Un Cristianesimo antichissimo e glorioso, un popolo che molti dominatori hanno cercato di cambiare, la speranza di riunificare una terra da trent’anni spezzata in due, il ruolo insostituibile di ponte verso il Medio Oriente
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:15
Non erano passati quindici anni dalla morte di Gesù quando Paolo (in quel momento ancora Saulo) e Barnaba approdarono a Pafos, sulle coste di Cipro, in quella che era la capitale di una provincia dell’Impero romano. Secondo la tradizione era l’anno ‘46. Gli Atti attestano che proprio sull’isola Paolo decise di assumere questo nome, ma è Barnaba ad essere considerato il fondatore della cristianità cipriota, durante un secondo e più lungo viaggio missionario compiuto insieme all’Evangelista Marco.
Così comincia la storia di una Chiesa tra le più antiche, ancor oggi ben consapevole dei suoi onori e della sua responsabilità. Vescovi ciprioti partecipano al Concilio di Nicea e la comunità diviene autocefala nel 431. Il periodo bizantino viene interrotto dai francesi nel 1191: domineranno per quasi tre secoli, e cederanno il posto ai veneziani che dopo meno di cento anni soccomberanno ai turchi. Il tempo degli ottomani si chiude nel 1878 lasciando in eredità all’isola una cristianità solidamente guidata dall’Arcivescovo, che proprio durante il periodo turco assume il titolo di “etnarca”, e ciò aumenta enormemente il peso del suo ruolo, rivestendolo anche di un carattere politico, di autorità unica del popolo cristiano di fronte ai governanti ottomani.
Caso unico nella tradizione ortodossa, all’elezione dell’Arcivescovo di Cipro partecipa anche il popolo dei fedeli. Chrysostomos II è stato scelto nel novembre 2006 in seguito ad una procedura in tre fasi: prima, l’elezione di 1.400 rappresentanti popolari, tra i quali sono stati individuati cento delegati che assieme a 34 esponenti del clero hanno infine eletto il nuovo Arcivescovo, nato proprio nei pressi di Pafos e successivamente metropolita della stessa città nella quale era iniziata l’avventura del Cristianesimo dell’isola.
Vostra Beatitudine, vorrei chiederle innanzitutto una descrizione della realtà odierna della Chiesa di Cipro.
Il nostro è un popolo molto fedele e rispettoso. Vive la Chiesa come una madre, la ama e in essa trova ascolto e rifugio. Siamo in una piccola terra, dove i Vescovi e i preti sono molto vicini alla gente, ne conoscono i bisogni. Il nostro è un aiuto insieme spirituale e materiale e questo carattere particolare della nostra identità spiega l’attaccamento del popolo alla Chiesa. Certo, tutto ciò è diverso da quello che accade nel resto d’Europa.
E non teme l’influsso culturale che arriva da un’Europa segnata dall’agnosticismo?
Questo accadrà forse tra cento anni. Oggi non riscontro segni di sfiducia o di abbandono. Non solo matrimoni e battesimi, ma la vita quotidiana è strettamente legata alla Chiesa. Se guardo alla mia giornata, due terzi sono dedicati a ricevere fedeli. La mia porta è sempre aperta e lo stesso posso dire per i miei confratelli. Non ci sono pause nell’intensità e nelle continuità di rapporto con i fedeli. Chiedono consiglio, chiedono orientamento, chiedo¬no aiuto. E del resto la Chiesa ottiene ascolto anche dalle autorità, può intercedere, può “intromettersi” per cercare soluzioni. Non vedo lo spazio dove possano attecchire influenze esterne.
Come vede il futuro di questa sua Chiesa?
Lavoriamo moltissimo perché sia sempre unita e vicina al popolo. Per questo abbiamo praticamente raddoppiato il numero dei Vescovi. Ho chiesto loro la più grande disponibilità, la più grande apertura. Nessun Vescovo deve stare chiuso nel suo ufficio, ma uscire, vivere nei luoghi dove la gente vive, essendo sempre pronto a parlare, ad ascoltare, ad affrontare i temi della vita di tutti i giorni così come le questioni dello spirito, la cultura e la morale. Il futuro nasce così, è lo sviluppo del nostro impegno presente.
La vostra è una storia antichissima e gloriosa: da poco tempo, con l’ingresso di Cipro nell’Unione Europea, questa grande tradizione vive a contatto diretto con un mondo “nuovo”, in un certo senso siete un po’ meno isola…
In primo luogo voglio dire qualcosa non rispetto a ciò che possiamo ricevere ma a ciò che possiamo dare, che non è certo tecnologia o materie prime. Abbiamo da offrire il nostro modo di vivere. Questo rispetto verso la Chiesa, la nostra ortodossia, questo modo di vivere la tradizione, i principi cristiani. Questo “modo” che siamo noi, lo vogliamo esportare anche in Europa, sarà la nostra partecipazione in Europa.
Cipro si trova in una situazione geografica molto particolare, molto vicino alla Turchia, molto vicino al Medio Oriente, però con una storia culturale legata all’Europa. Come vede questa posizione della geografia, ma soprattutto della storia di quest’isola?
La nostra storia mostra che questo popolo è stato per molti secoli sotto dominatori stranieri; molti hanno cercato di sottometterlo, di cambiarne l’anima. Chi ha protetto questa gente è la Chiesa. Ci siamo fatti scudo del popolo, difendendo la sua fede e la sua cultura, la sua “grecità”. I preti hanno lottato contro l’analfabetismo, hanno insegnato la lingua e i testi, hanno mantenuto salde le radici cristiane e greche. Così siamo rimasti fedeli a noi stessi. Immagini, tutti questi dominatori, dai latini fino ai turchi, che hanno provato a sottometterci… Noi esistiamo da duemila anni e da duemila anni siamo stati con il popolo e non smetteremo mai di farlo.
E oggi guardate di più all’Europa o al Medio Oriente? La vostra tradizione così peculiare vi fa sentire “diversi”, con un nuovo rischio di solitudine?
Non ci sentiamo affatto isolati, abbiamo buonissimi rapporti con i tutti paesi del Medio Oriente: Libano, Siria, Israele, Giordania, Egitto… La nostra è una tradizione di apertura e anche come Chiesa manteniamo eccellenti relazioni con i responsabili religiosi di questi Paesi. La mia convinzione è che quando Cipro è entrata nell’Unione Europea, l’Europa è arrivata nel Medio Oriente. Adesso è l’Europa tutta, tramite noi, a trovarsi accanto a questi Paesi. Qui c’è anche il nostro ruolo, il nostro compito particolare.
Mi colpisce l’affermazione circa l’Europa “arrivata sin qui”. È un modo sorprendente e interessante con cui guardare a Bruxelles, Parigi, Roma…
Non mi pare che l’Europa abbia capito la nostra funzione, il valore della nostra presenza in questo mondo. Ma è un problema nostro, non siamo ancora stati capaci di spiegarlo e farlo vedere. Anche per questo abbiamo aperto un ufficio a Bruxelles, per intensificare i contatti con la Commissione e l’Europarlamento. Occorre far capire la nostra “missione”, utile a tutta l’Europa, per aprire una nuova pagina.
Come vede la situazione delle minoranze cristiane nei Paesi a maggioranza musulmana?
È una situazione tragica. Come europei dobbiamo attivarci, cercare in ogni modo di trovare i modi di fare pressione sui governi e sui capi religiosi di questi Paesi per fermare le azioni a danno dei cristiani. Dobbiamo chiedere loro che rispettino i cristiani come noi rispettiamo i musulmani. È uno dei temi delle visite che ho già compiuto in Siria e in Egitto e che continuerò a compiere in tutta la regione.
Sul tema del rapporto con l’Islam c’è molta discussione all’interno del mondo cristiano circa la reale possibilità di un’intesa…
Le difficoltà ci sono e ci saranno, ma non dobbiamo avere paura. Il dialogo porterà amore, porterà rispetto. L’inimicizia non porta ad alcuna soluzione e anzi uno degli scopi del dialogo è emarginare gli estremisti. Segni incoraggianti ci sono, anche perché in molte società cristiani e musulmani vivono insieme pacificamente. Al Cairo molti musulmani frequentano l’antico monastero di San Giorgio, portando offerte e pregando il santo; e lo stesso accade qui a Cipro. Pensiamo poi al Libano, alla Siria, alla Giordania: c’è libertà e nessu¬no la sta mettendo in discussione. Sono esempi per dire che è normale vivere insieme, è normale condividere e aiutarsi, conoscersi e rispettarsi. È il contrario che è anormale. È vero che in altri Paesi ci sono gravi difficoltà, ma penso che anche in Arabia Saudita le cose possano cambiare. Al convegno di Napoli promosso dalla comunità di Sant’Egidio, nell’autunno scorso, anche i rappresentanti di questi Paesi hanno espresso la stessa aspirazione di conoscenza e rispetto, ultimamente di una convivenza basata sull’amore. Occorre partire da qui. Ci vorrà tempo e pazienza, l’importante è che la partenza sia chiara e sincera.
Ho visitato la parte settentrionale di Cipro, la zona occupata. Guardando le chiese diroccate e i cimiteri devastati, addentrandomi in questa terra cristianamente “desolata”, ho avuto la sensazione tristissima di un futuro che potrebbe essere quello di tutti, Cipro nord come una premonizione: così sarà il mondo senza Cristianesimo, dove la storia cristiana sarà ridotta ad un cumulo di rovine…
Prima che la nostra storia venisse spezzata dall’invasione del 1974 cristiani e musulmani vivevano in armonia: uno andava alla festa dell’altro, quando c’era il Ramadan andavano i cristiani, quando c’era la Pasqua venivano i turchi. Matrimoni, battesimi, feste religiose, testimoniavano l’amicizia reciproca. Da ragazzo nel mio paesino avevo molti amici turchi. A un certo punto sono cominciate le tensioni. Ci sono stati scontri tra le due comunità. Il capo della comunità turco-cipriota, Rauf Denkats, decise che era necessario vivere separati: una politica insensata, sciovinista, che voleva rompere la nostra tradizione di convivenza. E così avvenne.
Oggi abbiamo un terzo dell’isola occupata, un corpo di invasione di quarantamila soldati turchi, 180 mila coloni turchi immigrati dall’Anatolia, la vecchia comunità turco-cipriota in declino e per metà emigrata, a dimostrazione che anche loro non sopportano questa situazione, che non è vero che dovevano essere protetti. Infine, l’ordine di cancellare il Cristianesimo: le persone costrette all’esodo, gli edifici distrutti o abbandonati a se stessi. Ancora pochi anni e il piano sarà compiuto del tutto. Continuiamo ad implorare di poter salvare quel che è ancora salvabile di questo patrimonio, recuperando edifici e procedendo ai restauri, tutto a nostre spese: ci lascino, ci diano i permessi! Ma nemmeno rispondono, oppure dicono che le chiese vanno in rovina semplicemente perché non ci sono più i cristiani… È una ingiustizia clamorosa e gravissima, consumata nell’indifferenza internazionale. Del resto oggi le autorità turche affermano che a Cipro ci sono due popoli, due religioni, due repubbliche. Ma io sono sicuro che se si cancella la linea di demarcazione, se vanno via militari e coloni, tutto tornerà come prima. Noi a Cipro siamo una realtà sola.
Cioè non ritiene che esista un problema religioso…
Non abbiamo mai avuto problemi religiosi, né li avremo. La questione è soltanto nazionalistica, non c’è altro. Mi domando come l’Europa non si accorga di questo, come non faccia dei passi decisi. Qui abbiamo tanto aspettato l’arrivo dell’Europa e ora la nostra attesa sembra tradita.
Possiamo dire che c’è un legame tra la situazione di Cipro e la situazione delle minoranze cristiane nella regione mediorientale, anche se ci sono delle differenze importanti in quanto a nazionalismi, culture, vicende storiche…
In tutti i miei incontri con responsabili europei ho messo in evidenza la situazione dei cristiani, situazione che noi da qui sentiamo in tutta la sua urgenza e drammaticità. Prima usavo la parola “test” a riguardo di Cipro. Lo ribadisco, perché noi vogliamo vivere insieme e in pace e bisogna che ci aiutino a farlo, a porre fine alla separazione, all’invasione straniera. Siamo un ponte naturale in questa parte del mondo, abbiamo rapporti buoni e siamo in grado di svilupparli con tutti, è la nostra vocazione storica.