Recentemente scomparso, lo shaykh yemenita è stato una figura di spicco dell’attivismo islamista transnazionale e un pioniere della dottrina dell’inimitabilità scientifica del Corano. Gli omaggi resigli da alcune associazioni islamiche europee suscitano qualche interrogativo sui loro orientamenti
Ultimo aggiornamento: 06/05/2024 14:57:31
Il 22 aprile scorso è morto a Istanbul lo shaykh yemenita ‘Abd al-Majid al-Zindani. A differenza di altre figure, come Yusuf al-Qaradawi, che hanno raggiunto una certa notorietà anche al di fuori del mondo musulmano, Zindani era poco noto in Occidente. Era però una personalità di spicco dell’attivismo islamico transnazionale, e in particolare degli ambienti riconducibili alla galassia dei Fratelli musulmani. Lo testimoniano i suoi funerali, svoltisi alla presenza, tra gli altri, del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e dei leader di Hamas Ismail Haniyeh e Khaled Meshal, e i tributi resigli da organizzazioni come l’Unione mondiale degli Ulema di Doha, il Consiglio Europeo della Fatwa e della Ricerca e il Consiglio Europeo degli Imam, a cui si sono uniti alcune associazioni e alcuni centri islamici italiani.
La fama di Zindani era legata principalmente ai suoi lavori sull’inimitabilità scientifica del Corano, una dottrina secondo la quale il Libro sacro dell’Islam sarebbe miracolosamente perfetto non soltanto dal punto di vista linguistico e stilistico, ma anche per aver anticipato alcune scoperte della scienza moderna. Il suo Ta’sīl al-i‘jāz al‘ilmī fī al-Qur’ān wa al-Sunna (“La fondazione dell’inimitabilità scientifica nel Corano e nella Sunna”) è un’opera di riferimento in una materia peraltro controversa: il risultato di questo tipo di esegesi è infatti un’esaltazione del Corano o piuttosto una sua sottomissione alla scienza sperimentale, per definizione sempre falsificabile?
Ma la rilevanza dello shaykh yemenita va al di là di quest’ambito. Oltre a essere stato un protagonista della storia politica del suo Paese, Zindani si colloca infatti alla confluenza di tre importanti correnti dell’islamismo: i Fratelli musulmani, il salafismo e il jihadismo.
Nato nel 1942 a Ibb, nell’allora Regno Mutawakkilita dello Yemen, Zindani si trasferì in Egitto per compiere studi di Farmacia, ma li abbandonò per passare all’Università di al-Azhar e dedicarsi alle Scienze islamiche. Successivamente avrebbe conseguito anche un dottorato all’Università islamica di Omdurman, in Sudan. In Egitto incontrò il pensiero dei Fratelli musulmani e, tornato nel suo Paese all’indomani della rivoluzione che nel 1962 aveva deposto l’imamato zaydita, contribuì allo sviluppo di una branca locale della Fratellanza e creò una serie di istituti che avevano lo scopo di contrastare la diffusione delle idee laiciste e marxiste. Alla fine degli anni ’70, la rivalità con altri leader del movimento lo spinse a trasferirsi in Arabia Saudita, dove entrò in contatto coi circoli salafiti locali e partecipò alla fondazione della Commissione Internazionale per l’Inimitabilità Scientifica del Corano e della Sunna, istituzione di cui fu primo segretario generale dal 1985 al 2002.
Negli anni ’80 divenne uno degli ideologi di punta del jihad afghano e incoraggiò migliaia di suoi discepoli a partecipare alla lotta anti-sovietica nel Paese centroasiatico. Insediatosi nella città pakistana di Peshawar, centro nevralgico del reclutamento e dell’addestramento dei combattenti arabi, formò un sodalizio con Osama Bin Laden, futuro leader di al-Qaida. Rientrato in patria nel 1990, al momento della riunificazione tra lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud, contribuì alla nascita del partito Islah, una piattaforma che riuniva la branca locale dei Fratelli musulmani, leader tribali e militanti salafiti. Nel 1993 Zindani fondò a San‘a l’Università al-Iman (in arabo “la Fede”), influente centro d’insegnamento islamico che tra i propri docenti ha annoverato importanti rappresentanti dell’universo islamista, come i predicatori egiziani Yusuf al-Qaradawi e Mohammed al-Ghazali, il predicatore indiano Abul Hasan Ali Nadwi e finanche Anwar al-Awlaki, ideologo di al-Qaida nella penisola arabica.
In questi anni, lo shaykh continuò a rappresentare l’ala più radicale del partito e, diversamente da altri elementi della stessa Fratellanza musulmana, a rifiutare qualsiasi compromesso con le forze di sinistra e il principio stesso del pluralismo democratico. Quando nel 1994 scoppiò in Yemen la guerra civile tra nordisti e sudisti, Zindani la dipinse come un jihad che i musulmani erano chiamati a combattere contro i miscredenti comunisti del Sud.
Nel 2011, lo shaykh appoggiò la rivoluzione che avrebbe rovesciato il presidente ‘Ali ‘Abdallah Saleh, per molto tempo sostenuto dal partito Islah. Risale a questa fase un comizio in cui Zindani, citando previsioni formulate da uomini politici americani e russi, galvanizzò la folla evocando la restaurazione del Califfato.
Nel 2004, intanto, gli Stati Uniti, e poi le Nazioni Unite, l’avevano inserito nella lista delle persone colpevoli di perpetrare, sostenere, facilitare o finanziare atti di terrorismo. Zindani ha sempre respinto l’accusa come infondata e anche il governo yemenita si è rifiutato di recepirla prendendo provvedimenti contro di lui. In effetti è difficile dimostrare l’appartenenza dello shaykh a qualche rete terrorista, ma ciò non toglie che tra le organizzazioni che l’hanno omaggiato all’indomani della sua morte figuri anche al-Qaida nella Penisola Araba.
La sua opera peraltro non è controversa soltanto dal punto di vista politico. Anche le sue idee sullo statuto della donna hanno fatto discutere. In un libro del 2000, Zindani affermava per esempio che, a causa delle loro caratteristiche psicologiche e della conformazione stessa del loro cervello, le donne fossero inadatte a svolgere determinati ruoli, tra cui quelli di responsabilità politica, ma dovessero limitarsi alla cura della famiglia. Sulla base di queste convinzioni, alcuni anni dopo emise una fatwa che proibiva candidature femminili alle elezioni locali. A contestare la sua presa di posizione fu, tra le altre, l’attivista per i diritti delle donne e futuro premio Nobel per la Pace Tawakkol Karman, anche lei membro dell’Islah, la quale riteneva invece che la partecipazione politica femminile fosse un diritto costituzionale, e in quanto tale non potesse essere negato da alcuna fatwa.
Dopo un viaggio in Europa e l’incontro con alcuni genitori musulmani preoccupati per lo stile di vita dei propri figli, lo shaykh si è occupato anche di un aspetto piuttosto singolare della vita dei musulmani che vivono nel Vecchio Continente. Per risolvere il problema dei rapporti sessuali prematrimoniali, Zindani ha infatti suggerito il ricorso al matrimonio “semplificato” (zawāj muyassar), che non prevede la convivenza tra i coniugi, né il dovere del mantenimento della moglie da parte del marito, e sarebbe perciò adatto alle giovani coppie. Anche in questo caso il pronunciamento fece scalpore, incontrando l’opposizione di diverse autorità religiose, tra cui la moschea-università di al-Azhar.
La vicenda di Zindani mostra quanto possano essere porosi i confini tra diverse correnti islamiste. Allo stesso tempo, essa suscita qualche interrogativo sulle realtà dell’Islam europeo che l’hanno commemorato come un maestro. Lo shaykh è stato un detrattore della democrazia e dello Stato laico e un fautore della disparità di diritti tra uomo e donna. Davvero il suo insegnamento ha qualcosa da dire ai musulmani europei?
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