Intervista a Mons. Pero Sudar, Vescovo Ausiliare di Sarajevo, a cura di Maria Laura Conte
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:46
Come legge la situazione attuale della Bosnia Erzegovina dopo le elezioni? Come ne è uscito il suo Paese?
I risultati delle elezioni dell’ottobre scorso hanno messo, a mio parere, in evidenza due realtà di fondo. La prima è che gli elettori non sono soddisfatti del lavoro di coloro ai quali hanno dato fiducia quattro anni fa. Per questo motivo stavolta hanno optato maggiormente per il partito socialista. Pur avendo dato la fiducia ai partiti socialisti a livello statale e anche a quello delle due entità, gli elettori hanno reso difficile, per non dire impossibile, la formazione di un governo efficace. Questo a causa della struttura politica del nostro Paese che è lacerato da due tendenze contrapposte, vale a dire da quella che vorrebbe la Bosnia ed Erzegovina (BeE) come uno Stato centralizzato e quella che tende all’autonomia assoluta della Repubblica serba. Infatti, il partito socialista della Federazione, composto maggiormente dai bosgnacchi-musulmani, ha come priorità politica assoluta quella dello Stato centralista. Il partito socialista della Repubblica serba tende invece all’autonomia assoluta di quella parte del Paese.
La seconda è che il nostro Paese è in ostaggio degli Accordi di Dayton. A causa di una soluzione politica amorale e profondamente ingiusta la BeE sprofonda sempre di più. Ciò nonostante, le forze politiche che hanno imposto questa situazione, con gli USA a capo, non permettono neppure discussioni serie sull’eventuale revisione degli Accordi da loro imposti. Ovviamente vi sono di mezzo interessi che rendono il nostro Pese vittima di tale situazione.
Per alcuni analisti il risultato elettorale ha posto in evidenza la divisione etnica ancora molto presente nel vostro Paese. Come interpreta lei questa divisione?
Certo Dayton non è colpevole di tutti i nostri guai, tuttavia questi accordi hanno fornito la cornice politico-democratica ai crimini di guerra e alle lotte dei nostri politici nel periodo del dopoguerra.
Queste elezioni sono la prova che gli elettori, anche volendo, non possiedono il meccanismo che permette di uscire dalle divisioni etniche tracciate prima con la violenza della guerra e poi sanzionate politicamente dagli Accordi di Dayton e radicalizzate nel periodo del dopoguerra. La divisione territoriale del Paese secondo il principio etnico non ha favorito, ma anzi ha impedito, la ripresa economica e con essa anche la riconciliazione tra i suoi abitanti. La popolazione serba è conventia che il suo interesse fondamentale sia la conservazione e l’autonomia della Repubblica serba, che ingiustamente costituisce il 49% del territorio della BeE, quella bosgnacco-musulmana punta alla soppressione delle due entità e alla centralizzazione del Paese, mentre il popolo croato si trova in mezzo, cacciato dal territorio che con gli Accordi di Dayton è stato dato ai Serbi e politicamente assorbito e neutralizzato dalla politica bosgnacco-musulmana nella Federazione. In queste condizioni di divisione etnica, ciascuno si vede costretto a votare “i suoi” rappresentanti, anche quando non è per niente soddisfatto del loro impegno.
In questa situazione come sta la minoranza cattolica?
I cattolici soffrono con gli altri cittadini per l’esasperata situazione economica e sociale del Paese, soprattutto per la mancanza di lavoro, che oltre a rendere la vita difficile, uccide le speranze in un futuro migliore.
Inoltre i cattolici si sentono ignorati come minoranza dalle soluzioni politiche intraprese, cominciando da Dayton, e per questo spinti a lasciare il loro Paese. Nel giro di pochi anni, se continua questa tedemza, non ci saranno più cattolici in Bosnia Erzegovina, , ma questo sembra non preoccupare, anzi, i centri di potere che decidono del nostro destino.
Avverte delle discriminazioni nei confronti dei cattolici a Sarajevo e in generale nel suo Paese?
Quando uno stato o una forza politica non vuole tollerare una parte dei suoi cittadini, trova mille modi per farlo sentire, anche in Paesi molto più democratici del nostro. Qui in Bosnia Erzegovina la guerra delle armi si è trasformata in quella delle politiche, ma l’obiettivo è rimasto il medesimo: il controllo totale del territorio, cacciando “gli altri”. Questa tendenza è molto sottile, ma si sente in tutte le sfere della vita: nei posti di lavoro, nell’atmosfera nelle scuole, negli stadi dello sport, sulle strade. Durante la guerra i serbi hanno cacciato via quasi tutti i non serbi. In questi ultimi quindici anni che definisco di “guerra delle politiche” i dirigenti serbi hanno fatto di tutto per impedire il ritorno dei profughi non serbi. In Federazione, dove durante la guerra si sono scontrati bosgnacchi-musulmani e croati, l’ttuale assoluta maggioranza musulmana in diversi modi fa capire ai cattolici che non sono accettati e considerati al pari degli altri cittadini.
Può tratteggiare qualche esempio di discriminazione?
La discriminazione è, prima di tutto, politicamente motivata. Sono sicuro che la maggioranza dei musulmani nel nostro Paese non ha niente contro i cattolici in quanto cattolici. Però è vero che anche questa regione viene influenzata e intimidita dal cosiddetto nuovo islam intollerante. I gruppi radicali ci sono, ma non sono ancora così forti da creare le condizioni per un’aperta opposizione alle altre religioni. La discriminazione verso i cattolici è di altra natura, è sottile. Nel nostro Paese l’identità nazionale coincide quasi al cento per cento con l’appartenenza religiosa. Perciò l’intolleranza verso i croati coinvolge nei fatti i cattolici, perché i croati – se credenti - sono cattolici. In tal senso suonava assurda e cinica l’affermazione dei bosgnacchi-musulmani della Bosnia centrale durante la guerra di non aver niente contro i cattolici, ma contro i croati, invitati ad andarsene. La discriminazione più difficile da affrontare per i croati cattolici consiste nella mentalità corrente, confermata dagli Accordi di Dayton, per la quale in Bosnia Erzegovina politicamente contano solo i serbi e i bosgnacchi-musulmani perché, come già menzionato, i serbi hanno la loro Repubblica Serba e i bosgnacchi-musulmani la Federazione. Questa, però, non è una discriminazione puramente teorica ma una prassi molto concreta. I croati per anni hanno tentato di avere un canale della televisione pubblica in lingua croata. I politici bosgnacco-musulmani si sono sempre opposti sostenendo che questo urterebbe contro i loro interessi vitali! Nella prassi degli uffici dell’amministrazione locale i cattolici si sentono trattati come cittadini di seconda classe.
Recentemente una signora cattolica impiegata in una banca di proprietà italiana a Sarajevo mi ha confessato di non farcela più a sopportare l’intolleranza dei suoi colleghi di lavoro. Due giorni fa un attore stimato che sin dall’infanzia vive a Sarajevo ha dichiarato pubblicamente di sentirsi ogni giorno peggio a Sarajevo. Esempi del genere ce ne sono davvero tanti! Non mi stanco di ripetere che la soluzione politica ingiusta che ci è stata imposta dalla comunità internazionale favorisce le ingiustizie e le discriminazioni di ogni genere, e nei confronti di tutti i cittadini del nostro Paese. I croati cattolici, essendo i più piccoli di numero e più deboli, lo avvertono di più e sono costretti a lasciare la loro Patria.
La Croazia e la Serbia aspirano ad entrare nell’Unione europea. Cosa pensa lei di questo passo nel caso della Bosnia Erzegovina?
L’Unione europea potrebbe aiutarci a sopportare meglio le nostre difficoltà, a superare la paura di nuovi scontri etnici e di una violenta spartizione del Paese. Ma bisogna essere consapevoli del fatto che essere membri dell’Unione europea non risolverebbe i problemi di fondo. Anzi, il nostro Paese, così come è organizzato adesso, difficilmente potrà adempiere alle minime condizioni che si richiedono per diventare membri dell’Unione europea. Basti pensare che non abbiamo ancora la Costituzione. Lo Stato funziona secondo gli Accordi di Dayton che non sono ancora neppure ufficialmente tradotti nelle lingue dei popoli che vivono in Bosnia ed Erzegovina. La versione ufficiale è in inglese!
L’ingresso in UE cosa potrebbe comportare per i cattolici?
L’ingresso in Europa aiuterebbe allo stesso modo i cattolici e tutti i cittadini del Paese. Noi non aspettiamo altro che diventare davanti alla legge uguali agli altri cittadini. La Chiesa cattolica è favorevole all’ingresso della Bosnia ed Erzegovina nell’Ue. Siamo convinti che lo stato laico sia in grado di garantire la giusta libertà religiosa anche in paesi in cui convivono diverse Chiese e comunità religiose. Certo, non ignoriamo che il laicismo e il liberalismo ostili hanno di mira in particolare la Chiesa cattolica. Lo abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle. Però, i valori e le virtù umani che sono anche cristiani non possono e non devono essere imposti, ma proposti.
In questo periodo giungono notizie di grandi e violente persecuzioni che colpiscono le minoranze cattoliche nel mondo (Iraq, Pakistan, India, ….). Come sono percepite queste persecuzioni da parte vostra?
Siamo addolorati e nutriamo sentimenti di profonda solidarietà umana e cristiana nei confronti di chi è perseguitato. L’intolleranza e la violenza più assurde sono quelle di matrice religiosa, perché non solo colpiscono la dignità umana, ma anche negano Dio stesso. E’ veramente tragico che una religione, in questi casi quella islamica, venga presa come pretesto per la persecuzione di gente innocente e indifesa. Sarebbe civilmente e moralmente doveroso che le politiche dei governi occidentali si interessassero e impegnassero di più per difendere chi vive in estremo pericolo. Anche per il fatto che gli estremisti e i loro atti terroristici si giustificano con ciò che quelle stesse politiche hanno intrapreso negli ultimi tempi in quelle zone.
C’è un prezzo secondo lei che le minoranze etnico-religiose comunque devono pagare anche all’interno di un Paese democratico?
In un Paese veramente democratico le minoranze non dovrebbero pagare nessun prezzo. Anzi, dovrebbero poter usufruire della cosiddetta discriminazione positiva. Purtroppo, i paesi democratici sono troppo pochi o deboli perché ci sia la forza di invertire la tendenza che propone il dominio sugli altri come ideale da raggiungere. Ci vuole una nuova logica, cioè quella evangelica.
Tutti i cittadini della BeE hanno bisogno di uno Stato che sia in grado di garantire loro i diritti umani, l’identità nazionale e l’uguale libertà religiosa. I cattolici non chiedono e non possono chiedere niente di più e, ovviamente, non sono disposti ad accettare niente di meno. Per poter essere in grado di garantire queste condizioni ed aspirare realmente a diventare Paese membro dell’UE la BeE ha bisogno di essere riorganizzata in modo da correggere le ingiustizie strutturali. Purtroppo i nostri politici non sono disposti e capaci di fare questo passo importante da soli. Ci sarebbe bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Questo, del resto, dovrebbe essere il suo obbligo morale, in quanto artefice di una soluzione che si è verificata inadeguata a garantire la pace e il processo democratico.
Dovete ancora fare i conti con le ferite del periodo comunista e dell’ultima guerra o ormai si sono cicatrizzate?
Un caso di cronaca recente è particolarmente emblematico. Il regime comunista, subito dopo la Seconda guerra mondiale, ha nazionalizzato quasi tutta la proprietà della Chiesa, tranne le chiese, alcune sedi parrocchiali e le sedi dei vescovi. Nella gran parte della sede vescovile a Sarajevo hanno fatto entrare e abitare per anni alcune famiglie. Con il tempo queste famiglie hanno trovato sistemazioni migliori e se ne sono andate. Una, però, è rimasta fino agli anni novanta, nonostante l’Arcidiocesi le avesse offerto un appartamento di uguale valore. Prima dell’ultima guerra, ance questa come molte altre famiglie fuggì da Sarajevo abbandonando l’appartamento che fu quindi restituito all’Arcidiocesi. Durante i lavori di ricostruzione dell’edificio devastato in guerra abbiamo trovato nel pavimento dell’appartamento l’apparecchiatura necessaria per lo spionaggio. Finita la guerra quella famiglia ha preteso di ritornare ad abitare nella nostra casa e ha portato il caso in tribunale, che dopo un lungo processo, le ha dato ragione, con una sentenza che non ha considerato né l’azione criminale di spionaggio svolta, né le leggi in vigore a favore dell’Arcidiocesi. Quando il caso è diventato anche politico, le autorità della città di Sarajevo hanno chiesto al tribunale di rinviare l’esecuzione del decreto. Così ora qualcuno va dicendo che la Chiesa non rispetta la legge o che i cattolici sono privilegiati!
Cosa insegna la vostra esperienza di cattolici di Bosnia al resto dei cattolici nel mondo? Quale la vostra testimonianza principale?
Non so se la nostra esperienza possa insegnare qualcosa. Forse l’obbligo di coloro che credono in Dio a non arrendersi davanti alle difficoltà e a promuovere certi valori anche quando costano caro prezzo. La testimonianza della Chiesa cattolica in BeE consiste nell’apertura all’ecumenismo e al dialogo interreligioso non soltanto a parole, ma con i fatti. Non ignorando i pericoli, la Chiesa cattolica ha difeso e continua a difendere il concetto di pacifica convivenza tra diversi popoli e la collaborazione tra le Chiese e le comunità religiose in BeE. Siamo convinti che questa sia una delle cause umane più urgenti, ma anche opera gradita a Dio. Riteniamo che questa sia la nostra vocazione specifica. Siamo grati a tutti coloro i quali ci hanno incoraggiato ed aiutato a metterla in pratica.