Nel 2025 saremo a un quarto del secolo XXI: un buon momento per valutare l’andamento del pianeta. In attesa di arrivarci il Centro studi della Cia ha raccolto il meglio delle analisi fornite dai principali esperti americani, ed ecco che cosa ha scoperto
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:00
Nel 2025, al momento di tracciare un primo bilancio sul XXI secolo a un quarto del suo cammino, un dato di fatto probabilmente colpirà più di ogni altro gli osservatori. Il sistema internazionale costruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e che ha accompagnato la storia del mondo nei decenni passati, sarà a quel punto cambiato in modo tale da risultare irriconoscibile. Spazzati via gli scenari della guerra fredda che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo, messo in crisi il delicato equilibrio di organismi come le Nazioni Unite – costruiti nell’ottica post-bellica di oltre 60 anni fa – il nuovo panorama sarà quello di un sistema globale multipolare. E gli attori protagonisti sulla nuova scena mondiale non saranno solo gli Stati-nazione, ma anche una gamma di poteri diversi: grande imprenditoria, tribù e gruppi etnici, organizzazioni religiose e reti criminali.
Così almeno viene visto il futuro non negli studios di Hollywood, ma nei centri di ricerca dell’intelligence americana, nei principali think tanks di Washington e tra gli esperti che forniscono analisi geopolitiche alla Casa Bianca e al Congresso degli Stati Uniti. Ogni cinque anni il meglio di ciò che viene prodotto in questo settore è raccolto in uno studio coordinato dal National Intelligence Council, il centro studi della CIA e degli altri servizi segreti americani. L’ultimo rapporto prodotto da quest’organo d’élite dell’intelligence americana si intitola Global Trends 2025: A Transformed World e offre la possibilità di un viaggio avvincente, e a tratti preoccupante, alla scoperta del futuro che ci attende.
Le prospettive tracciate dall’intelligence hanno offerto al presidente Barack Obama, al suo arrivo lo scorso gennaio alla Casa Bianca, le basi su cui impostare la politica estera della nuova amministrazione. Nei briefing quotidiani che il presidente degli Stati Uniti ha cominciato a ricevere all’indomani della sua elezione nel novembre 2008, prima ancora d’insediarsi nello Studio Ovale, la CIA ha posto alla sua attenzione informazioni specifiche sui rischi e le opportunità immediate, accompagnate da una mole di approfondimenti, ovviamente in gran parte riservati o top-secret. Ma gli scenari di lungo termine su cui si riflette alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato o al Pentagono, non sono molto diversi da quelli che emergono da rapporti come quello del National Intelligence Council.
Lo si è visto in occasione dei primi viaggi all’estero di Obama, in particolare nel corso di quello che ad aprile lo ha portato a far tappa in Europa per le riunioni del G20 e della NATO, e poi in Turchia per sostenere la richiesta di Ankara di entrare nell’Unione Europea e per lanciare un dialogo con il mondo islamico. Al di là della situazione contingente e della crisi economica globale che determina l’andamento delle relazioni internazionali in un 2009 segnato dalla recessione, Obama e il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, hanno mostrato di essere al lavoro per impostare nel lungo termine rapporti pensati per un mondo multipolare, nel quale la caccia alle risorse energetiche sarà sempre più importante e che vede emergere nuove potenze regionali – come la Turchia, sempre più corteggiata da Washington – per le quali è prevista in futuro una progressiva e costante crescita di influenza.
Immaginare gli scenari con oltre 15 anni d’anticipo in un mondo che cambia con i ritmi di quello attuale può sembrare un’attività da fiction, un esercizio di fantascienza in fin dei conti inutile. Del resto, 15 anni fa chi avrebbe immaginato che Internet e la telefonia mobile avrebbero assunto il peso che hanno oggi nella nostra quotidianità, nelle relazioni sociali e negli affari? O che le Torri Gemelle di New York sarebbero sparite, abbattute da due aerei di linea? O, ancora, che il Vaticano avrebbe avuto un Papa tedesco e gli Stati Uniti un Presidente afroamericano?
Si possono tuttavia identificare una serie di key trends che servono a stimolare riflessioni strategiche essenziali per le scelte di lungo termine. Sono queste tendenze a costituire l’oggetto delle analisi degli esperti dell’intelligence americana e ad aiutarli a dipingere un primo abbozzo dello stato del nostro pianeta nel 2025.
Il trend principale riguarda il cambiamento a cui andrà incontro il sistema delle relazioni internazionali. Le tematiche d’interesse transnazionale aumenteranno portando con sé un quadro sempre più complesso da decifrare per i governanti. L’invecchiamento della popolazione nel mondo sviluppato, le limitazioni alle risorse energetiche, alimentari e idriche e i timori per il cambiamento climatico minacceranno un’epoca che continuerà a essere di prosperità se paragonata ai secoli passati, ma esposta a rischi non secondari.
Guardando agli esempi offerti dalla Storia, il paragone più inquietante che tracciano gli uomini della CIA è quello con la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, quando una prima fase di globalizzazione, gestita da un sistema multipolare come quello che nuovamente si prefigura, sfociò in una crisi e infine nella prima guerra mondiale. L’intelligence americana non ritiene che ci siano rischi simili, ma scenari di espansionismo territoriale e confronto militare sono possibili. A preoccupare sarà soprattutto quello che gli esperti statunitensi definiscono l’ “arco di instabilità”, la fetta di pianeta che va dall’Africa del Nord e Sub-Sahariana al Medio Oriente e alle regioni dell’Asia centrale. L’Africa Sub-Sahariana viene vista in particolare come l’area più vulnerabile per la propria instabilità politica ed economica, ed è considerata la più esposta al rischio di conflitti.
Uno dei fenomeni di dimensioni più impressionanti registrato negli studi americani ha a che fare con il trasferimento in corso della ricchezza globale e del potere economico, che ha assunto una portata senza precedenti nella storia moderna. I paesi del cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono avviati a eguagliare il Pil complessivo dei paesi del G7 entro il 2040-2050 e già nel 2025 la Cina dovrebbe essere la seconda maggiore economia al mondo e una potenza militare di vasta portata (oltre che il più grande importatore di risorse naturali e il più grande inquinatore del pianeta). Una crescita sostanziale avverrà anche per altri paesi come Indonesia, Iran e Turchia. Non sorprende per questo notare la rinnovata attenzione che l’amministrazione Obama ha mostrato nei rapporti con ciascuna di queste realtà.
Il caso dell’Egitto
La caccia alle risorse dominerà l’agenda internazionale, con il mondo che tra 15 anni dovrebbe trovarsi nel pieno di una transizione energetica epocale, allontanandosi dal petrolio in direzione di un maggior utilizzo di gas naturale, carbone e fonti alternative. I paesi con economie basate sul petrolio dovranno fare i conti con una sfida che si accompagnerà a importanti cambiamenti demografici e a pressioni per le riforme politiche. Nell’Africa del Nord e in Medio Oriente il periodo che ci separa dal 2025 servirà per capire se emergerà una tendenza alle riforme e alla modifica dei sistemi economici o se, invece, i leader falliranno nel compito di preparare le popolazioni a un’attiva partecipazione all’economia globale. In quest’ultimo caso i regimi autoritari saranno costretti a diventarlo ancora di più e resteranno irrisolti i conflitti regionali, in un momento in cui la crescita della popolazione ridurrà le risorse disponibili.
Un caso che l’intelligence americana utilizza come esempio di paese-campione per la regione è quello dell’Egitto. Nei prossimi 15 anni la sua proporzione di popolazione economicamente attiva supererà di gran lunga – rispetto agli altri paesi – quella della popolazione dipendente sul piano economico. È un differenziale che offre opportunità di crescita economica, ma anche pressioni per una maggiore liberalizzazione e rischi di esplosione di tensioni sociali.
Gli analisti dei servizi segreti statunitensi ritengono che in buona parte del mondo, di fronte alle sfide della globalizzazione, prevarrà un sostanziale pragmatismo che dovrebbe costituire una barriera contro i conflitti ideologici come quelli della guerra fredda. Ma l’ideologia potrebbe continuare ad avere un ruolo forte nel mondo musulmano. L’intelligence teme che la crescita della popolazione giovanile e l’indebolimento economico possano radicalizzare paesi come Pakistan, Afghanistan, Nigeria e Yemen, con l’ascesa dell’Islam di matrice salafita.
«Noi non siamo e non saremo mai in guerra con l’Islam», ha detto con enfasi Obama nel proprio discorso di fronte al Parlamento turco lo scorso aprile, avvertendo però che gli Stati Uniti non tollereranno radicalizzazioni islamiche che creino terreno di coltura per possibili minacce alla sicurezza nazionale americana o all’Occidente. Pakistan e Afghanistan sono diventati rapidamente i nuovi fronti caldi dell’amministrazione Obama, come l’Iraq e l’Iran lo erano stati per quella di George W.Bush.
La popolazione musulmana nell'Europa occidentale, secondo gli analisti, sarà nel 2025 tra i 25 e i 30 milioni di persone, rispetto ai 15-18 milioni stimati attualmente e la circostanza avrà conseguenze anche nei rapporti transatlantici. «L’attuale tensione a livello sociale e politico in Europa sull’integrazione dei musulmani – afferma il rapporto – probabilmente renderà gli europei sempre più sensibili alle potenziali ripercussioni interne di qualsiasi politica estera per il Medio Oriente, incluso un troppo stretto allineamento con le politiche degli Stati Uniti viste come filoisraeliane».
Grandi sfide sono in vista sul fronte della condivisione delle risorse alimentari e idriche. La Banca Mondiale si aspetta entro il 2030 una crescita del 50% della domanda di cibo. La rapida urbanizzazione in corso e l’aggiunta di altri 1,2 miliardi di persone alla popolazione mondiale nei prossimi 20 anni renderanno sempre più scarse e preziose le riserve d’acqua. Attualmente gli esperti americani considerano 21 paesi nel mondo (con una popolazione totale di 600 milioni di persone) in una situazione di scarsità di risorse idriche. Nel 2025 i paesi saliranno a 36, per un totale di 1,4 miliardi di persone. La scarsità di risorse sarà poi aggravata dagli effetti del cambiamento climatico globale in atto, che avranno un impatto differenziato in aree diverse del pianeta. In molti paesi in via di sviluppo si profila un calo della produzione agricola che potrebbe avere conseguenze devastanti sulle loro già fragilissime economie.
L’espandersi dei nazionalismi
Ciò che comunque preoccupa di più i “futurologi” di Washington è la molteplicità degli attori e la difficoltà di individuare strumenti internazionali capaci di gestire i nuovi scenari. Le organizzazioni terroristiche troveranno spazi in cui infiltrarsi sfruttando la possibile radicalizzazione di larghe fasce della popolazione giovanile. La diffusione delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche metterà nelle mani di questi gruppi la possibilità di far ricorso ad armi biochimiche e nucleari, con effetti devastanti. Ma la proliferazione nucleare resterà un problema non certo confinato all’ambito dei gruppi e gruppuscoli del terrore. Vari Stati continueranno a confrontarsi con la ricerca di ordigni atomici per aumentare il loro peso geopolitico. L’esempio più discusso in questi anni – e che rischia di esserlo anche negli anni a venire – è l’Iran, che potrebbe innescare una pericolosissima corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente.
L’intelligence ritiene che il rischio dell’uso di armi nucleari sarà maggiore tra 20 anni di quanto non sia oggi per la diffusione della tecnologia in materia, ma anche per la possibilità che vengano superati i livelli di guardia in conflitti oggi a “bassa intensità” come quello tra India e Pakistan. Se un’arma nucleare fosse usata nei prossimi 15-20 anni, lo shock creato potrebbe innescare svolte imprevedibili al cammino della storia.
Sul piano degli strumenti e degli organismi internazionali capaci di tener testa al cambiamento impetuoso in corso nel primo quarto del XXI secolo, il problema di fondo resta il fatto che la molteplicità degli attori sulla scena planetaria sembra promettere una frammentazione dell’azione comune. Organismi come le Nazioni Unite non sembrano presentarsi con una proposta solida alla sfida con i prossimi decenni. I paesi del BRIC difficilmente diverranno avversari del sistema internazionale come lo furono Germania e Giappone nel XX secolo, ma potrebbero decidere di perseguire una strada diversa dal modello proposto dall’Occidente portandosi dietro vari seguaci.
Non è da sottovalutare la possibilità di un maggiore regionalismo asiatico, con i paesi della regione capaci di dettar legge in sede di WTO (World Trade Organization) e di imporre i loro standard in campi come information technology, biotecnologie, nanotecnologie e diritti di proprietà intellettuale. Gli USA, nello stesso tempo, resteranno potenti ma non come in passato e dovranno rassegnarsi a essere uno degli attori in molti settori non necessariamente quello con il ruolo di protagonista.
L’intelligence americana ritiene che in un mondo cosi frammentato fioriranno i nazionalismi e le identità politiche. Ma prolifereranno anche i network basati sulla religione, che potrebbero fungere da vero collante su temi come le scelte ambientali e la lotta alle diseguaglianza planetarie, andando a supplire – anche con una forte rete di ONG – all’indebolimento delle istituzioni internazionali tradizionali.
Se tutte queste sono considerazioni di carattere tutto sommato generale, i “futurologi” della CIA non hanno comunque resistito alla tentazione di provare a scommettere anche su qualche evento specifico. Entro il 2025 – è per esempio una delle loro previsioni – un governo nell’Europa centrale o orientale potrebbe finire completamente nelle mani del crimine organizzato. Alcuni stati africani o nell’Asia meridionale potrebbero sparire dalla mappe, cancellati da rivolte o implosioni dei rispettivi governi. E una nuova tecnologia, al momento ancora da individuare, potrebbe rivelarsi capace di far uscire il mondo dall’era della dipendenza dal petrolio.