Intervento di Paolo Alli alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:08:21

Ringrazio la Fondazione Oasis a nome della Fondazione De Gasperi per questo invito, e il Rettore della Cattolica per l’ospitalità. Porto i saluti del presidente Angelino Alfano, che per ragioni professionali non è riuscito a intervenire oggi e quindi, vi dovrete accontentare del Segretario generale. Lo dico perché Alfano avrebbe sicuramente potuto parlare di questi temi molto più autorevolmente di me, viste anche le sue esperienze personali pregresse.

Io faccio due ordini di considerazioni. Il primo è relativo alla politica italiana ed europea e al tema dell’immigrazione. L’immigrazione è storicamente un elemento divisivo della politica. Ha dato origine a leadership populiste in Italia e in Europa, poi si è quietata nel periodo del Covid perché le priorità dei cittadini erano altre. Riemerge ora in modo drammatico. Io faccio una riflessione da cittadino: nella storia abbiamo visto che per affrontare problemi importanti e gravi si è addirittura arrivati a inventare i governi di coalizione nazionale o di larghe intese – i primi furono i britannici dopo la Seconda guerra mondiale. Come mai un tema così che, come diceva il Cardinal Scola, non è più emergenziale ma strutturale, e che è di estrema complessità, anziché mettere insieme gli sforzi della politica per trovare soluzioni, la divide? Perché non insieme, ma divisi? Questo non è solo un problema della politica italiana, è un problema della politica europea. Vediamo un Paese armato contro l’altro… La domanda che mi faccio è: cosa interessa davvero alla politica rispetto al tema dell’immigrazione? Interessa il destino di queste persone, interessa il fatto che possono essere una risorsa, interessa la loro integrazione, interessa la sicurezza e la stabilità o interessano i voti? Perché questa è purtroppo la percezione che hanno i cittadini. L’estrema polarizzazione del dibattito droga anche l’opinione pubblica, nel senso che la percezione sul tema è largamente sopravvalutata, come dicono tutti i sondaggi. Il cittadino italiano pensa che ci siano molti più immigrati di quelli che ci sono, e che gli immigrati siano un problema più che una risorsa. Quindi la mia prima riflessione è questa: la politica italiana e la politica europea devono arrivare a concepirsi insieme per risolvere questo problema e utilizzare la risorsa che l’immigrazione costituisce.

 

Non mancano i richiami. Il presidente Mattarella al Meeting di Rimini ha suggerito una formula molto importante: «Aumentiamo le quote di immigrazione regolare anche per contrastare i trafficanti di esseri umani». Ne ha accennato la sottosegretaria Ferro all’inizio di questo incontro, ma non mi pare che questo tema sia molto presente nel dibattito politico sull’immigrazione. Forse perché è una soluzione razionale e ragionevole che può mettere insieme tutti e che quindi non alimenta, con le divisioni, la propaganda. Più in piccolo, il sindaco di Terni qualche giorno fa ha detto: «Se i francesi e i tedeschi non vogliono i migranti li prendiamo noi. La mia città li può prendere, però li facciamo lavorare».

 

QQuesta è la percezione della gran parte dei cittadini italiani, lo dicono anche i sondaggi. La maggior parte dei cittadini non è prevenuta, non è contraria all’immigrazione o agli immigrati, dice soltanto: «Visto che ci costano, facciamoli lavorare, e favoriamo così il processo d’integrazione». Questo è uno spunto che però richiederebbe un intervento normativo importante, perché è chiaro che oggi un immigrato senza permesso di soggiorno non può avere un lavoro stabile e quindi bisognerebbe cambiare il quadro. Gli spazi per poter lavorare anche sui contenuti ci sono. Vedo però che questi spazi sono abbastanza assenti dal dibattito politico italiano.

 

La seconda parte del mio intervento sarà sul tema delle cause. Maurizio Lupi ha parlato abbondantemente dell’Africa e io condivido il suo intervento. Fin dai tempi in cui Matteo [Renzi] era Presidente del Consiglio si parlava di questi interventi, del piano Marshall e quant’altro. Io credo che la situazione sia ancora più complessa di quanto appare perché, se noi consideriamo questo grande continente verticale che va dal Nord Europa all’Africa subsahariana, delimitato dall’Oceano Atlantico a Ovest e dal Mar Nero a Est, includendo quindi anche tutto il Medio Oriente, parliamo di un continente abitato da un miliardo e mezzo di persone, dove è concentrato il 30% del Pil mondiale. È un continente che ha a Nord-Ovest l’Europa, che è ancora un luogo di stabilità e di pace, e tutto intorno la più alta concentrazione di conflitti che oggi c’è nel mondo: l’Ucraina, il Medio Oriente con la Siria e l’Iraq, e tutta l’Africa. In questo continente verticale il Mediterraneo è esattamente a metà e ha riacquistato la sua storica centralità. Ma purtroppo, mentre il Mediterraneo è stato storicamente un elemento di congiunzione tra l’Est e l’Ovest – pensiamo alla Via della Seta – oggi è una barriera, una divisione tra il Nord e il Sud, e non soltanto per l’immigrazione, ma anche per tanti altri elementi che sarebbe complicato analizzare qui.

 

In questo quadro, in questo continente verticale, si giocano tre tipi di filosofie. L’esigenza e il tentativo delle democrazie occidentali e delle forze buone, che sono tante anche nel mondo islamico e mediorientale, di avere stabilità, pace, progresso e prosperità. La filosofia russa, che esporta instabilità nel mondo per contrastare il nemico che è, non lo dimentichiamo, la cultura occidentale. E la filosofia cinese che, come diceva anche Maurizio, attua una sorta di neocolonialismo di tipo commerciale attraverso il quale depreda l’Africa.

 

Di fronte a una complessità di questo tipo è chiaro che l’attore principale dev’essere l’Europa. Non si possono chiamare in causa gli Stati Uniti, che sono arretrati da questa zona già dalla presidenza Obama dicendo «sono problemi vostri» – anche se non sono problemi soltanto nostri, ma anche loro –, ma dobbiamo progettare, pensare insieme qualcosa di molto ambizioso. Il piano Mattei è interessante perché evoca il tema dell’energia, ma è anche abbastanza limitato. Visto che siamo tutti bravi a inventare formule, ne invento una anch’io. L’Europa ha fatto il Next Generation EU. Perché non proponiamo il Next Generation Africa? Perché qui si tratta di progettare il futuro delle prossime generazioni, di quel continente che può essere la più grande risorsa per l’umanità. E non solo per l’Africa, ma ovviamente anche per tutto il Medio Oriente.

 

Su questo mi fermo e concludo il mio intervento andando indietro nel tempo e leggendovi due brevi frasi. A proposito di profeti, visto che si citavano le profezie e la capacità di vedere avanti, nell’ambito del lavoro di preparazione che stiamo facendo per il settantesimo della morte di De Gasperi, mi sono imbattuto in una lettera del 12 agosto 1946. Una lettera che il Cardinal Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, allora Nunzio Apostolico a Parigi, scrisse ad Alcide De Gasperi all’indomani del suo memorabile intervento del 10 agosto alla Conferenza di Pace di Parigi. Il 12 agosto Roncalli scriveva, tra l’altro con un’ironia molto fine: «Oggi stesso, trovandomi in un copioso circolo diplomatico, potei cogliere, senza darmi la pena di fare il curioso, impressioni unanimemente favorevoli al discorso da Lei pronunciato alla conferenza». E tira fuori una frase, un commento, che mi ha spiazzato, perché io ho sempre pensato a questo discorso come alla sintesi del grande senso di orgoglio, della capacità diplomatica, della fermezza di De Gasperi. Il Cardinale dice: «Beati i miti perché essi possederanno la terra. Questo è un primo soffio di Vangelo che attraversa quell’aula fastosa». Già questa interpretazione del discorso di De Gasperi collegata alle Beatitudini, secondo me, è straordinaria. Ma sentite cosa dice poi questo profeta: «Mitemente nei miei contatti amo ripetere, al di fuori delle rivendicazioni territoriali di cui non mi debbo occupare, che un buon accordo tra Francia e Italia, che regoli per sempre, in forma equa e fraterna, gli sviluppi dell’emigrazione, potrebbe essere a debita scadenza uno dei più benefici avvenimenti della storia dei rapporti tra i nostri due Paesi. Il resto conta ben poco». 1946. Viene da dire: cosa è successo in questi 77 anni?

 

 

 

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