Intervento di Maria Laura Conte alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:51:31

AVSI, organizzazione non profit, nata nel 1972, realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 40 Paesi inclusa l’Italia. La sua vision: lavorare per un mondo in cui ogni persona sia protagonista dello sviluppo integrale suo e della sua comunità, anche in contesti di emergenza. Nell’ultimo anno ha sostenuto più di 7 milioni di beneficiari diretti con 364 progetti. Di questi, 187 – ovvero il 51% di tutti i progetti implementati da AVSI nel 2022, rientrano nell’ambito delle migrazioni e hanno contribuito a sostenere 565.702 rifugiati e migranti. Intesa in modo trasversale, la tematica della migrazione è sempre integrata in tutti i settori in cui AVSI opera: Educazione, Agricoltura e sicurezza alimentare, Protezione dell’infanzia, Energia, Ambiente, Formazione professionale e lavoro, Rafforzamento economico e livelihood, Nutrizione, Città sostenibili, Diritti umani, democrazia e pace, Salute, Acqua e igiene.

 

Ripartire dall’idea di cooperazione come alleanza alla pari

 

Anche nel suo approccio alle migrazioni, AVSI pratica un metodo di lavoro che trova alimento in un modo di concepire lo sviluppo che capovolge vecchi stereotipi e categorie, purtroppo ancora influenti. La divisione “noi/loro” (noi ricchi e sviluppati/loro poveri e sottosviluppati), non esiste più. L’agenda 2030 lo sostiene da decenni, la pandemia lo ha tragicamente confermato, ma gli approcci e i finanziamenti di molti donatori sono ancora pensati come l’aiuto di una parte verso l’altra e a corto raggio. La cooperazione si sta già muovendo per cambiare, ma occorre fare molto di più: tante organizzazioni e donatori con l’alibi di “mandati specifici” lavorano poco per costruire una risposta solida ai problemi nelle diverse situazioni, troppo spesso si limitano a fare un piccolo pezzo, per poi lasciare la situazione sostanzialmente immutata. La conseguenza è che le crisi diventano cicliche e ripetute. Occorre invece spingere per uscire da questa visione limitata nello spazio e nel tempo e guardare oltre.

 

L’Africa che conosciamo sul terreno

 

Non è un altrove, un luogo lontano da noi e dallo sviluppo: l’Africa è qui. I destini di Europa, Mediterraneo e Africa sono interconnessi. Non vanno dimenticati tutti i temi africani più drammatici, connessi a instabilità politica che genera insicurezza, corruzione che crea sfiducia e spreco di risorse, mancanza di sicurezza alimentare, per citarne solo alcuni. Sono dati di realtà e costituiscono delle condizioni concrete da tenere sempre in considerazione. Ma grazie all’esperienza concreta di centinaia di progetti di sviluppo, realizzati in collaborazione con decine di organizzazioni della società civile locale e istituzioni, AVSI conosce anche altri volti dell’Africa: vi sono tanti paesi diversi, ognuno con le sue particolari risorse, molti sono in crescita e chiedono partner affidabili – non salvatori, né coloni – che sappiano lavorare insieme.

 

Fondi importanti per l’Africa sono già disponibili o promessi, da parte della UE (p.e. il Global Gateway, che intende mobilitare fino a 150 miliardi di euro in investimenti per la transizione energetica e digitale, crescita sostenibile e occupazione, sistemi sanitari, educazione…) e degli USA. Il vero obiettivo pratico è renderli accessibili ai soggetti in grado di spenderli bene, in modo trasparente e di impatto, ai protagonisti del dinamismo della realtà africana.  Solo qualche cenno: le imprese innovative crescono a ritmo sostenuto e attraggono quantità sempre maggiori di investimenti (arrivati nel 2021 a 5 miliardi di dollari); se solo fino a qualche anno fa l'Africa non aveva un solo “unicorno”, oggi conta circa 7 startup che superano il miliardo di dollari di valore; ci sono più di 150 fondi di investimento attivi nel continente e un ecosistema di oltre 600 incubatori, in espansione. Certo questo fermento ha bisogno di infrastrutture fisiche e istituzionali, e servizi in parte non ancora esistenti, ed è a questo livello che si può interagire. Insieme, alla pari, Europa Africa, Mediterraneo.

 

L’Africa si è dimostrata (paradossalmente per qualcuno) capace di reagire a recenti shock economici globali, di più a volte di altre aree del mondo. L’area subsahariana ha sofferto l’impatto del Covid, ma nel 2023 crescerà al ritmo del 3.8%. Entro il 2030 si calcola che la spesa combinata di consumatori e imprese toccherà i 6.7 trilioni di dollari trainata dalla crescita di una classe media e dal processo di integrazione dell’African Continental Free Trade Area. Il continente più giovane del mondo è destinato ad arrivare a 2,3 miliardi di persone in 30 anni, con un tasso di crescita demografica del 2,7% all’anno, contro l’1,2% dell’Asia e lo 0,9% dell’America Latina. L’aspettativa di vita prevista è in continuo aumento, dai 61 anni di oggi ai 68 del 2040, entro il 2050 più di un quarto dell’umanità sarà africana e la crescita demografica provocherà l’aumento della domanda di servizi pubblici e di infrastrutture.

 

Sono trend questi che non nascondono né cancellano la fame, la povertà, i conflitti in corso, il terrorismo, i regimi antidemocratici, il mancato accesso a un’educazione di qualità che ancora colpiscono troppe persone nei paesi africani, e sono la ragione per cui sono presenti sul terreno tante organizzazioni di cooperazione allo sviluppo. Ma se occorre misurare i bisogni e le diseguaglianze, altrettanto occorre aprire gli occhi su tutti i processi che tendono a restare in ombra.

 

Sviluppo della persona e della sua comunità

 

Perché tale nuova partnership auspicata (Africa, Europa, Mediterraneo) non sia solo un enunciato occorre co-progettare con le comunità locali per integrare simultaneamente interventi economici con interventi sociali, piani sanitari con interventi di tutela dell’ambiente: non ha senso costruire infrastrutture senza partire dal coinvolgimento progettuale delle comunità che le useranno. O disegnare piani vaccinali, senza partire da singoli, comunità, istituzioni locali.

 

Se si punta allo sviluppo, non si può mai separare il bene della singola persona da quello della famiglia-comunità a cui appartiene: se va ridisegnata l’urbanistica di un quartiere di periferia, lo si deve fare con gli abitanti, co-progettando; se vanno aiutati profughi e rifugiati, si devono creare programmi che sostengano insieme chi accoglie e chi arriva. Uno sviluppo sostenibile a tutte le latitudini necessita di piani a lungo termine, tagliati su misura.

 

Lapproccio integrato, sistemico e multistakeholder

 

Ciò richiede integrazione e collaborazione anche di tutti gli attori coinvolti nello sviluppo fino ai governi dei paesi in cui operiamo; richiede sussidiarietà, co-programmazione, co-progettazione, co-implementazione, accompagnamento. Mai paternalismo, ma invito al protagonismo. L’approccio multistakeholder chiama in campo tutti i soggetti investiti dalla sfida dello sviluppo: c’è questo ampio spazio per sperimentare e innovare, si pensi anche solo all’ambito dell’economia sociale e sostenibile. Sebbene persistano approcci settoriali, anche tra le agenzie internazionali, le analisi monodimensionali sono destinate a descrivere parzialmente, e quindi inefficacemente, una questione.

 

Sfide e direttrici di impegno

 

Per sfide complesse servono principi nuovi di collaborazione in tutti gli ambiti. Sono sfide di portata globale, avvicinabili solo grazie a una condivisione strategica, che permetta di superare sul terreno il teorema obsoleto sviluppo/assistenza umanitaria/sicurezza e a formulare soluzioni durature e sostenibili lungo direttrici diverse quali per esempio:

 

  1. la trasformazione digitale dell'economia e dei servizi nel continente africano continua ad essere inadeguata e deve essere sviluppata con determinazione strategica

  2. il coinvolgimento delle imprese private in partnership con le realtà nate in Africa e nell’area mediterranea, in modo che si possa espandere e unificare il sistema economico africano in un unico grande mercato digitale e sviluppare il mercato interafricano, quale fattore di stabilità sociale e di crescita economica della regione

  3. la valorizzazione della conoscenza di tutte le culture di appartenenza (africane, europee, mediterranee) come base per un dialogo autentico, per la crescita comune e l’educazione alla pace

  4. la transizione energetica e climate-smart economy per trasformare i principi dello sviluppo economico internazionale, e ridefinire il dialogo economico tra l'Africa e il resto del mondo interessato alle sue fonti energetiche e ai suoi consumi

  5. la promozione della competitività e della produttività africana e mediterranea per la creazione di imprenditorialità responsabile e di posti di lavoro

  6. la promozione del lavoro dignitoso sempre e ovunque come possibilità per tutti di uscita dalla povertà e di contrasto all’emigrazione irregolare

 

Non si tratta di ambizioni astratte perché in parte sono contenute in processi già avviati. Lo documentano innumerevoli progetti in corso in molti paesi di Africa e Mediterraneo che integrano azioni in ambito educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di avvio di imprese, collaborando con la società civile locale, con le imprese, con le istituzioni impostando modelli di partnership paritetiche.

 

Alla luce di quanto sostenuto sin qui, AVSI avanza alcuni suggerimenti molto concreti su cui costruire piani di breve, medio e lungo periodo che possano avere come effetto sviluppo equo e governo dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa:

 

  1. la conoscenza integrale di tutti i fattori di potenziale sviluppo

  2. l’approccio multistakeholder

  3. il coinvolgimento della società civile per disegnare risposte integrali e integrate

  4. la valorizzazione delle diaspore e la loro partecipazione ai processi decisionali

  5. il rapporto con le imprese, sia locali che internazionali

  6. il blending di prestiti e finanziamenti a fondo perduto

  7. gli investimenti nell’educazione (dalle scuole per l’infanzia fino alla terziaria) come via per far uscire generazioni intere dalla poverty trap

  8. la parità di genere, questione non di poco conto in un’ottica di sviluppo, se si pensa alla condizione delle donne in molti Paesi dell’Africa, e ai flussi di traffico di esseri umani (Nigeria e Costa d’Avorio in primis).

  9. la formazione professionale strutturata in relazione alla domanda del mercato del lavoro

  10. lo sviluppo di PMI con particolare attenzione a imprese sociali e cooperative capaci di resistere alla prova dei mercati e della concorrenza

  11. la lotta alla corruzione

  12. l’avvio di politiche alimentari e di protezione sociale a sostegno delle comunità più vulnerabili

  13. la valorizzazione dell’economia rurale familiare

  14. il sostegno di percorsi multi-attore di co-programmazione per l’agroecologia, per un adattamento più rapido dei sistemi alimentari al cambio climatico

  15. l’accompagnamento della mobilità umana tramite scambi con visti di formazione e/o lavoro

  16. la salvaguardia forestale: l’impegno a mantenere l’equilibro nelle fasce di foresta equatoriali (quote, riforestazione, espansione agricola controllata, gestione comunitaria forestale)

  17. la formazione di quadri dirigenti in grado di pensare lo sviluppo sostenibile 

  18. l’educazione alla cultura della pace e della responsabilità per il bene comune.

 

Sono tutti suggerimenti che partono da esperienze già in atto, da casi di successo, che se moltiplicati e sostenuti da un utilizzo strategico e sistemico di fondi già a disposizione possono rendere prossima e reale l’auspicata nuova partnership alla pari tra Europa, Africa e Mediterraneo.

 
 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
 
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