Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:45:42
Nelle settimane scorse sono giunte a più riprese dal suo Paese notizie di scontri e violenze interreligiose. Come può descrivere la situazione attuale della sua diocesi a partire dalla sua esperienza diretta?
La Nigeria non è un paradiso, ma non è neppure l'inferno che viene descritto da certi vostri media.
In Occidente arrivano solo le notizie relative alle violenze e ai problemi, ma non quelle che raccontano la vita di tutti i giorni, di condivisione nelle varie vicende quotidiane.
Per esempio, cosa dovremmo conoscere?
Si dovrebbe sapere che ad Abuja viviamo in una pace relativa tra comunità di religione diverse. Che nei periodi delle feste religiose c'è un vero scambio e un reciproco coinvolgimento e rispetto tra comunità. Che noi cristiani siamo liberi di manifestare pubblicamente la nostra fede, come lo sono i musulmani, e che sappiamo l'importanza di non usare quelle espressioni o parole che possano volutamente offendere la fede dell'altro.
Certo, nei villaggi la situazione è un po' diversa, più difficile perché più in balia di gruppi locali, con una visione più parziale, ma l'esperienza è di questa generale condivisione della vita quotidiana con i problemi e le fatiche di tutti.
È questo l'esito del lavoro comune del Consiglio per gli Affari Religiosi nigeriano?
Credo di sì. Questo lavoro comune, nel Consiglio per gli Affari religiosi composto da 25 personalità del mondo musulmano e 25 della comunità cristiana, ci ha fatto compiere nel tempo significativi passi in avanti. Per esempio: tempo fa, in occasione delle nostre riunioni, facevamo due preghiere, una cristiana e una musulmana sia all'inizio che alla fine. Ora invece abbiamo scelto di fare una sola preghiera all'inizio e una alla fine, rispettivamente cristiana e musulmana, o viceversa.
Questa pratica lascia intendere che, quando preghiamo, la nostra preghiera abbraccia tutti. Il fedele - che sia cristiano o musulmano - quando prega, prega per tutti. Non preghiamo "insieme", ma uno accanto all'altro, abbracciando però tutti.
Ma questa situazione di scambio e crescita comune è anche agevolata dal buon rapporto che c'è tra l'Ordine Supremo del Consiglio per gli Affari islamici, presieduto dal sultano Sokoto, già colonnello dell'esercito nigeriano, e l'Associazione dei Cristiani di Nigeria, di cui la Chiesa cattolica è solo una parte e che al momento presiedo io.
Si tratta di una lavoro comune "teorico" o dai risvolti pratici?
Tale cultura di collaborazione che stiamo coltivando si traduce in programmi concreti su questioni brucianti, programmi condivisi a favore del bene comune: la battaglia contro l'Aids o contro la malaria, o le iniziative diverse per ridurre la mortalità delle donne a causa al parto…Collaboriamo su questioni concrete, perché quando ci troviamo di fronte ai bisogni fondamentali dell'uomo, le differenze tra di noi vengono meno.
Non tentiamo un dialogo "teologico" che pensiamo non ci porterebbe da nessuna parte, ma ci incontriamo concretamente quando mettiamo in gioco queste implicazioni pratiche della nostra fede.
In un Paese la cui popolazione si divide a metà, tra cristiani e musulmani, l'appartenenza religiosa ha un suo posto nella vita pubblica? Oppure resta un affare privato?
Qui dalla vita concreta emergono segni evidenti della convinzione che la mia fede non sia un affare mio, esclusivamente privato.
La religione è ritenuta una risorsa che sa aiutare gli uomini a vivere bene, ad affrontare con uno sguardo di speranza la vita di tutti i giorni, a trovare vie concrete di espressione. Non può essere la causa dei problemi, anche se c'è chi vuole strumentalizzarla in questo senso. In Nigeria i cristiani lo sono di fatto, praticano, sono minoritari quelli che si dichiarano cristiani e la domenica non vanno in chiesa.
Un esempio per capire la stoffa dei rapporti: tra vicini di casa si vigila reciprocamente sulla fedeltà ai propri appuntamenti religiosi. Se Giuseppe, cristiano, vede che il suo vicino Mohamad non va alla moschea il venerdì, gli chiede perché, se sta male… E altrettanto fa Mohamad se vede che Giuseppe la domenica non va in chiesa. È normale, qui, che il vicino "vigili". Perché la fede del mio amico, del mio vicino, sta a cuore anche a me. In questo senso diviene un fatto "pubblico".
Lei potrebbe rintracciare dei caratteri propri dell'islam praticato nel suo paese?
L'islam praticato in Nigeria, che è a larga maggioranza quello sunnita riproposto nelle sue varie correnti, è in generale caratterizzato da una tendenza moderata. Ci sono certamente dei gruppi di estremisti e di violenti, ma sia da parte islamica che cristiana.
Ciò che comunque in qualche modo "precede" l'appartenenza religiosa è l'appartenenza a una determinata tribù. Noi in genere ci distinguiamo per questa appartenenza.
A volte proprio l'appartenenza comune alla stessa tribù favorisce la comprensione e l'avvicinamento tra chi è cristiano e chi è musulmano. Per esempio: il marito di mia sorella è musulmano. Una tale vicinanza o parentela aiuta a guardare al musulmano come un prossimo, non come un estraneo, un altro diverso da me, un nemico.
Certo, allo stesso modo, a volte la divisione tra tribù aggrava la distanza tra gruppi di fedi diverse.
Ci sono dei gruppi etnici che hanno una lunga storia di conflitti alle spalle che si perpetuano. Ma qui l'origine della violenza non si può rintracciare nella diversa appartenenza religiosa, ma appunto in quella etnica.
Come si colloca la situazione nigeriana nel contesto africano?
La nostra è una situazione particolare, unica nel contesto del continente africano: i dati sulla composizione del nostro popolo non sono certi, si parla di circa 150 milioni di abitanti, divisi a metà tra musulmani e cristiani (di cui il 20 % cattolici, per il resto protestanti di diversi gruppi, anglicani, metodisti, battisti, evangelisti e di chiese africane). Questa proporzione (50% e 50%) conduce quasi necessariamente a una situazione di equilibrio, che a volte può essere fragile.
In Senegal le relazioni sono quasi eccellenti, ma i cristiani sono solo il 2 %: l'islam può permettersi di essere indulgente con una minoranza che fa tante cose per il paese, come le scuole per esempio.
Quando ci sono problemi di concorrenza, le differenze emergono e sono presentate in chiave religiosa, anche quando la religione non c'entra.
In Costa D'Avorio sembra che ci siano più musulmani che cristiani, ma c'è un grande numero di religioni tradizionaliste africane che tutti cercano di convertire.
Ci sono molti casi di conversione religiosa?
Ci sono diversi casi, ma in entrambe le direzioni, e a volte sono coinvolte intere tribù. Le sette più aggressive non hanno molto successo in Nigeria, in genere provocano più problemi che conversioni con il loro proselitismo esagerato, perché tendono a scatenare reazioni di rifiuto nelle persone e creano disagio nei rapporti tra i cristiani e musulmani con il loro fanatismo.
Le scuole cattoliche svolgono un ruolo particolare nel suo Paese?
In Nigeria operano numerose scuole cattoliche. La situazione era particolarmente favorevole ad esse prima degli anni '70, quando lo Stato lasciava spazio e sosteneva iniziative in questo senso promosse da missionari sia cattolici che protestanti.
Poi, con il denaro del petrolio, il governo ha smesso di collaborare in questo ambito con i cristiani, ha costruito numerose scuole statali e non ha più finanziato le scuole di matrice religiosa, cristiana o musulmana che fosse. Ciò ha comportato un aggravio dei costi per la gestione delle scuole "private", che tuttavia hanno continuato a funzionare, pur con delle rette per gli studenti più elevate e oggi sono ancora le migliori. Tanto che anche uomini del Governo, musulmani compresi, le scelgono per i propri figli.
La nostra linea per quanto riguarda l'educazione è che la scuola cattolica è aperta a tutti, ma se un musulmano sceglie di iscriverci suo figlio, deve essere disposto ad accettare tutti i nostri insegnamenti, compreso l'insegnamento della religione cattolica. Noi non facciamo passi indietro sulla nostra identità.
Cosa può imparare la vecchia Europa dalla vostra esperienza, da questo stile di convivenza interreligiosa così come l'ha descritto?
L'Europa deve decidersi a capire quanto sia importante la religione per i suoi cittadini. Oggi sono sempre più numerosi gli immigrati di religione diversa che arrivano anche dalla Nigeria in Europa. Ebbene: i Paesi meta dell'emigrazione non possono rimuovere il problema religioso. Cancellarlo, come se non fosse ammesso come bagaglio di chi arriva. Devono essere consapevoli dell'importanza che hanno la fede e l'appartenenza a una specifica tradizione religiosa per chi lascia la propria casa per cercare un futuro. Chi arriva da lontano, se non trova qualcuno che lo guardi in faccia e comprenda la sua ricerca e il bisogno di un appoggio, si sentirà doppiamente emarginato. Lo dico anche pensando alle comunità cristiane e parrocchie europee.
L'attuale crisi economica e finanziaria internazionale come sta incidendo in Nigeria? Può secondo lei causare nuove tensioni e scontri?
Certamente incide e inciderà sempre più sulla Nigeria, ma il nostro è un popolo che purtroppo non ha mai goduto della ricchezza del Paese, a causa della diffusa corruzione tra chi ha gestito il potere in questi anni: è un popolo povero e resterà ancora molto povero. Se uno è a terra, non può andare più giù.
Ma posso dire che la povertà non pesa sui rapporti interreligiosi, non sarà peggio di prima.
Certo il prezzo del greggio può influire nei rapporti in Nigeria, perché l'establishment islamico riceve tanti aiuti dai Paesi islamici grazie ai petrodollari, che rischiano di diminuire.
Ha incontrato Papa Benedetto XVI recentemente. Quale impressione del dialogo con lui le è rimasta più impressa
?
Il Papa mi ha posto molte domande sul mio Paese e in particolare sui rapporti con i musulmani. Mi ha colpito la sua grande attenzione e l'interesse con cui mi ha ascoltato. Mi ha incoraggiato a continuare nel lavoro di incontro quotidiano con la comunità islamica. Una questione che anche lui avverte come prioritaria.