Da quasi 70 anni la Siria è governata dal partito arabista e socialista fondato negli anni ’40. Tuttavia prima Hafez e poi Bashar al-Assad ne hanno profondamente trasformato sia il ruolo che l’ideologia

Ultimo aggiornamento: 15/03/2024 12:03:01

Nei manuali di storia del Medio Oriente la Siria è considerata, insieme all’Egitto, l’epicentro del nazionalismo arabo novecentesco. Fu infatti a Damasco che due insegnanti, il cristiano Michel ‘Aflaq e il musulmano sunnita Salah al-Din al-Bitar, fondarono il 7 aprile 1947 il partito Ba‘th, con l’obiettivo di riunificare tutte le regioni arabofone in un unico Stato socialista che avrebbe dovuto estendersi, nelle parole dei fondatori, “dal Golfo (Persico) all’Oceano (Atlantico)”. A più di settant’anni dalla sua nascita, il partito è ancora in attività e al potere, almeno in Siria; tuttavia, l’ascesa di Bashar al-Assad alla presidenza della repubblica e lo scoppio della guerra civile hanno modificato profondamente il suo ruolo e persino il suo profilo ideologico.

 

Ascesa e declino di una ideologia d’avanguardia

 

Le radici del partito affondano nella corrente ottocentesca della Nahda, termine traducibile con “Rinascita”, “Rinascimento” (persino “Risorgimento”, per analogia con il coevo movimento nazionalista italiano) e di cui il Ba‘th, alla lettera “Resurrezione”, si fece epigono. Gli intellettuali della Nahda cercarono inizialmente di modernizzare la cultura araba, ma ben presto cominciarono a esporsi anche su questioni politiche, dalla renovatio imperi ottomana all’indipendenza dei territori arabofoni da Costantinopoli. I loro progetti possono essere sommariamente divisi in due gruppi: il primo proponeva il recupero dei principi e dei valori dell’Islam, il secondo faceva leva sui comuni vincoli di lingua, storia e cultura degli arabi al fine di creare uno Stato-Nazione sul modello di quello europeo. Il Ba‘th si inserisce all’interno di quest’ultimo filone (anche se il suo laicismo è ben diverso dal senso che il termine ha assunto in Occidente) e nel corso degli anni Cinquanta la sua fortuna raggiunse l’apice, espandendosi in sintonia, ma più spesso in competizione, con il mito di Nasser, col quale azzardò nel 1958 un’unione statuale siro-egiziana, la Repubblica Araba Unita (RAU). Malgrado questi iniziali successi, durante gli anni Sessanta gli eventi presero una piega completamente diversa: l’implosione della RAU, la grave sconfitta subita nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 e l’improvvisa morte di Nasser nel 1970 compromisero il progetto panarabista, che fu gradualmente dismesso e sostituito da visioni regionaliste (iqlīmiyya) e dall’Islam politico. Il Ba‘th, salito al potere in Siria nel 1963, si trasformò in un partito-Stato e nel 1970 Hafez Assad, appartenente alla fazione militare del partito – detto Comando Regionale (al-Qiyada al-Qutriyya), contrapposto al Comando Nazionale (al-Qiyada al-Qawmiyya), di ‘Aflaq – ne divenne leader incontrastato.

 

Eletto presidente della repubblica l’anno successivo, Assad pose fine alla tradizionale instabilità del sistema politico siriano formulando una nuova e ambiziosa agenda fondata non più sull’ideologia baathista, quanto sulla realpolitik e sulle priorità geopolitiche, come la coesistenza con Israele dopo la sconfitta nella Guerra dei Sei Giorni, l’intervento nella guerra civile libanese e il confronto con il Ba‘th “gemello” iracheno di Saddam Hussein. In questo modo Damasco, che nei decenni precedenti aveva subito l’influenza delle potenze regionali come Egitto, Iraq e Arabia Saudita, divenne uno dei principali attori dello scenario mediorientale. Hafez modificò inoltre gli equilibri interni dell’establishment siriano, nominando ai vertici delle istituzioni generali e politici che, come lui, appartenevano all’alawismo, setta sviluppatasi da una branca dell’Islam sciita.

 

La salita al potere di Bashar al-Assad e la ridefinizione del baathismo

 

Quando Hafez scomparve il 10 giugno 2000, fu il suo figlio secondogenito Bashar a essere eletto nuovo capo dello Stato. Il passaggio di consegne intra-familiare non significò soltanto un desiderio di continuità con il passato, ma conteneva anche un messaggio politico ben preciso: il baricentro del potere non risiedeva più nella nomenklatura del Ba‘th, bensì nella figura del ra’īs e dei suoi fedelissimi. Il giovane Bashar, elevato a segretario del partito nel corso dell’VIII Congresso Regionale, manifestò l’intenzione di rinnovare il corpus dottrinale baathista: un progetto racchiuso nell’espressione: «modernizzare le vecchie idee» (tajdīd al-afkār al-qadīma)[1], ma che divenne di difficile attuazione a causa dei profondi sconvolgimenti che interessarono il Medio Oriente all’inizio del nuovo millennio.

 

Ne è una prova il discorso che il nuovo presidente pronunciò in apertura al Summit Arabo d’emergenza tenutosi al Cairo il 21 ottobre 2000, organizzato dal presidente egiziano Hosni Mubarak per risolvere la crisi israelopalestinese nota come Seconda Intifada. In quell’occasione Bashar, ancora inesperto negli affari di governo, adottò la realpolitik che aveva caratterizzato l’azione geopolitica del padre, i cui capisaldi erano le relazioni con Israele e Libano. Commentando la crisi, il presidente definì lo Stato ebraico come un attore fortemente contrapposto agli arabi, ma non escluse la possibilità di raggiungere una pace completa e duratura; riferendosi al Libano, ribadì l’importanza di adottare una visione realistica e pragmatica. La seconda parte dell’intervento fu dedicata a un tema portante del Ba‘th: l’arabismo. Assad si presentò come «membro di una generazione che aveva visto tramontare e decadere il “nazionalismo romantico” degli anni Cinquanta»[2] e, in linea con quanto dichiarato nei primi giorni della presidenza, inaugurò un “progetto nazionalista” che integrasse le due passate visioni del baathismo, romanticismo aflaqiano e regionalismo di Hafez, aggiornandole alla luce delle nuove dinamiche geopolitiche dei primi anni Duemila. Il disegno del presidente era quello di creare un corpus ideologico più snello e “a geometria variabile” che, pur essendo ufficialmente fondato sull’arabismo, potesse adattare la definizione dell’identità siriana a contesti diversi ed essere modulato in base alle esigenze dell’agenda politica di Damasco. A livello interno, per esempio, Assad divenne nel 1998 presidente della Associazione Scientifica Informatica Siriana, che nei piani governativi doveva rappresentare una delle principali piattaforme di modernizzazione e innovazione del Paese; in occasione della nomina, Bashar creò un suggestivo collegamento culturale tra il nuovo piano di riforme e la storia più ancestrale della Siria, che le testimonianze archeologiche  indicano essere la culla delle prime civiltà sedentarie, agricole e tecnologicamente progredite. La sua visione dell’“arabismo debole” risultò funzionale anche al miglioramento delle relazioni con l’Occidente: durante l’incontro con papa Giovanni Paolo II tenutosi a Roma nel maggio del 2001, il ra’īs fece un inedito riferimento alla Siria antica, menzionando il contributo che il suo popolo aveva dato alla civiltà greco-romana, dalla produzione artistica e letteraria ellenistica, per esempio con il retore e filosofo Luciano di Samosata, al ruolo politico e militare che alcuni levantini rivestirono durante l’Impero romano, primo fra tutti Filippo l’Arabo, imperatore dal 244 al 249 d.C.[3] 

 

Assad promosse in parallelo due discorsi identitari: uno “regionalista” che gli permise di concentrarsi, similmente a quanto aveva fatto suo padre, sugli affari del Levante arabo piuttosto che sul mondo arabo nel suo complesso; l’altro “storicista”, volto a evidenziare l’importanza del Paese per l’intera umanità nel corso dei millenni. Uno degli effetti più evidenti del declino del nazionalismo arabo fu probabilmente la rinuncia del presidente, nel 2002, alle rivendicazioni territoriali sul distretto di Alessandretta (o Hatay), la storica regione siriana ceduta nel 1939 ad Ankara dalla Francia – che allora amministrava il Paese come potenza mandataria –, la cui restituzione fu uno dei punti programmatici del Ba‘th nei decenni successivi. Per quanto controverso, il riconoscimento della sovranità turca su Alessandretta rientrava nel processo di riavvicinamento tra Ankara e Damasco, che comprendeva anche la questione curda e la risoluzione delle dispute idro-politiche sul corso del fiume Oronte.

 

Anche l’uso che Assad fece della religione islamica contribuì all’indebolimento della narrazione panaraba. Nel suo messaggio di insediamento, ad esempio, il neoeletto presidente sottolineò la necessità di trovare un dialogo con i sostenitori dell’Islam politico, onde evitare la radicalizzazione del loro messaggio[4]. L’apertura al discorso religioso fu impiegata anche in politica estera, tanto che nel VII Summit islamico tenutosi a Doha tra il 12 e il 13 novembre 2000, il ra’īs sostenne che la questione palestinese andava affrontata utilizzando un approccio islamico piuttosto che nazionalista, al fine di contrastare il “sionismo” di Israele[5].

 

La rottamazione del baathismo non fu confinata all’ambito nazionalista, ma coinvolse anche l’altra colonna ideologica, il socialismo (ishtirākiyya). Nonostante i piani quinquennali elaborati dal governo fossero risultati fallimentari già durante gli anni Ottanta, la struttura dell’economia siriana mantenne uno stampo socialista fino alla morte di Hafez. Fu Bashar ad approvare, nel nome del rinnovamento e del modernismo, una massiccia politica di liberalizzazioni che si tradusse, tra il 2002 e il 2006, nella privatizzazione dei principali asset dello Stato, soprattutto banche e aziende. In realtà l’operazione celava un secondo fine: sostituire la maggior parte della vecchia base partitica con una nuova generazione di imprenditori e uomini d’affari che, privi di esperienza politica, si erano guadagnati il favore del presidente grazie a rapporti di amicizia o di parentela. Il caso più eclatante fu quello di Rami Makhluf. Questi, cugino del presidente e magnate damasceno, nei primi anni Duemila acquistò, con la complicità del governo centrale, le più importanti e redditizie aziende del Paese tra cui la Syriatel, che deteneva il monopolio nel campo delle telecomunicazioni. Grazie a questa posizione di forza, Makhluf divenne uno degli uomini più influenti e fidati del presidente, scavalcando la vecchia guardia del partito.  Il magnate apparteneva oltretutto a una famiglia storicamente legata al Partito Nazionalista Sociale Siriano (PNSS), principale avversario del Baʿth durante gli anni Quaranta e Cinquanta e promotore della “Grande Siria”, un progetto regionalista che ambiva a unificare Levante e Iraq, disinteressandosi del Nordafrica arabo.  

 

Anche il tema della democrazia, che nel Ba‘th indicava, con una buona dose di approssimazione, la libertà di espressione dei membri alle riunioni congressuali, fu soggetto a revisioni e a reinterpretazioni. Nei primi dieci anni di presidenza, Bashar adoperò il termine in maniera ambigua. Da una parte lo impiegò con maggior frequenza nel tentativo di conferire al governo di Damasco una veste moderna, dialogante con le opposizioni, liberale e proiettata verso l’Unione Europea, al fine di cancellare la dura repressione autoritaria che aveva caratterizzato il governo del padre; risale infatti ai primi anni del suo mandato la cosiddetta “Primavera di Damasco”, un breve periodo di distensione sociale in cui il governo concesse spazi di dissenso a opposizioni, associazioni e intellettuali. Dall’altra, però, questo tipo di retorica non alterò la natura del potere, impedendo a qualsiasi forza e personalità outsider di sfidare seriamente l’egemonia culturale e politica del Ba‘th.

 

Il baathismo durante la guerra civile siriana

 

Per via di questo immobilismo, e per la mancata realizzazione delle riforme promesse a inizio mandato, la Siria fu interessata nel marzo 2011 dall’ondata di proteste note come “Primavere Arabe”, che nel volgere di pochi mesi ridisegnarono lo scenario geopolitico della sponda Sud del Mediterraneo. Il rapido deterioramento della situazione interna obbligò il presidente a rivedere la narrazione de-ideologizzata dell’ultimo decennio. Significativa, a riguardo, la ripresa dei temi centrali del baathismo che erano stati marginalizzati o del tutto abbandonati all’inizio del suo mandato: già il 16 aprile 2011, in occasione della formazione di un nuovo esecutivo, Assad ribadì il ruolo culturale del Paese, considerato “cuore pulsante” dell’arabismo e riaffermò l’identità siriana scevra da appartenenze religiose e da legami tribali[6]. Tuttavia, l’ideologia del Ba‘th, da tempo  ridottasi a obsoleto repertorio di frasi fatte, risultava ormai avulsa dalla grave situazione sociopolitica del Paese.

 

In effetti, la riproposizione di un baathismo delle origini non comportò né una revisione dell’economia siriana, né una maggiore democratizzazione del sistema politico. Anzi, il revival del baathismo tradizionale si dimostrò effimero a causa del collasso degli apparati governativi e fu incapace di fronteggiare le spinte centrifughe settarie generate dal conflitto. Tra il 2012 e il 2013 la ritirata dell’esercito governativo dalle province orientali e settentrionali generò un vuoto istituzionale che venne immediatamente colmato da attori non statuali ostili all’ideologia di Damasco: da una parte le sigle curde che, libere per la prima volta dopo decenni di repressione baathista, rilanciarono il progetto di uno stato (semi)autonomo basato sull’etnia e sulla lingua curda, in contrapposizione all’arabismo; dall’altra l’ascesa dei movimenti salafiti-jihadisti, tra cui Jabhat al-Nusra e il sedicente Stato Islamico, che individuarono nel regime l’avversario principale da combattere, in quanto esponente di una ideologia fondata, nella loro visione, sull’ateismo e governato da una famiglia alawita, quella degli Assad, considerata religiosamente deviante, se non apostata.

 

Di fronte alle violenze e al disgregamento dello Stato e della società siriana, Bashar, pur confermando nei discorsi ufficiali i valori fondamentali del partito, ne svilì ulteriormente il ruolo piegandolo alle logiche settarie. In effetti, la “brigata baathista” (katība ba‘thiyya), una delle numerose formazioni paramilitari che si affiancarono all’esercito governativo nel 2012, era costituita quasi interamente da alawiti, solitamente studenti universitari provenienti dalle province di Tartus e Laodicea privi di un’adeguata preparazione militare[7]. Ad ogni modo, la brigata non ebbe la stessa rilevanza delle milizie del PNSS, che potevano contare sul diretto appoggio del presidente, sull’expertise degli alleati russi e su maggiori risorse finanziarie garantite da Makhluf.

 

La decisione di “settarizzare” ulteriormente il Baʿth fu motivata da considerazioni strategiche e dalla necessità di creare un fronte pro-regime più ampio possibile. Quando però le forze governative, a partire dal 2015 in avanti, respinsero nella capitale le milizie salafite jihadiste e cominciarono la riconquista delle province orientali, il presidente ripensò il ruolo che il partito avrebbe potuto giocare nella ricostruzione dello Stato e della nazione. Nell’aprile 2017 fu approvata una prima riforma interna: gran parte della base del Baʿth venne sostituita da nuovi membri e, per la prima volta nella storia della Resurrezione, due politici di etnia curda vennero eletti nel comitato dirigente del Comando Regionale. La nomina non era casuale: Damasco, impegnata nel combattere le milizie dell’ISIS e desiderosa di riportare i territori curdi sotto la sua sovranità, cercò di presentarsi come un attore autenticamente nazionalista e aconfessionale, capace di unire le minoranze entico-religiose nella comune “lotta al terrorismo”. Riyad Tawwus, uno dei due curdi eletti, sostenne che il Ba‘th «rispettava le caratteristiche del popolo curdo, la sua cultura e la sua lingua» e che Assad «aveva grande fiducia» della minoranza etnica, a patto che restasse nel perimetro del patriottismo nazionale e del quadro costituzionale[8].

 

Ma la vera svolta avvenne il 7 ottobre 2018, quando il Ba‘th affrontò la più importante modifica organizzativa degli ultimi cinquant’anni: lo storico Comando Regionale venne soppresso e rinominato Comando Centrale (al-Qiyāda al-Markaziyya)[9]: con questa operazione di rebranding volta a rilanciare l’immagine della formazione in Siria e nel Levante[10] cessò di esistere l’ultima sigla storica del partito – il Comando Nazionale era stato sciolto definitivamente il 17 maggio 2017 –, che aveva scandito la vita politica e istituzionale del Paese per quasi sessant’anni, portando al potere la stessa famiglia degli Assad.

  

Per concludere, il Ba‘th rappresenta ancora oggi un pilastro importante del potere damasceno e la sua presenza, per quanto obsoleta, costituisce un’eredità ingombrante per lo stesso ra‘īs. A tal proposito, è probabile che la soppressione dei due Comandi intendesse ridurre ulteriormente il peso specifico della formazione a favore del ruolo del presidente. L’abolizione del termine “regionale”, che rievocava i particolarismi locali e settari, può anche essere letta come un tentativo di rendere la formazione più inclusiva e popolare, superando la cerchia dei protégés del regime e della comunità alawita. Ad ogni modo, le riforme organizzative del biennio 2017-18 hanno sancito il definitivo smantellamento del Ba‘th(ismo) novecentesco. Questo, avendo perso rilevanza nello scenario politico del Paese, non è più grado di esercitare nemmeno la tradizionale influenza culturale ed educativa che aveva avuto in passato, limitandosi a meri compiti di vigilanza e supporto per le campagne militari, oltre che a essere strumento di coercizione per il controllo e la cooptazione della società siriana.  

 

 

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[1] Bashar al-Assad, discorso della sezione costituzionale del 7 luglio 2000, in al-Munāil n. 303, p. 10.

[2] Bashar al-Assad, discorso al Summit arabo d’emergenza, in al-Munāḍil n. 304, p. 12-13.

[3] Eyal Zisser, Who’s afraid of Syrian nationalism? National and state identity in Syria, «Middle Eastern Studies», vol. 42, n. 2 (2006), pp. 179-219, qui p. 180-181.

[4] Lina Khatib, More Religious, Yet Still Secular? The Shifting Relationship Between the Secular and the Religious in Syria, «Syria Studies», vol. 8, n. 16, (2016), p. 53.

[5] Bashar Assad, discorso al VII Summit Islamico, in Al-Munadil n. 305, p. 6-14.

[6] Dina Matar, The Syrian Regime’s Strategic Communication: Practices and Ideology, «International Journal of Communication», n. 13 (2019), pp. 2398-2416, qui p. 2406.

[7] Katā’ib al-Ba‘th, jāmi‘iyyūn fī khidmat al-nizām (“Brigate Ba‘th…Universitari al servizio del regime”), «Al Jazeera», 13 aprile 2014, https://tinyurl.com/2x2zkfbu  

[8] Azada Jamakri, “Siria, per la prima volta personalità curde nel Comando del Ba‘th”, Rudaw Arabia, 24 aprile 2017, https://www.rudawarabia.net/arabic/middleeast/syria/240420174

[9] Al-Asad yulghī al-qiyāda al-qutriyya li-hizb al-Ba‘th (“Assad abolisce il Comando Regionale del Ba‘th”), «al-Quds al-‘Arabi», 8 ottobre 2018, https://tinyurl.com/3f54sz4e  

[10] Ibidem.

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