Il sistema messo a punto dal governo italiano per la gestione dei migranti irregolari aggira le leggi internazionali e rischia di creare più problemi di quelli che risolve
Ultimo aggiornamento: 06/11/2024 12:07:43
Il governo italiano ha varato il decreto “Paesi sicuri” per rendere operativi i centri di identificazione in Albania. Pochi giorni fa il tribunale di Bologna ha rinviato il provvedimento alla Corte di Giustizia europea, mentre lunedì 4 novembre il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di cinque migranti. Ne abbiamo parlato con Luigi Achilli, esperto di flussi migratori, ricercatore presso l’Istituto Universitario Europeo a Firenze e il Christian Michaelson Institute a Bergen, in Norvegia.
Intervista a Luigi Achilli, a cura di Chiara Pellegrino
Qual è la sua opinione in merito al decreto legge del governo italiano che ridefinisce l’elenco dei Paesi considerati sicuri? Qual è la ratio alla base di questa lista?
Facciamo un passo indietro e partiamo dalla logica dietro l’accordo siglato con l’Albania, che è quella di bypassare le leggi che regolano il diritto d’asilo esternalizzando in Paesi terzi i controlli di confine. Firmando questo accordo il governo italiano aggira il diritto internazionale, secondo il quale lo Stato di approdo ha il dovere di esaminare la domanda d’asilo. In questo caso, l’escamotage è dire che nei centri aperti in Albania s’impiegano degli amministrativi italiani, per cui tutte le procedure sono gestite da autorità italiane. Dal punto di vista logistico in Albania sono stati istituiti due centri: in uno si svolgono le procedure di sbarco e di identificazione, mentre l’altro svolge funzioni analoghe a quelle dei Centri di Permanenza per i Rimpatri. L’obiettivo dell’accordo è far sì che la maggior parte delle persone che arrivano in Albania vengano spostate nel secondo centro per essere rimpatriate, dopo essersi accertati che provengono da uno dei “Paesi sicuri”. E qui si pone il problema: il 4 ottobre scorso la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza che affermava l’illogicità del concetto di “Paese terzo sicuro”, perché una persona può provenire da un Paese identificato come sicuro, ma potrebbe temere di essere perseguitato, se è un dissidente politico, o di essere vittima di organizzazioni criminali. In questo caso, il Paese d’origine, per quanto possa essere considerato in linea di massima uno Stato sicuro, non riesce a garantire la sicurezza della persona, che è costretta a cercare protezione altrove. La sentenza della Corte di giustizia dice che il concetto di “Paese sicuro” è rilevante ma non può determinare il rifiuto di una domanda di asilo, perché, come dicevo, un migrante può provenire da un Paese ritenuto sicuro ma non essere al sicuro. Inoltre, non esiste una vera e propria definizione legale di Paese sicuro, si tratta più che altro di una classificazione a livello operativo. Sulla base della sentenza europea, il Tribunale di Roma ha deciso di non convalidare il trattenimento dei dodici migranti portati nei centri di accoglienza in Albania. Non è una decisione di “toghe rosse politicizzate”; il Tribunale di Roma ha semplicemente recepito nella normativa nazionale quanto stabilito a livello sovranazionale. A questo punto il governo italiano ha approvato un DL che stabilisce il concetto di “Paese sicuro”, un po’ come ha fatto il Regno Unito con il Ruanda. L’Italia sta cercando di integrare l’idea di “Paese sicuro” in maniera più strutturata all’interno della sua legge in modo che non ci sia margine per contestare il trasferimento di migranti in Albania. Il problema alla radice è che non c’è uno screening vero e proprio dei richiedenti asilo prima che vengano sbarcati in Albania. Chi arriva da un Paese considerato sicuro, come per esempio l’Egitto, viene trasferito automaticamente in Albania dove la sua domanda di asilo verrà valutata e, molto probabilmente, respinta.
Peraltro, nel 2024 l’Egitto è il quarto Paese di provenienza dei migranti, preceduto dal Bangladesh, dalla Siria e dalla Tunisia…
Esattamente, e sia il Bangladesh che l’Egitto sono stati inseriti nella lista dei “Paesi sicuri”. Dopo l’ultimo DL i Paesi considerati sicuri sono 19. Fino a qualche tempo fa la lista era più lunga, ma poi il governo ha depennato Paesi come la Nigeria, dove la presenza di Boko Haram e altri gruppi terroristici, oltre ai conflitti nel nord-est del Paese, rendono più difficile classificarlo come sicuro.
Dal punto di vista giuridico, l’elenco dei “Paesi sicuri” è sufficiente a tenere in piedi il modello Albania?
Ne dubito fortemente. Il tentativo dell’Italia di coprirsi le spalle attraverso il DL presenta diverse falle. In primis esiste una gerarchia legale: in caso di incongruenze il diritto internazionale tendenzialmente prevale su quello nazionale. Di conseguenza, dato che il DL è in contrasto con il diritto internazionale, le istituzioni giuridiche nazionali potrebbero dichiarare il decreto nullo o non applicabile. A parte la questione giuridica, ci sono diversi ostacoli al funzionamento di questo accordo. La logistica, per esempio: le navi che trasportano i richiedenti asilo in Albania appartengono alla Marina Militare, alla Guardia Costiera e alla Guardia di Finanza. I migranti vengono soccorsi, portati prima in Italia dove vengono divisi – solo i soggetti ritenuti non vulnerabili possono essere trasportati in Albania. In seguito, la minoranza dei migranti a cui in Albania viene riconosciuta qualche forma di protezione è riportata in Italia. Il risultato è che le navi delle autorità italiane saranno destinate a svolgere un servizio di taxi costante. È fattibile? Oltre i costi, che si stima raggiungeranno quasi il miliardo entro i prossimi cinque anni per l’intero progetto, vengono tolte risorse importanti per destinarle a un servizio di taxi. E poi c’è la questione dei rimpatri. Come avverranno? L’Albania ha già detto che non se ne occuperà. Peraltro, meno del 10% dei rimpatri avviene effettivamente, per due ragioni: non ci sono generalmente accordi bilaterali per il rimpatrio con i Paesi da cui provengono i migranti, e le operazioni di rimpatrio hanno dei costi elevatissimi. Che cosa faranno quindi i migranti? Dove finiranno? L’Albania non li vuole, paghiamo per riportarli in Italia? Questo accordo è una mossa soprattutto politica. I problemi sono tanti. Anche il tempo che i migranti devono trascorrere in mare. Stiamo parlando di persone che hanno fatto viaggi estenuanti e che spesso arrivano sull’orlo della morte. Si tratta di tenerli altri giorni in mare. Lo Stato italiano deve assumersi la responsabilità delle persone che moriranno per via di questi ritardi. Inoltre, si pone il tema della rappresentanza legale. Per far richiesta d’asilo c’è bisogno di un avvocato. Dubito che gli avvocati italiani andranno in Albania, al massimo potranno fare qualche chiamata su Skype o su Zoom con i migranti. Il rischio è di inficiare la possibilità del migrante di ricevere una tutela legale adeguata. Alla base dell’accordo c’è dunque una volontà politica: il governo vuole dimostrare di avere il controllo sulla migrazione irregolare, che è aumentata dall’inizio del suo mandato.
Perché è aumentata?
È difficile rispondere a questa domanda, perché il flusso migratorio è influenzato da molte variabili. Spesso gli accordi con Paesi terzi funzionano molto bene all’inizio poi, con il passare del tempo, i controlli si rilassano e aumenta la frequenza delle partenze. I flussi sono collegati anche alle questioni geopolitiche, alle guerre nei Paesi di origine o di transito, ai problemi politici ed economici… Perciò sono diversi fattori che si sovrappongono e determinano un aumento dei flussi migratori.
Esiste una via legale per chiedere diritto d’asilo sul suolo europeo prima di partire, per evitare di arrivare illegalmente?
No, non esiste una legge europea che dia la possibilità di fare domanda d’ingresso prima di partire. Il paradosso sta proprio qui: per fare domanda d’asilo i migranti devono arrivare sul suolo europeo, e per arrivare devono appoggiarsi spesso a reti criminali. Nel suo funzionamento, il sistema di asilo europeo si basa in parte su ingranaggi criminosi, sui trafficanti di persone.
Poi c’è il tema dei minori, che sono considerati vulnerabili e quindi non possono essere trasferiti in Albania.
Esatto. Che cosa accadrà ai minori i cui genitori sono considerati non vulnerabili e provenienti da Paesi sicuri? Si avranno casi di separazione forzata, rischiamo di “creare” noi dei minori non accompagnati.
C’è il rischio di violazione dei diritti umani nei centri in Albania o la gestione italiana ne garantisce il rispetto?
Il rischio aumenta indubbiamente, la gestione italiana non è in alcun modo garanzia di rispetto dei diritti umani. Come rivelato da diverse inchieste giornalistiche, in molti casi il governo italiano, indipendentemente dallo schieramento politico, ha collaborato in passato, più o meno consapevolmente, con gruppi di diversa natura, anche criminale. È il caso di alcune milizie coinvolte nel traffico di persone in Libia, per esempio, che hanno partecipato anche a incontri di altissimo livello nella gestione della questione migratoria, come al Cara di Mineo. Questo per dire che la gestione italiana dei centri in Albania non mette di per sé al riparo dalle ingerenze criminose. Una delle caratteristiche degli accordi più recenti in materia di migrazioni è la mancanza di chiarezza, ciò che vale anche per l’accordo firmato con l’Albania. L’ambiguità favorisce l’intrusione di reti criminali nella gestione dei flussi migratori, come è accaduto in Libia. L’accordo con l’Albania rischia di produrre un alto numero di migranti che rimangono bloccati nel sistema, favorendo delle dinamiche di sfruttamento.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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