Paesi e culture /4. Stati Uniti. La vera storia dell’edificazione della società più libera al mondo in fatto di religioni
è meno lusinghiera di quanto si creda.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:48:27
Nell’aprile del 2008, sul prato meridionale della Casa Bianca, è avvenuto uno scambio che ha riassunto molto del passato e del presente della libertà religiosa negli Stati Uniti. Accogliendo Papa Benedetto XVI in America, il Presidente Bush ha offerto al Santo Padre queste parole su ciò che si sarebbe dovuto aspettare durante la sua visita: «Qui in America Lei troverà una nazione che accoglie il ruolo della fede nella sfera pubblica. Quando i nostri Padri Fondatori hanno dichiarato l’indipendenza della nostra nazione, si sono basati su un richiamo alle “leggi della natura e al Dio della natura”. Noi crediamo nella libertà religiosa. Noi crediamo anche che, scritti nel cuore di ogni essere umano, ci siano l’amore per la libertà e una comune legge morale e che questi costituiscano la solida base sulla quale ogni società libera e di successo debba essere costruita. Qui in America, Lei troverà una società assolutamente moderna e che, tuttavia, è ancora guidata da verità antiche ed eterne. Gli Stati Uniti sono il paese più innovativo, creativo e dinamico del mondo – e sono anche uno dei paesi più religiosi. Nel nostro paese, fede e ragione coesistono armoniosamente. Questo è uno dei maggiori punti di forza del nostro paese e uno dei motivi più forti per il quale la nostra terra rimane un faro di speranza e di possibilità per milioni di persone in tutto il mondo». Papa Benedetto ha risposto: «Sin dagli albori della Repubblica, la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la “verità evidente per se stessa” che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura. Il cammino della storia americana evidenzia le difficoltà, le lotte e la grande determinazione intellettuale e morale che sono state necessarie per formare una società che incorporasse fedelmente tali nobili principi. Lungo quel processo, che ha plasmato l’anima della Nazione, le credenze religiose furono un’ispirazione costante e una forza orientatrice, come ad esempio nella lotta contro la schiavitù e nel movimento per i diritti civili. Anche nel nostro tempo, particolarmente nei momenti di crisi, gli Americani continuano a trovare la propria energia nell’aderire a questo patrimonio di condivisi ideali ed aspirazioni». Così, di fronte alla casa in cui ha abitato ogni presidente americano, a eccezione del primo, George Washington, e con la più alta delle cerimonie statali che gli USA possano offrire, un presidente metodista ha scambiato punti di vista sulla legge naturale, sulla libertà religiosa e sulla storia americana con un Papa, la cui presenza nella maggiore università di Roma, la sua propria sede, era stata giudicata sconveniente dal corpo insegnante tre mesi prima. Il Papa, che è evidentemente un ammiratore dei dispositivi istituzionali che governano la libertà religiosa e che sono volti a bilanciare la sfera secolare e quella spirituale negli USA, ha sottolineato questo punto ai Vescovi americani: «L’America è anche una terra di grande fede. La vostra gente è ben conosciuta per il fervore religioso ed è fiera di appartenere ad una comunità orante. Ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica. Il rispetto per la libertà di religione è profondamente radicato nella coscienza americana, un dato di fatto che ha contribuito a far sì che questo Paese attraesse generazioni di immigranti alla ricerca di una casa dove poter liberamente rendere culto a Dio secondo i propri convincimenti religiosi». La maggior parte degli americani di ogni credo religioso (anche se forse non la maggior parte dei colleghi americani dei professori de La Sapienza che hanno respinto il Papa) sarebbero d’accordo con l’opinione del Papa. Ma, mentre il Papa e il Presidente parlavano con attenzione delle idee basilari che hanno reso la fede una forza integrante nella formazione dello sviluppo politico e della vita culturale americani, la vera storia della pratica della libertà religiosa in America è complicata e spesso poco lusinghiera. In primo luogo, vale la pena di ricordare il profilo della storia legale della libertà religiosa negli USA, in secondo luogo, esaminare le domande che circondando la libertà e l’espressione religiosa in America oggi e, infine, considerare in breve quali linee di tendenza e quali fattori possano mutare il rapporto tra religione e sfera pubblica nel futuro. Aspetti Legali La maggior parte degli americani sottoscrive la “storia classica” della libertà religiosa in America, quella che inizia con l’arrivo dei Padri Pellegrini in cerca del diritto di praticare il culto secondo le proprie scelte e con la dichiarazione della libertà di religione nella Costituzione. Ma, come documenta Kevin Seamus Hasson del Becket Found for Religious Liberty nel suo libro del 2005, The Right to be Wrong, la verità della storia religiosa americana è molto differente e presenta complicazioni e conflitti che perdurano fino al giorno d’oggi. I puritani cercavano un luogo in cui poter praticare la loro rigida forma di Cristianesimo, una forma che rifiutava la Chiesa Anglicana come ancora troppo legata alla “impura” pratica cattolica. Dal momento che questi puritani consideravano sbagliate tutte le altre credenze religiose, essi non tolleravano alcun dissenso e, quindi, cacciavano i dissidenti e torturavano e mandavano a morte come “eretici” i quaccheri ostinati. Altrove, nell’America coloniale, poco dopo la fondazione del Maryland come colonia cattolica, i leader cattolici furono rimandati in Inghilterra in catene e la pratica del Cattolicesimo fu soppressa in Maryland per la maggior parte del XVIII secolo. La Messa cattolica non è stata legale in South Carolina fino al 1790 e, in North Carolina, gli ebrei non poterono occupare cariche pubbliche fino al 1868. A partire da questa antica storia di competizione tra marchi di tolleranza limitata e di vera e propria intolleranza, i Padri Fondatori fecero alcuni importanti, ma incompleti, passi verso una più larga base legale per la libertà religiosa. Come ha dimostrato Michael Novak, gli autori della Dichiarazione di Indipendenza e della Costituzione erano generalmente uomini di fede e non esitavano a fare riferimento a Dio nelle loro dichiarazioni pubbliche e nelle loro lettere. Essi credevano nell’armoniosa combinazione tra fede e religione, di cui ha parlato il Presidente Bush nel suo saluto al Papa, e la praticavano. Molti credevano che la religione fosse essenziale per la sopravvivenza e il successo della libertà in una società, un’idea che fu rafforzata dalle osservazioni di Alexis de Tocqueville durante i suoi viaggi in America risalenti all’inizio del XIX secolo. Secondo Hasson, James Madison fu tra i primi a concepire la libertà di culto come un diritto accordato da Dio piuttosto che come un privilegio garantito dallo Stato, uno sviluppo importante nell’instaurarsi di ciò che alcuni potrebbero riconoscere come legge naturale nel pensiero americano. Ma lo stesso John Locke, il cui pensiero costituiva probabilmente un punto di partenza diretto o indiretto per le idee di Madison, limitava la sua concezione dell’applicazione di questa legge naturale ai protestanti, come molti americani avrebbero continuato a fare dopo la fondazione della Repubblica. Quello di Madison non fu un punto immediatamente accettato né in modo esteso. Alcuni erano a favore dell’imposizione di tasse statali per finanziare particolari istituzioni religiose, altri erano per il diritto degli Stati (in opposizione al governo federale) di istituire esami religiosi per l’occupazione delle cariche pubbliche, cosa che molti fecero. La lettera del Primo Emendamento alla Costituzione, «il Congresso non deve emanare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, né proibirne il libero esercizio…», si dimostrò di scarso valore immediato nella promozione della libertà religiosa per i non protestanti. Si ritenne che questa lettera dovesse essere applicata soltanto al governo federale, mentre gli Stati rimanevano liberi di esigere esami religiosi per le cariche pubbliche (da cui generalmente cattolici ed ebrei erano esclusi) o di introdurre restrizioni al finanziamento di scuole “settarie” (ad esempio, i cosiddetti emendamenti Blaine che proibivano l’utilizzo di fondi pubblici per le scuole cattoliche e che furono emanati durante gli anni di forte immigrazione cattolica nella seconda metà dell’Ottocento). Le corti interpretavano l’“esercizio” della religione come essenzialmente equivalente al solo credo, mentre gli atti che derivavano da quel credo non risultavano tutelati. Due secoli di giurisprudenza volta a interpretare il Primo Emendamento hanno prodotto poche linee guida chiare e molta confusione, come riconoscono gli attuali giudici della Corte Suprema, di ogni tipo di orientamento. Ancora, citando da The Right to be Wrong di Hasson: «Il giudice ultralaicista Stevens ha schernito lo “sforzo sisifeo di cercare di rammendare la vaga, indistinta e oscillante barriera [tra Chiesa e Stato] che la Corte Suprema era riuscita a creare”. Egli non è l’unico a lamentarsi… Il giudice in pensione O’Connor ha messo in guardia sul fatto che la giurisprudenza sulla clausola sul riconoscimento religioso (establishment clause) da parte della Corte Suprema risultava fonte di confusione nelle corti più basse, che, a loro volta, “la stavano rendendo sempre più amorfa e distorta”. E il giudice Kennedy ha criticato l’approccio della Corte Suprema come “difettoso nei suoi fondamenti e inattuabile in pratica”. Il giudice conservatore Scalia scrive che “ora siamo così audaci che non sentiamo nemmeno più il bisogno di fingere che il nostro azzardato metodo di determinazione delle decisioni riguardanti la clausola sul riconoscimento religioso sia governato da un qualsiasi principio». Perciò, in termini legali, la libertà religiosa in America agisce seguendo linee guida non chiare, cercando di barcamenarsi (e spesso sbandando) tra una visione che sostiene l’esistenza di una separazione assoluta e inviolabile tra Chiesa e Stato e che include un rigido bando della preghiera o dell’espressione religiosa nella sfera pubblica e un’altra che vede la fede e la sua espressione come una parte essenziale del discorso politico americano e come la fondamentale forza guida nella direzione verso la quale la nazione dovrebbe andare. Queste discussioni si manifestano, per la maggior parte degli americani, in interrogativi sull’opportunità di permettere la preghiera nelle scuole pubbliche, di esporre presepi e menorah sul suolo pubblico e sull’opportunità che la corti statali possano esporre i Dieci Comandamenti come riferimento alle leggi originali di Dio. Organizzazioni come la American Civil Liberties Union (Unione Americana per le Libertà Civili) lottano per la rimozione di ogni traccia religiosa dalla vita pubblica americana; al momento, ad esempio, la ACLU ha citato in giudizio il governo del Distretto di Columbia per la sua decisione di trasferire la gestione di un ricovero per senzatetto a un’organizzazione cristiana e si oppone alla preghiera di mezzogiorno nella Accademia Navale statunitense. Il punto di vista opposto, che fa appello a “una filosofia pubblica plasmata religiosamente per l’ordinamento della società”, ha tra le sue guide padre Richard John Neuhaus, direttore dell’Istitute on Religion and Public Life ed editore della rivista «First Things», e il pensatore cattolico e biografo di Papa Giovanni Paolo II, George Weigel. Memoria Nazionale Se la base legale per determinare con esattezza quali forme d’espressione e di pratica religiose siano permesse o proibite secondo la legge è incerta e continuamente oggetto di conflitti e controversie, che cosa funziona effettivamente nella religione negli Stati Uniti? Quale sarebbe la ragione dell’ammirazione di Papa Benedetto per il buon stato di salute della religione in America? Per iniziare, mentre la storia della libertà religiosa negli USA è molto più movimentata di quanto la maggior parte degli americani si immagini, il ruolo della libertà religiosa nell’autorappresentazione dell’America, nella sua mitologia nazionale, è saldo. I dettagli delle persecuzioni dei puritani sui dissidenti vengono dimenticati, ma il valore della libertà religiosa che essi cercavano, fosse anche soltanto per loro stessi, è assodato nella memoria nazionale. I dibattiti legali sul ruolo della religione nella sfera pubblica, per usare un’espressione di padre Neuhaus, si scateneranno e avranno conseguenze importanti sulla nazione, ma l’idea della libertà di culto per il singolo cittadino è al momento al di fuori di ogni dubbio. Forse il fattore più importante che ha prodotto il successo della libertà religiosa in America è l’applicazione dei diritti agli individui piuttosto che a categorie di persone. La teoria dei diritti che ha guidato il pensiero politico americano, a partire da Madison e dai Padri Fondatori, ha sottolineato i diritti degli individui in forza della loro dignità come esseri umani e poiché Dio ha garantito, nelle leggi naturali che lo Stato non può circoscrivere i pieni diritti legati all’umanità del singolo individuo. Questi diritti appartengono ai cittadini, o agli individui, non ai re, alle organizzazioni o alle chiese, e gli individui garantiscono collettivamente ai capi di Stato quell’autorità e quella sovranità necessarie per governare. Nella sfera religiosa, questo punto di vista ha messo in luce un antico conflitto nelle colonie americane. Roger Williams, un dissidente puritano che aveva fondato il Rhode Island come un paradiso di tolleranza religiosa (cosa che non durò a lungo), credeva, contraddicendo i puritani, che la volontà di Dio implicasse la scelta individuale in ambito religioso. Hasson cita Williams: «Il culto forzato puzza alle narici di Dio… È volontà e comandamento di Dio che siano permesse le coscienze e i culti più pagani, ebraici, turchi o anticristiani, diritto questo da garantire a tutti gli uomini in tutte le nazioni e tutti i paesi». Quest’enfasi sulla coscienza individuale, da parte dell’uomo che sarebbe diventato il primo ministro della prima Chiesa battista d’America, è fondamentalmente compatibile con il tipo di personalismo sposato da Papa Giovanni Paolo II. Essa, tuttavia, non è compatibile con la garanzia dei diritti, in particolare di quello alla libertà religiosa, solamente a categorie di persone. Ed è anche incompatibile, in ultima analisi, con un individualismo radicale che sostenga che la verità sia esclusivamente ciò che ciascuno sente o immagina che essa sia. Williams ha basato la sua visione sulla propria comprensione della volontà di Dio, vale a dire, sulla sua idea di una verità universale. La credenza primaria nell’esistenza di una verità universale, come appare nella Dichiarazione di Indipendenza e negli scritti dei Padri Fondatori, sorregge l’idea americana dei diritti umani come quei diritti che sono stati generati al di fuori del tempo ed è essenzialmente concorde con gli insegnamenti cattolici contemporanei. Come Papa Benedetto XVI ha affermato alle Nazioni Unite nell’aprile del 2008, sottolineando la ricorrenza del sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, «l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti». Nel contesto americano, l’enfasi sulle libertà individuali ha portato alla clausola costituzionale che proibisce che il governo federale stabilisca una religione ufficiale e, col passare del tempo, ha portato (insieme all’influsso degli immigrati non-protestanti, che hanno goduto di un successo eccezionale nella cultura e nella società americane) alla fine degli esami religiosi per le cariche pubbliche. Proprio come la contraddizione tra i diritti universali basati su leggi universali e la schiavitù portò, alla fine, al riordino dei diritti degli Stati e a una guerra civile che ha posto termine alla schiavitù, così anche la contraddizione tra le basilari idee americane sulle verità universali ha portato a una società religiosamente più tollerante, sia nella legge che nella pratica. Allo stesso tempo, l’esperienza americana ha portato all’allontanamento dal modello delle chiese supportate dallo Stato e ha permesso lo sviluppo del pluralismo religioso. Alcuni sostengono che questa “scelta del consumatore” tra religioni non solo sia moralmente giusta, come affermava Williams, ma essenziale per la sopravvivenza della fede religiosa in America in senso lato, dal momento che la possibilità di scegliere la propria religione, da un lato, consente che gli individui pratichino il culto come pensano sia giusto (o, quantomeno, come sentono che sia meglio) e, dall’altro, evita la reazione contro l’oppressione di una coscienza imposta dall’esterno. Ambasciatore Plenipotenziario Un ulteriore fattore che contribuisce al successo della libertà religiosa americana è l’idea prevalente che fede e ragione siano compatibili e, in effetti, fondamentali sia l’una all’altra sia per la vita di successo del cittadino. Questa non è di certo una posizione universalmente condivisa negli USA, ma, nel corso della storia della nazione, la fede è stata percepita come compatibile e favorevole all’idea secondo la quale l’uomo può migliorare la propria condizione attraverso l’uso dei propri talenti e della ragione. La mitologica fiducia americana nel progresso, o l’ottimismo, era ed è una fede in Dio e nella ragione che collaborano. Questa è la combinazione cui faceva riferimento il Presidente Bush ed è uno degli argomenti preferiti di Papa Benedetto XVI. Infatti, annunciando la visita del Papa in aprile, la Casa Bianca ha sottolineato che il Presidente e il Papa avrebbero continuato le loro discussioni su fede e ragione, sulla base di alcune loro conversazioni precedenti. Gli americani hanno così tanta fiducia nella loro idea di libertà religiosa che cercano di propagarla all’estero. Nella Strategia di Sicurezza Nazionale (National Security Strategy) del Presidente Bush, che traccia l’Agenda della Libertà (Freedom Agenda) in politica estera, la libertà religiosa è definita “la prima libertà”. Nel 1998, il Congresso ha creato una Commissione Americana sulla Libertà Religiosa Internazionale (U.S. Commission on International Religious Freedom) che valuta lo stato della libertà di religione in altri Paesi e riferisce annualmente. La medesima legislazione ha creato nel Dipartimento di Stato la figura di un ambasciatore plenipotenziario per la libertà religiosa internazionale. Questo sforzo per favorire la libertà religiosa è basato sulle stesse idee che spingono il Vaticano a promuovere la libertà religiosa come un diritto umano. Se la libertà religiosa, così come si presenta oggi negli USA, è il risultato di un passato legale difficile e se le corti continuano a confondere le idee riguardo al problema della distinzione tra le espressioni pubbliche di fede permesse e quelle che aprirebbero una breccia nel muro debolmente definito che separa la Chiesa dallo Stato, gli americani si sentono in pratica liberi di seguire le loro proprie coscienze individuali e sono fiduciosi che questo diritto sia una salda caratteristica della società americana. Cosa potrebbe cambiare questa situazione? Nel breve termine, il successo di organizzazioni come la ACLU nella creazione di uno spazio pubblico privo di espressioni religiose avrebbe un effetto deleterio. Il fallimento di sostenitori, come padre Neuhaus, del mantenimento di un ruolo per una filosofia politica informata dalla religione cambierebbe radicalmente la natura del discorso pubblico, quale si è espresso nei primi 219 anni dall’adozione della Costituzione. Attraverso la rimozione di qualsivoglia espressione pubblica di sostegno alla religione, la società segnalerebbe inevitabilmente il ruolo declinante della fede nella vita nazionale e il governo politico americano risulterebbe privato dei benefici della verità portati dalla fede. Per ora, questo sembra poco probabile. Benché si sia dimostrata difficile in pratica e limitata negli scopi, l’iniziativa del Presidente Bush volta a supportare organizzazioni a base religiosa ha sollevato obiezioni ma non una schiacciante opposizione in linea di principio. Nella campagna elettorale per le presidenziali del 2008, entrambi i candidati si sono sottoposti a un’intervista con un ministro evangelico di punta per discutere la loro fede e come essa potrebbe modellare le loro politiche. Lo hanno fatto poiché gli americani esigono di sapere come i loro leader rispondono a questo tipo di domande. Nel lungo termine, uno slittamento verso una visione dei diritti umani come propri di categorie di persone piuttosto che di singoli individui minerebbe alla base l’umanismo essenziale che ha guidato l’approccio americano alla libertà politica. Ugualmente, un ulteriore allontanamento dalla fondamentale combinazione di fede e ragione nella direzione della sola ragione, come è evidentemente successo in molte parti d’Europa e nelle università americane, rappresenterebbe una catastrofe per coloro che percepiscono l’America come una nazione fortunata a causa della, e non nonostante la, sua convinzione persistente che sia la fede che la ragione conducano alla verità. La crescita dell’opinione secondo la quale la tolleranza debba includere anche la tolleranza delle azioni di coloro la cui intolleranza porterebbe allo sradicamento della libertà di religione, siano essi islamisti o umanisti secolari radicali, manderebbe quantomeno in frantumi la libertà religiosa e altre libertà. Forse, però, la più grande minaccia al successo della libertà religiosa negli USA potreb¬be essere il collasso della fede nell’idea di una verità universale e discernibile esistente al di là delle cose materiali e il successo dell’idea secondo la quale una tale verità non esiste. Senza questa fede ampiamente condivisa in una verità universale, o in Dio, nessu¬na libertà reale può essere conservata e una società viene abbandonata al consumo del capitale morale delle generazioni precedenti, mentre genera soltanto nichilismo per il futuro. Se l’America eviterà di rinunciare alle idee più fondamentali dei suoi fondatori, i futuri presidenti e i futuri Papi potranno ancora conversare di convinzioni condivise e della basilare forza della religione e della libertà religiosa nella Repubblica americana.