese Khayrallah Khayrallah amplia il ragionamento e commenta la grave crisi che sta attraversando il progetto iraniano dell’Asse della Resistenza: «l’Iran non possiede un’economia solida che le permetta di realizzare il suo progetto espansionista. Purtroppo, il crollo di questo progetto è arrivato con molto ritardo, dopo che il regime “della minoranza” in Siria è riuscito a distruggere gran parte del Paese provocando gravi danni alla sua società». Sopra all’articolo campeggia una grande vignetta: l’ayatollah Ali Khamenei scende dalla sua vettura chiamata “progetto iraniano” e osserva con sgomento che il motore a forma di busto di Assad è caduto a terra frantumandosi. Nel frattempo, sul quotidiano libanese Asas, vicino alle monarchie del Golfo, compare una misteriosa intervista all’ex presidente Bashar al-Assad, il quale nega di essere fuggito dal Paese e conferma la pesante ingerenza degli iraniani nel Paese. Il contenuto della conversazione e il fatto che l’intervista sia passata in sordina, senza essere ripresa da alcun altro media arabo o internazionale, solleva più di un dubbio sulla sua autenticità. Giudizio molto negativo sul futuro del Paese da parte del quotidiano emiratino al-Ittihad: con l’opposizione dominata dalle milizie islamiste e il “grande gioco” delle potenze regionali, «non ci sono segnali di un’imminente soluzione politica. Sembra che la Siria continuerà a essere un teatro di caos e scontri, molto probabilmente condotti dai vari gruppi» ribelli.

 

Sui quotidiani di orientamento filo-qatariota, invece, la felicità per la caduta di Assad si alterna alle incertezze sulla fase di ricostruzione dello Stato e dell’economia. L’emittente Al Jazeera elenca le principali “mine” che costellano il percorso politico del nuovo governo siriano: anzitutto la «sete» e il desiderio espansionista dello Stato ebraico che ha occupato nuove porzioni del Golan e il monte Hermon. Vi è poi la questione curda, che potrebbe essere strumentalizzata dagli attori regionali per frammentare il Paese e impedire la riunificazione politica e statuale. Il terzo punto riguarda la concordia nazionale: «le forze della rivoluzione e le fazioni dell’opposizione hanno background, esperienze e percorsi molto diversi e talvolta inconciliabili. Il mosaico siriano ha bisogno di un collante che lo mantenga unito. Eliminare qualsiasi tessera produrrà conseguenze indesiderabili». Una vignetta di al-‘Arabi al-Jadid raffigura la nuova Siria come una grande farfalla avente i colori della bandiera rivoluzionaria; tutt’intorno, però, ragni, vespe, camaleonti, lucertole e rane la fissano intensamente, pronti a inghiottirla. Ma i problemi non riguardano soltanto i potenti e influenti attori esterni, ma anche la società siriana che ora è chiamata a partecipare compattamente al processo di edificazione dello Stato. A tal proposito, lo scrittore e traduttore siriano Yazin al-Haj critica l’opposizione moderata che, anche a causa delle divisioni interne, non ha giocato un ruolo significativo nella caduta di Bashar al-Assad: «ci si è posti più volte la stessa domanda: la Siria si trasformerà in un nuovo Afghanistan o in una nuova Libia? Questo interrogativo è stato accompagnato da espressioni che sembravano tracciare uno scenario fosco per il Paese, ossia il timore che venisse proclamato l’“emirato islamico”, imposto l’hijab o che arrivasse l’estremismo in un Paese moderato. In realtà nessuno di questi scenari si è verificato». Certo, non sono mancati episodi di violenza e Tahrir al-Sham conserva una matrice “islamista”; tuttavia – osserva al-Haj – «l’opposizione civile e “laica” non ha avuto una forte presenza in questo periodo. Non sono state rilasciate dichiarazioni né sull’operazione “Deterrenza contro l’Aggressione” né sulle difficili condizioni di vita dei siriani […]. C’è una grande differenza tra un sano scetticismo che sia costruttivo verso il potere, qualunque esso sia, e le vecchie accuse sul “furto della nostra rivoluzione”, come se queste persone che sono arrivati al potere fossero dei nuovi mujahiddin stranieri e non dei siriani che hanno dei diritti come qualsiasi altro siriano. Può sembrare completamente ovvio, ma trattare Tahrir al-Sham come un governo di stranieri o come un governo barbaro per il solo fatto che è islamista avrà gravi conseguenze […]. C’è solo una un’unica via d’uscita a questa polarizzazione disastrosa: l’opposizione di sinistra e laica deve scendere dalla torre degli slogan degli anni Cinquanta, scendere nelle strade e parlare con la gente come fa Tahrir al-Sham». 

 

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