Una rispettata autorità religiosa della Striscia di Gaza ha preso posizione contro il “Diluvio di al-Aqsa”, contestando punto per punto la sua conformità alla legge islamica
Ultimo aggiornamento: 14/11/2024 15:40:32
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la risposta israeliana che ne è seguita hanno generato una forte mobilitazione filopalestinese da parte di numerose personalità e istituzioni islamiche, capace di trascendere i confini tra islamisti e anti-islamisti e tra sunniti e sciiti. Non è tuttavia mancata qualche voce fuori dal coro. Una di queste è quella di Salman al-Dayia, già preside della Facoltà di Sharī‘a dell’Università islamica di Gaza e rispettata autorità religiosa della Striscia. Il 6 novembre scorso lo studioso ha emesso una fatwa, intitolata “Politici, mettete fine a questa marea montante”, che condanna le azioni di Hamas e invita i leader palestinesi a porre un termine alla sofferenza del loro popolo.
Il documento è diviso in sei parti, ognuna delle quali confuta una specifica dichiarazione di alcuni leader del movimento islamista, benché questi non vengano mai citati esplicitamente: dall’idea che il “Diluvio di al-Aqsa” sia stata un’operazione necessaria per rispondere al vicolo cieco in cui si trovavano i palestinesi, alle parole del dirigente di Hamas Ghazi Hamad, il quale aveva definito il popolo palestinese «il nostro capitale principale» e «strumento di pressione», secondo una retorica non infrequente dopo il 7 ottobre 2023.
Lungo tutta la sua argomentazione, al-Dayia accusa i «politici» palestinesi di aver provocato il nemico, ma di non essere poi stati in grado di difendere la popolazione della Striscia dalla sua ritorsione, innescando al contrario una catastrofe umanitaria. Con abbondanti citazioni tratte dal Corano, dalla Sunna e dalla giurisprudenza islamica, lo studioso punta a dimostrare che il jihad non può mai essere fine a sé stesso, ma è stato prescritto per preservare l’integrità della vita umana e della religione ed è perciò illegale se viene intrapreso a prescindere dalla possibilità di conseguire questi obiettivi. Così, scrive al-Dayia, ‘Umar Ibn al-Khattāb [il secondo califfo dell’Islam] impedì che «al-Barā’ Ibn Mālik fosse nominato a capo dell’esercito a causa del suo coraggio eccessivo, in modo che questi non si avventurasse con le truppe in situazioni pericolose». Lo zelo del califfo, inoltre, «andava al di là dell’integrità degli interessi umani per includere quelli degli animali. Gli toglieva il sonno il pensiero che Dio potesse chiedergli conto di una pecora inciampata in Iraq. Per questo disse: “Se una pecora morisse smarrita sulla riva dell’Eufrate, credo che Dio me ne chiederebbe conto il Giorno del Giudizio”».
La sua raccomandazione è che i politici dimostrino «un po’ di umiltà», e diano la priorità «all’interesse della gente, che è ormai agonizzante e ovunque minacciata, dal cielo, dalla terra e dal mare», non solo per le azioni del nemico, ma anche per l’operato, all’interno della Striscia, di «bottegai tirannici, cambiavalute, predoni di convogli umanitari, trafficanti di droga, facinorosi armati, saccheggiatori di case e istituzioni, ladri di alcune associazioni di soccorso e aiuto». Lo studioso invita inoltre a costituire «un governo composto da persone umane, distinte, virtuose, paterne, dotate di una visione complessiva delle cose e accettate internazionalmente, dietro al quale vi siano tutti i palestinesi», in modo da poter «accelerare il soccorso alla nostra gente […] prima dell’arrivo dell’inverno, che rappresenta un orrore pari alla guerra per la sua capacità di portare morte e malattie».
Al-Dayia è un rappresentante del salafismo, la corrente dell’Islam sunnita incentrata sull’imitazione il più fedele possibile delle prime tre generazioni di musulmani (in arabo al-salaf al-sālih, “i pii antenati”), e la sua relazione con Hamas era ambivalente anche prima del 7 ottobre. L’autore della fatwa è figura di spicco dell’Università islamica di Gaza, un’istituzione strettamente legata al movimento islamista, e aveva da anni un certo seguito tra i giovani del gruppo. Tra l’altro, a differenza delle organizzazioni del salafismo jihadista come ISIS e al-Qaida, aveva sempre difeso l’identità islamica di Hamas. Ciò però non gli aveva impedito di discostarsi dalle idee e dalle azioni del movimento islamista. Nel 2014, ad esempio, aveva denunciato l’influenza sciita nella Striscia di Gaza, mentre durante una predica aveva ammonito che «il Profeta Muhammad ha fondato una comunità e non dei partiti politici».
La presa di posizione di al-Dayia è stata comprensibilmente ignorata dai media filo-Hamas, mentre è stata ripresa da quelli dell’orbita saudita ed emiratina. A prescindere dal suo impatto, che al momento sembra limitato, essa è significativa proprio perché proviene dalla Striscia di Gaza, e quindi interpreta probabilmente un sentimento diffuso tra la popolazione. Molti osservatori si dicono giustamente preoccupati dalla radicalizzazione che la brutalità della ritorsione israeliana potrebbe generare tra i palestinesi. Ma la fatwa mette anche a nudo il fallimento di Hamas e del suo modo di interpretare la lotta di liberazione.
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