Abdellah Hammoudi, Denis Bauchard, Rémy Leveau (a cura di), La démocratie est-elle soluble dans l’Islam?, CNRS Éditions, Paris 2007
Ultimo aggiornamento: 30/07/2024 11:04:39
Nel maggio del 2005, numerosi specialisti di fama internazionale si sono dati appuntamento a Parigi per discutere di democrazia nel mondo arabo, in un seminario organizzato congiuntamente dall’Institut Français des relations internationales e dall’Institute for the Transregional Study of the Contemporary Middle East, North Africa and Central Asia dell’Università di Princeton. Il titolo scelto per il convegno, La démocratie est-elle soluble dans l’Islam?, ripreso poi dal volume che raccoglie gli atti del seminario, s’inserisce in un dibattito ormai bisecolare sulla compatibilità tra l’Islam e le idee e le istituzioni moderne, a cui l’11 settembre e la dottrina Bush sull’esportazione della democrazia hanno impresso una nuova accelerazione. Non a caso buona parte delle discussioni contenute nel volume vertono, più o meno direttamente, sul ruolo dell’Occidente, sia che si parli di pressione democratica e ingerenza (Denis Bauchard) sia che si tratti dell’interazione tra «domanda di riforma modernizzatrice» e «domanda identitaria e sociale» (Abdellah Hammoudi), sia ancora che si stabiliscano, come fa Henry Laurens, interessanti continuità, anche retoriche, tra l’impresa di Napoleone in Egitto e la guerra americana in Iraq. Non mancano naturalmente incursioni più dirette nei sostanziali fallimenti della politica di George W. Bush (cfr. l’articolo di Hicham Ben Abdallah al Alaoui). Certo, benché non sia trascorso molto tempo dalla pubblicazione del volume, le recenti rivoluzioni nordafricane fanno apparire il dibattito rapidamente superato. Diventa allora interessante rintracciare tra i vari contributi quelle piste che, benché non conducano esplicitamente all’esito rivoluzionario di questi ultimi mesi, aiutino a individuare e comprendere le forze che in questi anni hanno agito più in profondità nelle società arabe, e di cui si dovrà continuare a tenere conto. In un certo senso era fin troppo chiaro quale fosse la condizione dei Paesi arabi. Ecco per esempio quanto scriveva Nader Fergany, principale estensore del rapporto arabo sullo sviluppo umano per l’UNDP: «Se la situazione attuale – segnata dal fallimento in materia di sviluppo, dalla repressione interna e dall’appropriazione straniera – dovesse continuare, nei paesi arabi si assisterà sicuramente a un conflitto sociale più intenso» (p. 211). Il malcontento crescente trova peraltro espressione in un’opinione pubblica che, come afferma Mohammed El Oifi, benché sistematicamente trascurata o sottoposta a forti tentativi di manipolazione sia interni che esterni, eserciterà «negli anni a venire una pressione duratura sui governi arabi» (p. 202), soprattutto in ragione della rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione. E l’Islam? Impossibile assegnargli un ruolo univoco. In Arabia saudita, per esempio, il discorso religioso, incentrato sul wahabismo di Stato, «blocca il dibattito politico e ostacola gli appelli alla riforma e alla partecipazione che potrebbero farsi sentire nel Paese», come dimostra la penetrante analisi di Madawi al Rasheed. In altri contesti, per esempio in Egitto o in Marocco è l’Islam stesso a partecipare alla domanda di riforma. È questo il tema su cui riflette Malika Zeghal, in quello che è probabilmente il contributo più stimolante del libro. L’autrice tenta infatti di superare la questione della compatibilità tra Islam e democrazia rifiutando di risolvere in termini di «perfetta concordanza» l’articolazione tra una «tradizione interpretata (quella dell’Islam) da attori politici e il funzionamento di un sistema di competizione politica» (p. 97). Infatti, «tale relazione, costruita dagli attori, si trasforma attraverso la produzione ideologica degli attori che modellano la materia flessibile dei repertori politici e/o religiosi». Ciò non significa che l’Islam «non abbia capacità trasformative del politico, ma che condivide con altre risorse culturali, politiche e materiali tale capacità» (p. 99). È forse questa una delle chiavi più adeguate per capire come potranno evolvere le società arabo-islamiche.
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