La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:54
Con prodigiosa abilità da grande erudito moderno, che sa attraversare molti confini e padroneggiare molte discipline, il filosofo Roger Scruton compone un notevole racconto sull’utilità della cultura. Utilità in senso lato e in senso alto: come accade quando domandandoci “a cosa serve?” quel tale oggetto o quel tale bene, vogliamo in realtà una risposta sul suo significato radicale. «Una cultura – scrive Scruton – consiste di tutte le attività e realtà artificiali che sono organizzate dal “comune perseguimento del giudizio vero” come una volta affermò T.S. Eliot. E il giudizio vero comporta la ricerca del significato attraverso l’incontro e la riflessione con le cose create, composte e scritte avendo presente tale obbiettivo». È molto interessante e per nulla scontato l’inserimento del concetto di giudizio. Non si dà cultura, afferma in diversi passaggi l’autore, se non attraverso un giudizio che solo il nostro postmoderno e sfrenato soggettivismo ha espulso dall’ordine della ragione per chiuderlo nella sfera dei sentimenti individuali riducendolo a mero “mi piace-non mi piace”. Il giudizio è categoria essenziale e necessaria allo sviluppo del libro e alle stesse tesi di Scruton, anche se a dir la verità l’autore non ne fornisce una chiara definizione. Al centro della preoccupazione di Scruton è la cultura occidentale. Attaccata dall’islamismo radicale, indebolita dal multiculturalismo, sfibrata dal relativismo che essa stessa ha partorito, è in grado di reagire? E come? E perché? Ancora nel XIX secolo la risposta sarebbe stata «inquadrata in termini cristiani». Ma oggi il Cristianesimo «più che essere un annuncio vincente ha assunto il carattere di memoria personale». Dunque occorre lavorare sulla cultura che ha assunto una nuova importanza «in quanto deposito di sapere morale». Anzi, lo stesso annuncio cristiano potrà prendere nuova forza dai «significati condivisi che ci sono trasmessi dalla nostra cultura». In questo Scruton riecheggia tesi già ampiamente note e discusse sia in Europa sia negli Stati Uniti, anche se sembra originalmente delineare per la “cultura occidentale” un orizzonte più vasto di quello assegnato allo stesso Cristianesimo. Dei capitoli dedicati alla trasmissione della cultura, e cioè all’educazione, vero buco nero della nostra epoca, si trattiene soprattutto il grande amore per le lettere, l’arte visiva, la musica. Per tutto ciò che nei secoli ha modellato il “gusto” occidentale, e molto di più, la stessa anima dell’uomo europeo. Nelle nostre scuole occorrerebbe trovare il modo di tornare a far amare il canone, i classici perché attraverso di loro non solo conosciamo meglio noi stessi, ma edifichiamo meglio noi stessi. E qui Scruton propone anche delle indicazioni “operative” sui modi di “istruire” l’occhio e l’orecchio (farà piacere all’autore sapere che lo stesso don Giussani, da lui citato nella parte finale del libro come un “raggio di speranza”, faceva ascoltare Mozart e Beethoven ai suoi alunni del liceo per accostarli alla Bellezza) che potranno risultare utili all’insegnante volenteroso. Ma resta palpitante il senso dello smarrimento: «Davvero può ancora esserci arte in un’epoca in cui le tradizioni del gusto sono svanite, gli occhi e gli orecchi sono saturi di stimoli e l’esistenza corre così veloce che le pause contemplative sono state semplicemente cancellate?» Naturalmente “arte” va intesa nel senso complessivo proposto dal libro: segno espressivo della cultura alta. La domanda è convincente e talmente onesta che solo i fautori di quella che Scruton chiama e denuncia come «cultura del ripudio» (da Edward Said a Theodore Adorno a Michel Foucault e in generale il “relativismo”) potrebbero evitarla. La risposta emotiva, istintiva, affettiva di chi «ama la cultura» è sì. Ma più difficile è definire le condizioni in base alle quali l’arte, questo genere di arte, deve ancora e sempre essere. In sostanza: in questo tempo di crisi e di abbandono chi e come sarà in grado di creare «la cultura che conta»? Ma questo è un tema che Scruton non affronta.