Una coraggiosa canzone composta negli anni ’90 e magistralmente interpretata della diva egiziano-libanese Majda al-Roumi denuncia un problema senza tempo
Ultimo aggiornamento: 15/04/2025 17:39:41
Correva l’anno 1998 e il Libano si trovava saldamente sotto il controllo siriano. Dopo la firma degli accordi di Taef nel 1989 e la fine della guerra civile nel 1990, Hafez al-Assad aveva ottenuto il via libera dagli Stati Uniti per completare la conquista del territorio libanese, con l’esclusione delle regioni meridionali sotto occupazione israeliana, in cambio della propria neutralità nella Prima Guerra del Golfo. Se da una parte i metodi muscolari del regime siriano avevano riportato la calma in un Paese devastato da 15 anni di guerra civile, dall’altra non erano mancate le vendette sugli sconfitti, mentre lo spettro della repressione aleggiava su tutto il Paese, prendendo di mira in modo particolare i nazionalisti libanesi, contrari al progetto di Assad d’includere il Paese dei Cedri in una Grande Siria araba e socialista.
È in questo contesto che, nel 1996, due poeti tuttora viventi, Henri Zoghaib (Jounieh, 1948-) e Habib Yunes (Tannourine, 1959-), sollecitati dall’iconica cantante Majida al-Roumi, iniziarono a comporre una coraggiosa lettera aperta in versi. Due anni più tardi, la star, forte della sua notorietà internazionale e della sua doppia cittadinanza libanese ed egiziana, osò sfidare il regime baathista ed eseguì la canzone al festival di Beiteddine[1]. Ne uscì una delle più forti condanne dei regimi repressivi che gli intellettuali arabi abbiano espresso, ideale pendant al grido che la sconfitta del 1967 aveva strappato al poeta siriano Nizār Qabbānī in Signor Sultano, hai perso la guerra due volte. Sayyidī al-Raʾīs si rivolge a un generico presidente, ma il contesto in cui fu composta ed eseguita non lascia adito a dubbi: il destinatario primo era proprio il dittatore siriano. Parole che suonano ancora più forti oggi, dopo la caduta della dinastia degli Assad, e la “scoperta” delle torture praticate nelle prigioni siriane.
La canzone, come del resto la problematica che denuncia, trascende fin dalla sua genesi i confini religiosi. Se infatti gli autori sono cristiani, il compositore, Gamāl Salāma, deceduto di Covid nel 2021, è musulmano ed è noto non solo per alcuni grandi successi profani come Saʿāt saʿāt (“Ora dopo ora”), ma anche per aver rinnovato la musica religiosa islamica. E Majida al-Roumi, che non ha mai fatto mistero della sua fede cristiana – i lettori di Oasis ricorderanno forse i suoi concerti natalizi – ha sempre trasmesso un messaggio non confessionale, rivolto a tutti gli arabi che non si riconoscono nell’esclusivismo e nel fondamentalismo.
Non siamo riusciti a rintracciare sul web la prima esecuzione del 1998, ma offriamo di seguito, insieme al testo arabo e alla sua traduzione italiana, il video di un concerto del 2007, in Egitto, alla presenza di un altro Presidente, Hosni Mubarak.
Mentre la Siria cerca nuove strade, sarebbe illusorio credere alla narrazione che vorrebbe magicamente archiviata la pagina dell’autoritarismo con la caduta del regime di Assad. Cinquant’anni di stato di polizia, infatti, creano una mentalità difficile da estirpare. In questo senso Sayyidī al-Raʾīs, con il suo riuscito connubio di parole e musica, traccia una strada, fatta di denuncia e memoria, come prodromo di una riconciliazione possibile. «Signor Presidente, li sente i liberi farLe queste domande?». Cantata in una lingua letteraria comprensibile in tutto il mondo arabo, non ha perso nulla della sua attualità.
(Segue testo in arabo)
Signor presidente,
saluti. Vengo al punto
e dico in cuore, mentre la sera riempie il Paese di dolore
e la disperazione alberga tra noi,
mentre la spada della paura incombe su di noi
e un’angoscia logorante scende per un’altra notte tra noi,
Signor presidente,
dico in cuore:
chi ha incarcerato il sogno e lasciato libera l’angoscia, in odio verso di noi?
Chi ha trafitto i nostri giorni con la freccia della repressione, con inganno, catene e carcere?
Signor Presidente,
li sente i liberi farLe queste domande?
Forse due volte dovranno essere uccisi i martiri?
I nostri bimbi di notte ancora sognano,
ma chi salverà i sogni quando si addormentano?
Signor Presidente,
camminiamo per strada, infiltrati di traditori:
ci addolora che giochino con il nostro domani,
ci ferisce che assedino le nostre decisioni,
ci preoccupa che sappiano che cosa fanno.
Fino a quando bloccheranno le nostre prospettive?
Signor Presidente,
Abbiamo messo davanti a Lei le nostre lacrime.
Siamo venuti a Lei forti della nostra dignità:
crollino le porte delle prigioni,
fugga questa pazzia,
siamo lapidati tutti i traditori.
Questi nostri cuori sono fortezze di Libertà,
in questi corpi alberga la Causa della Verità.
Giuriamo di resistere,
perché noi, la nostra terra, la giustizia…
siamo maggioranza!
(trad. di Martino Diez)
سيّدي الرئيس
تحيّة وبعد
أقول في قلبي.. والمساء يغمُر البلاد بالشجون
واليأس بيننا.. وسيف الخوف مُصلْت علينا
والقلق المُضني يَبيت ليلة أخرى لدينا
سيّدي الرئيس
أقول في قلبي
مَن سبى الحُلم وأرخى الهمّ في حِقدٍ علينا؟
ومَن رمى أيّامَنا بالقهر.. بالغَدر.. بأغلال السجون؟
سيدي الرئيس
أتسمَع الأحرار حين يسألون؟
أمرتّين الشهداءُ يُقتَلون؟
أطفالنا في الليل بعدُ يحلُمون
مَن يُنقِذ الأحلام حين ينعَسون؟
سيّدي الرئيس
نمشي وبيننا يغُلُّ خائنون
يوجِعنا أنّهم بِغَدِنا يقامرون
يجرَحنا أنّهم قرارَنا يُحاصرون
يُقلِقُنا أنّهمُ يَدرون ماذا يفعَلون
إلى متى هم في شرايين رؤانا يسكُنون؟
سيدي الرئيس
بين يديك أُودِعت دَمعتُنا
جِئنا إليك وبنا عزّتنا
فلينهدِم.. باب السجون
ولينهزِم هذا الجُنون
ولينرجِم مَن قد يخون
وهذه قلوبنا مَعاقل الحريّة
وهذه أجسادُنا ذخائر القضيّة
ونُقسِم سنَبقى
لأنّنا.. وأرضنا.. والحقّ.. أكثريّة!
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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[1] I dettagli di composizione sono stati precisati da Habib Yunes in un articolo del 2014, in occasione di una nuova esecuzione della canzone durante il festival di Beiteddine. In quell’occasione Yunes dichiarò: «Mi ha fatto molto piacere che Majida al-Roumi abbia inaugurato il suo concerto al festival di Beiteddine con la canzone Sayyid al-Raʾīs che scrissi insieme a Henri Zoghaib su uno spunto di Majida, nel 1996. Le doglie del parto durarono quasi un anno prima che vedesse la luce nella sua forma attuale. E ci volle un altro anno perché il compositore egiziano Gamāl Salāma la mettesse in musica. Fu cantata la prima volta nel 1998». Cfr. Mājida al-Rūmī li-l-Afkār: “Dughūtāt kathīra hāwalat manʿī min taqdīm al-ughniyya al-wataniyya fī Bayt al-Dīn, wa-lakin qalbī lam yutāwiʿnī” [Majda al-Rumi ad al-Afkār: “Ci furono molte pressioni per impedirmi di presentare la canzone patriottica a Beiteddine, ma ho dato retta al mio cuore”], «al-Afkār», 4 luglio 2014: