La controversia mediatica che è seguita alla censura del libro di Asma’ ‘Uthmān al-Sharqāwī alla Fiera del Libro del Cairo ha sollevato questioni delicate sulla posizione della donna nell’Islam e sulla libertà di espressione nel contesto arabo contemporaneo

Ultimo aggiornamento: 18/02/2025 10:24:11

«Leggi! In principio era la Parola». Questo l’audace titolo della cinquantaseiesima fiera internazionale del libro del Cairo, che si è svolta dal 23 gennaio al 5 febbraio scorso. Audace perché combina la prima parola del Corano secondo l’ordine cronologico ammesso («Leggi!», 96,1) con il primo versetto del Vangelo di Giovanni: in arabo, infatti, al-kalima è sia la parola in senso generico sia il Verbo in senso teologico.

 

Un collage islamo-cristiano

Quella di citare il Vangelo non è una scelta da poco per una manifestazione culturale che per molti decenni è stata la più importante del mondo arabo. Se oggi il podio del primo posto è forse passato alla fiera del libro di Sharjah negli Emirati, la manifestazione cairota continua a radunare migliaia di case editrici, quest’anno 1345 da 80 Paesi secondo il sito ufficiale, e vede un’intensa partecipazione di pubblico.

Il titolo evangelico-coranico è peraltro in linea con la politica statale che negli ultimi anni ha molto insistito sull’armonia tra i musulmani e la minoranza cristiana copta (tra il 7 e il 10% a seconda delle stime). Scelte come questa mostrano come il punto sia ormai acquisito nel discorso ufficiale. E naturalmente sollevano domande interessanti anche nel nostro contesto occidentale: sarebbe possibile, per la Fiera del Libro di Francoforte o per il Salone del Libro di Torino, proporre un analogo collage di un passo evangelico e di uno coranico? Probabilmente no – per sospetto verso l’Islam da parte degli uni, per avversione alle proprie radici culturali cristiane nel caso di altri.

Peraltro, è utile sottolineare che anche per l’Islam «in principio era la Parola»: per il Corano, infatti, la creazione dell’universo è avvenuta tramite una parola divina, l’imperativo kun (“sii!”) che Dio avrebbe rivolto alla realtà per trarla dal non essere all’essere. E anche se questo pensiero è probabilmente estraneo agli ideatori della manifestazione, non si può non ricordare che fu proprio ad Alessandria d’Egitto, nei primi secoli del Cristianesimo, che si sviluppò un intenso dibattito sullo statuto della parola divina. Ne uscì il Credo di Nicea, di cui quest’anno ricorrono i 1700 anni.

 

Gli hadīth, ancora loro

E tuttavia non il Credo di Nicea o lo scontro tra Ario e Atanasio, ma un altro confronto ha tenuto banco alla Fiera e sui media egiziani. Pietra dello scandalo è stato il libro Complete in ragione e religione di Asma’ ‘Uthmān al-Sharqāwī. A priori, nulla predestinava l’autrice, figlia di uno shaykh, musulmana praticante, da oltre 25 anni dedita alla predicazione e con all’attivo una serie di pubblicazioni di argomento religioso, ad assurgere a un’improvvisa e non ricercata notorietà mediatica. Galeotto fu il titolo e chi lo scrisse, potremmo dire parafrasando Dante. Complete in ragione e religione, infatti, si pone in voluta tensione con una famosa tradizione attribuita a Muhammad (hadīth), che descrive le donne come «manchevoli in ragione e religione». Reagendo a quello che ai loro occhi si configurava come «un attacco alla tradizione profetica», alcuni gruppi molto rumorosi hanno subito lanciato una virulenta campagna mediatica che alla fine ha spinto la casa editrice, al-Sirāj, a ritirare il libro dalla circolazione, con tanto di lettera di scuse per aver urtato, seppure involontariamente, la sensibilità di molti credenti. È poi emerso che si trattava in realtà di una semplice ristampa: il testo era già stato pubblicato nel 2022 e la prima edizione si era esaurita senza incappare nei radar della censura[1].

Questa volta però non è andata così, complice la visibilità legata alla Fiera, e la ragione è semplice. Il libro centra in modo esemplare un nervo scoperto del pensiero islamico contemporaneo. L’autrice, che alla polemica da talk show preferisce l’argomentare accademico, spiega nell’introduzione che, nel corso della sua attività di predicatrice, è rimasta sempre più perplessa dalla presenza di un corpus di tradizioni misogine attribuite al Profeta dell’Islam. Oltre alla poco lusinghiera descrizione delle credenti come «manchevoli in ragione e religione», queste tradizioni affermano ad esempio che un popolo non può prosperare se è a guida femminile o assimilano la donna che cammina per strada a un demonio da cui cercare rifugio nell’intimità della propria casa. E via discorrendo.

 

L’ultima guardiana del Tempio della tradizione

Il problema è che questi hadīth si trovano nella raccolta di al-Bukhārī, che è considerata come contenente solo tradizioni autentiche e dunque vincolanti per i musulmani (e le musulmane). Il procedimento di Asma’ ‘Uthmān al-Sharqāwī è piuttosto semplice: dopo aver ricordato la diversa modalità di messa per iscritto del Corano e degli hadīh (più breve la prima, più lunga e tormentata la seconda), procede a una critica del testo delle tradizioni in oggetto e non soltanto delle loro catene di trasmettitori e attraverso un confronto con il Corano cerca di dimostrare che sei di questi hadīth particolarmente misogini sono falsi pur trovandosi in al-Bukhārī. Infine, per rafforzare la sua conclusione, passa in rassegna altri studiosi musulmani che nel corso dei secoli hanno occasionalmente messo in dubbio l’autenticità di questa o quella tradizione della raccolta di al-Bukhārī.

Il suo sembrerebbe un procedimento piuttosto lineare, che rimane all’interno della tendenza testualista tipica di gran parte dell’Islam contemporaneo. Ad esempio, l’autrice non si sforza nel libro di ricostruire il contesto in cui queste tradizioni interpolate avrebbero visto la luce, benché esse si prestino, a chi conosca il Vicino Oriente tardoantico, a facili paralleli con la letteratura tardo-antica sia monastica sia rabbinica. In astratto, un’altra e ben più pericolosa strada di ragionamento sarebbe stata possibile: si sarebbe potuta affermare l’autenticità delle tradizioni e al tempo stesso relativizzarne l’importanza per il presente. Paradossalmente, è proprio per evitare questo tipo di critica contestuale, che potrebbe avere effetti devastanti per il diritto islamico, che l’autrice sceglie di scartare questi hadīth. A conti fatti, la sua proposta è di sacrificare alcune tradizioni (sei di numero) per mantenere in vita il principio del ricorso alla tradizione. Eppure, è bastato questo per scatenare una tempesta mediatica.

L’episodio mostra quanto sia oggi sensibile il tema femminile, soprattutto se a trattarlo è una donna che argomenta secondo il lessico delle scienze islamiche. In realtà, come spesso accade, la censura ha ottenuto il risultato opposto. Pochi giorni dopo il comunicato della casa editrice, Asma’ ‘Uthmān al-Sharqāwī ha annunciato di aver reso disponibile gratuitamente online il pdf del suo libro e le sue tesi sono state ampiamente dibattute su alcuni canali egiziani. Con tutti i pericoli di echo-chambers a cui i social media sono esposti, la diffusione di Internet rende sempre più difficile il controllo del dibattito culturale da parte delle autorità statali e religiose. In questo senso possiamo concludere che, nonostante lo sgradevole episodio di autocensura da parte della casa editrice, si è in fondo realizzato l’auspicio della Fiera: «Leggi! In principio era la Parola».

 

[1] Ilhām al-Kardūsī, al-Qissa al-kāmila li-sahb “Kāmilāt ‘aql wa-dīn” fī Maʿrad al-Kitāb… Qarār Dār al-nashr [La storia completa del ritiro di “Complete in ragione e religione” alla Fiera del Libro. Decisione della casa editrice], «Elwatannews», 4 febbraio 2025, https://www.elwatannews.com/news/details/7819691#goog_rewarded.