Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 11:12:42
La stampa araba ha dato ampio spazio alla prima edizione della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni svoltasi a Roma domenica 23 luglio su iniziativa della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del presidente della repubblica tunisina Kais Saied, a cui hanno partecipato capi di Stato ed esponenti di diversi Paesi del “Mediterraneo allargato”.
Severo il commento del panarabo londinese al-‘Arab che titola: «i risultati della conferenza di Roma hanno deluso le speranze degli Stati africani», perché «non all’altezza delle aspettative per quanto riguarda i Paesi della sponda sud, mentre l’Italia, Paese organizzatore, si è accontentata di annunciare fondi, progetti di investimento e il controllo dei confini. Quest’ultimo ha come obiettivo il potenziamento della gestione dei flussi migratori, ma non è chiara la questione dei finanziamenti e chi li dovrà erogare». Il quotidiano dedica poi un articolo all’intervento del ministro degli affari esteri marocchino Nasir Bourita, che invita a considerare le migrazioni per come sono realmente, mettendo in guardia da «retoriche sempliciste, stereotipate e generaliste». Per cominciare, afferma Bourita, serve una visione olistica del fenomeno, perché «le migrazioni avvengono anzitutto all’interno dell’Africa» e solo in un secondo momento nel Mediterraneo. Errato anche il giudizio dato alle migrazioni: queste non sono né «un impedimento insopportabile né una ricchezza a prescindere, ma possono essere un incentivo allo sviluppo». Il ministro conclude con un messaggio che sembra essere rivolto direttamente ai suoi omologhi europei: «il Marocco ritiene che basarsi unicamente sull’approccio securitario sia un errore».
Al-Quds al-‘Arabi osserva invece il mutamento di toni e contenuti della premier italiana: «c’è stata un’evoluzione notevole, forse sorprendente, nella retorica della presidente del consiglio Giorgia Meloni, il cui biasimo è stato rivolto verso l’Occidente, il quale “dà spesso l’impressione di essere interessato a impartire lezioni, piuttosto che a offrire la mano dell’aiuto”. […] Si dice che la retorica e le promesse annunciate dai politici durante la campagna elettorale vincolano soltanto chi ci crede, […] ma a volte finiscono per capovolgersi. La Meloni non fa eccezione a questa regola». In conclusione, l’incontro è stato caratterizzato dalle «buone intenzioni e dai discorsi dei potenti» che difficilmente verranno applicati. In un altro articolo si fa inoltre notare come, da una parte, la questione non sia una priorità per tutti gli Stati membri dell’Unione europea e, dall’altra, la partnership avviata da Meloni e Saied stia ricevendo parecchie critiche e potrebbe ledere la tradizionale immagine dell’Europa attenta al rispetto dei diritti umani.
Completamente diversa la prospettiva della stampa emiratina, considerata la presenza del presidente Mohamed bin Zayed alla conferenza. Il quotidiano al-Ittihad pubblica la notizia in prima pagina, ma a differenza degli altri giornali menziona la causa che sarebbe all’origine del fenomeno migratorio: «Il cambiamento climatico è una delle principali cause delle migrazioni clandestine», ricollegandosi così a un’altra iniziativa promossa dal Paese, l’organizzazione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop-28), che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023.
La Tunisia nel secondo anniversario del golpe di Saied: movimento correttivo o deviazione storica?
Era il 25 luglio 2021 quando il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied dichiarò lo “stato di emergenza” obbligando alle dimissioni il primo ministro Hichem Mechichi e sospendendo i lavori del parlamento per trenta giorni. Da allora Saied è stato accusato, sia dall’opposizione che da gran parte della stampa internazionale, di aver limitato, se non proprio interrotto, il corso democratico iniziato con la Primavera Araba del 2011. Verificatosi in prossimità il dialogo con l’Unione Europea e della Conferenza di Roma, l’anniversario è servito a tracciare un bilancio del suo operato. L’anti-islamista Al-‘Arab approva le politiche del ra’īs, ma non può fare a meno di notare il difficile momento che sta attraversando il Paese: il principale successo di Saied – scrive il giornalista tunisino Mukhtar al-Dababi – consiste nell’aver salvato lo Stato (una sorta di «movimento correttivo»), recuperando «il suo prestigio perduto con l’arrivo al potere di gruppi e personalità faziose che non erano a conoscenza dei meccanismi dello Stato e dei metodi per amministrarlo, in quanto i suoi problemi e segreti economici e securitari erano diventati di pubblico dominio. Eppure, “il colpo di Stato contro il caos” ha condotto il Paese in una zona grigia che provoca ancora apprensioni» strettamente connesse alle restrizioni sulle libertà politiche. La priorità, secondo al-Dababi, è però l’economia e il controllo dell’immigrazione, da cui dipende l’erogazione dei prestiti internazionali e i partenariati con l’Unione Europea: «l’accordo sui migranti è stato uno dei primi passi pragmatici di Saied per ricevere immediati finanziamenti. […] Se la Tunisia fosse rimasta sulla sua posizione [precedente], cauta e incerta, sarebbero arrivati prima o poi i finanziamenti? Certo che no, è importante comprendere questo per arrivare al secondo passaggio, l’accelerazione del negoziato col Fondo Monetario Internazionale».
Opposto il parere di Jalal al-Warghy, direttore del Maghreb Centre for Research and Development, che su Al Jazeera sembra avallare una teoria complottista: «è del tutto chiaro che quanto avvenuto il 25 luglio 2021 era il compimento di un piano regionale e internazionale, in parte annunciato e in parte nascosto, per dare il colpo di grazia all’ultima roccaforte delle Primavere Arabe e per interrompere il percorso democratico e di cambiamento», una vera e propria «deviazione storica» che ha portato alla fine della «prima repubblica» tunisina.
Israele dopo la riforma della giustizia: più debole all’interno, più aggressivo all’esterno
L’approvazione del primo provvedimento della contestata riforma della giustizia del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha scatenato l’ennesimo moto di indignazione della stampa araba nei confronti dello Stato ebraico e della figura di “Bibi”. Per Al Jazeera «le conseguenze degli “emendamenti della giustizia” saranno, in un primo momento, contradditorie in quanto da una parte renderanno il Paese più oppressivo verso il popolo palestinese e, successivamente, porteranno all’erosione dei pilastri portanti su cui si regge la sicurezza dello Stato». Inoltre, la riforma sta esacerbando le già esistenti fratture interne alla società e alla classe politica israeliana. Il Paese è, nelle parole dell’autore dell’articolo, «un’entità devastata dalle divisioni», situazione che spianerà la strada ad altre polarizzazioni, compromettendo la già precaria concordia nazionale. Le tensioni sono così forti che al-‘Arabi al-Jadid spiega come stia prendendo piede nel Paese una «visione federalista» che intende concedere più potere decisionale ai vari gruppi religiosi e politici sionisti: per i sostenitori di questa idea «la fusione di tutte le componenti in una singola entità sarebbe la cosa preferibile in linea di principio, ma non è più possibile e impedisce le possibilità di guarigione della società». Questo concetto, mette in guardia l’autore, potrebbe avere potenzialmente gravi ripercussioni sulla questione palestinese, sancendo la fine della “soluzione dei due Stati”: gli arabi verrebbero infatti annessi dallo Stato ebraico, diventando una minoranza a cui verrà concesso, in una sorta di contropartita, il riconoscimento formale di alcune peculiarità culturali, linguistiche e religiose. Al-Sharq al-Awsat definisce Israele, con una punta di sarcasmo, un Paese a pieno titolo mediorientale: «di solito si considera Israele come “il Paese democratico” della nostra regione […] oggi però, con la battaglia sugli emendamenti di Netanyahu […] possiamo dire che Israele ha aderito alle regole del gioco, diventando un Paese mediorientale per eccellenza», dove l’indebolimento del sistema democratico procede di pari passo all’ascesa di movimenti estremisti e ultra-ortodossi.