Quasi impensabile in mezzo agli orrori della seconda guerra mondiale, il modello dell’Unione, nonostante la feroce crisi e la debolezza nella politica estera, si conferma capace di promuovere la libertà e di provocare anche i Paesi arabi in cerca di nuovi spazi comuni.
Ultimo aggiornamento: 19/12/2024 09:37:32
La libertà è un bene che non ha prezzo. È uno dei pilastri della comunità europea dei valori e scaturisce da una visione dell’uomo radicata nel Cristianesimo. È un prerequisito perché ciascuno possa condurre una vita autonoma, ma sarebbe un errore darla per scontata: va difesa giorno dopo giorno e a volte va riconquistata.
Circa vent’anni fa i popoli dell’ex Repubblica democratica tedesca e di altri Paesi dell’Europa centrale e sud-orientale scesero in piazza per la libertà. Abbiamo allora avuto la fortuna di veder cadere la divisione in Germania e in Europa. A partire dai primi mesi del 2011 abbiamo visto i popoli del Medio Oriente e del Nord Africa cogliere l’opportunità di assumere il controllo della propria vita. Lottano per un sistema costituzionale basato sulla libertà e sulla democrazia. Sono pieni di speranza in un futuro migliore per sé e per i loro figli. Sono pieni di coraggio nella lotta contro la vecchia classe dirigente. Tali processi di trasformazione potrebbero non essere privi di ostacoli o battute d’arresto. È ciò che abbiamo imparato duramente nelle ultime settimane e negli ultimi mesi.
Quando nel 2011 sono stato al Cairo, ho avuto modo di parlare con quei giovani meravigliosi che si erano impegnati in prima persona perché fosse rispettata la loro dignità e fosse data loro l’opportunità di vivere in una democrazia, perché la loro vita potesse essere vissuta in libertà. I popoli di questi Paesi meritano tutti il nostro rispetto e la nostra riconoscenza per il loro coraggio. Si sono guadagnati il nostro sostegno e il nostro aiuto e hanno bisogno della nostra solidarietà. L’Unione Europea incoraggerà e sosterrà tutti coloro che difendono la libertà e la democrazia, libere elezioni, la libertà di espressione e di stampa e i diritti umani e civili. In quanto regione immediatamente confinante, i Paese arabi sono fondamentali per il nostro futuro.
Non è nostro interesse che il Nord Africa precipiti nell’anarchia e nel caos. Di conseguenza, democrazia e stabilità devono costantemente riequilibrarsi. Possiamo e vogliamo aiutare i nostri Paesi partner a percorrere autonomamente la loro strada. Il modo migliore per imparare a sostenere il processo democratico è il dialogo e il confronto con le persone che lavorano sul campo. Noi cerchiamo di dimostrare come i valori religiosi possano conciliarsi con i principi di una società moderna e democratica. Cerchiamo di mostrare ciò che occorre per dare a un Paese una Costituzione fondata sulla stabilità dello Stato di diritto. La Konrad Adenauer Stiftung offre un importante contributo a questo dialogo.
Un progetto prima inconcepibile
Cooperatività e costruttività sono due delle più importanti caratteristiche che da decenni plasmano la sinergia dell’Unione Europea. Ma neppure questo può essere dato per scontato. Il Parlamento europeo è uno dei tre pilastri (insieme al Consiglio europeo e alla Commissione europea) su cui poggia l’Unione Europea. Insieme al Consiglio dei Ministri, il Parlamento europeo ha potere legislativo. Ma non è sempre stato così. Quando nel 1979 ero candidato alle elezioni europee, come del resto negli anni successivi, il Parlamento europeo non aveva alcun potere decisionale effettivo. Oltre 20 anni dopo, il 25 marzo 2007, il Cancelliere federale Angela Merkel, in qualità di Presidente del Consiglio europeo, José Manuel Durão Barroso in qualità di Presidente della Commissione europea ed io, in qualità di Presidente del Parlamento europeo, abbiamo sottoscritto la Dichiarazione di Berlino. Convincere il Parlamento europeo ad attuare un documento che non era stato preventivamente approvato da una sua risoluzione è stato un fatto senza precedenti. Alla fine siamo riusciti a trovare un accordo sulla dichiarazione. Di quell’incontro restò impressa la bella frase “noi, cittadini europei, siamo, per nostra felicità uniti”, che vale oggi per 500 milioni di persone nei 27 Stati membri dell’Unione.
L’unità dell’Europa era inconcepibile dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non dovremmo considerare con leggerezza questo accordo per il fatto che è il risultato di un percorso spesso lungo e difficile. Ha richiesto il coraggio della ricerca della verità, un anelito di libertà e un ardente desiderio di pace. Per decenni, per secoli, in Europa hanno prevalso lotte e costrizione, guerre, distruzioni e oppressioni e la dignità di innumerevoli persone ha avuto poco valore o non ne ha avuto alcuno. Oggi il riconoscimento dei diritti fondamentali, la dignità inviolabile di ciascun essere umano, la libertà e la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e la tutela dei diritti umani sono i valori su cui si fonda l’Unione Europea. Si tratta principalmente di valori cristiani e noi cristiani riconosciamo la forza che ci deriva dall’ordine e dall’orientamento che questi valori danno. Vanno messi in pratica nella vita quotidiana e nella vita comunitaria di tutti i cittadini, in Germania e in Europa. I valori devono riflettersi nelle decisioni personali degli individui e nelle decisioni pratiche della politica. Solo allora l’Unione Europea sarà veramente una comunità di valori condivisi. La storia europea è una storia di innumerevoli guerre: quanto più preziosa è allora la pace di cui abbiamo potuto godere per più di sessant’anni. Quanto più preziosa la libertà!
Questa comunità di valori condivisi esige passione, coraggio e la convinzione nella propria capacità di crescere e svilupparsi. Richiede dei modelli, persone che incarnino queste convinzioni in modo esemplare. Konrad Adenauer, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea e primo Cancelliere della Repubblica Federale di Germania, era una di queste personalità eccezionali, un vero modello. Nel corso di molti anni e decenni egli ha plasmato la politica della CDU (Unione dei Democratici Cristiani) e la politica tedesca. La vasta e positiva risonanza e la fiducia di cui la Konrad Adenauer Stiftung gode in tutto il mondo è nata allora. Konrad Adenaur fu un visionario europeo. La sua condotta politica fu determinata da questa visione che si trova riflessa in molte sue affermazioni. Nel 1961, per esempio, formulò la sua visione in questi termini: «Il nostro obiettivo è che, un giorno, l’Europa sia una grande casa per tutti gli europei, una casa di libertà».
Oggi, a distanza di cinquant’anni, possiamo dire che l’Europa è una casa di libertà per più di mezzo miliardo di persone in 27 Paesi. Ma per avere un futuro, l’Europa deve essere forte e democratica. Per questa ragione è indispensabile una base giuridicamente vincolante per l’azione europea e internazionale. Solo così potremo garantire che i diritti conservino il loro potere e che non sia il potere a creare dei diritti. Questa, a mio avviso, è una delle grandi conquiste del nostro tempo.
L’obbligo verso le generazioni future
Da alcuni anni viviamo in Europa una crisi provocata dal debito pubblico di alcuni Stati membri ora in difficoltà. Siamo preoccupati per gli effetti della crisi, in particolare per l’alto tasso di disoccupazione e per l’impoverimento di ampie fasce della popolazione. L’Unione Europea ha risposto alla crisi con il Patto di stabilità e crescita nel quale sono espressi i principi europei di solidarietà e responsabilità individuale. L’Unione Europea fornisce assistenza, ma anche gli Stati membri devono contribuire.
Questa è la ragione per cui tutti gli Stati membri dell’Unione Europea devono urgentemente riprendere il controllo dei loro bilanci. Il Patto di stabilità e crescita dev’essere rispettato. Deve fissare e continuare a mantenere degli standard. Non è più accettabile che la regola sia costituita da Paesi che vivono al di sopra delle proprie possibilità. Chi si indebita mette a repentaglio il futuro dei nostri figli e nipoti. La nostra coscienza cristiana ci ricorda che abbiamo un obbligo nei confronti delle generazioni future e possiamo farvi fronte solo prendendo in considerazione la globalizzazione in tutte le sue manifestazioni.
L’economia sociale di mercato ha contribuito in maniera significativa a far uscire la Germania dalla crisi. È la nostra bussola, la nostra linea guida per una concorrenza leale e un’economia libera che accetta la responsabilità sociale. La proprietà, la responsabilità e il rispetto degli impegni assunti sono un’unità inscindibile, come ha sottolineato Walter Eucken, uno degli intellettuali fondatori dell’economia sociale di mercato. Questa è anche una delle ragioni del successo del modello dell’economia sociale di mercato: agli attori non garantisce solo libertà, ma trasferisce loro anche responsabilità.
La flessibilità è uno dei vantaggi dell’economia sociale di mercato. Non si tratta di una struttura rigida ma un modello flessibile che assegna un ruolo chiaro a tutti i soggetti del mercato. Il mercato libero è al centro, la concorrenza leale è un’espressione della libertà e lo Stato è una parte del tutto: definisce il quadro d’azione, le regole del gioco e mantiene l’ordine. L’economia sociale di mercato non conosce paternalismo a danno della persona, perché la dignità personale è inviolabile, un concetto che deriva dalla nostra visione cristiana dell’uomo e da cui sono emersi la nostra etica nel mondo degli affari e il nostro comportamento nell’economia sociale di mercato. Abbiamo fiducia nel mercato. Tuttavia il mercato non è un fine in sé, ma implica la responsabilità sociale. Per questo deve essere regolato e richiede delle norme. E quanti violano queste norme, violano la dignità umana e la libertà.
Una politica estera incompiuta
Una delle carenze dell’Unione Europea è la scarsa incidenza della sua politica estera che, in una certa misura, non corrisponde (ancora) alla sua importanza economica. Il Trattato di Lisbona contribuirà a ridurre questo deficit in futuro. Nelle relazioni estere l’Unione Europea potrà in questo modo incrementare la propria influenza e visibilità. I vari aspetti della politica estera – la diplomazia e i negoziati internazionali, la sicurezza, il commercio, lo sviluppo e gli aiuti umanitari – sono tutti collegati e la posizione dell’Unione Europea, nelle sue relazioni con gli altri Stati e regioni del mondo, sarà in tal modo definita con maggiore precisione.
Oltre a questi cambiamenti istituzionali, sarà ovviamente decisivo il contenuto della politica estera su cui l’Unione Europea si accorderà. Per affrontare le sfide che ci attendono, in futuro l’Unione Europea dovrà agire sulla scena internazionale come un’unica entità e, se possibile, con una sola voce.
Abbiamo compiuto notevoli progressi nel raggiungimento di questo obiettivo. Henry Kissinger era solito porre una domanda sarcastica: «In una crisi internazionale, quale numero devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?». Dopo la firma del trattato di Lisbona abbiamo una risposta chiara: l’ufficio dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, attualmente presieduto da Catherine Ashton. Il suo servizio di azione esterna, stabilito nel 2010, e la strategia di sicurezza dell’Unione Europea sottoscritta da tutti gli Stati membri nel 2003 e riconfermata nel 2008, sono ulteriori esempi di una maggiore coerenza nell’approccio europeo agli affari esteri.
Ciononostante, specialmente nel settore della politica di sicurezza e in particolare per quanto riguarda l’uso della forza, l’Unione Europea è ancora lontana dall’essere una vera Unione. Come dimostra il recente intervento in Mali, sono ancora i singoli Stati membri a determinare la politica e l’azione o (inazione), a prescindere dalle strutture e dai processi dell’Unione. Le potenze con la maggiore capacità militare, il Regno Unito, la Francia e la Germania, agiscono sempre conformemente al loro interesse nazionale. Quando è possibile e utile, lo fanno alleandosi e cooperando con altri, anche se Francia e Regno Unito sono pronti a intervenire in maniera autonoma e sono in grado di farlo quando necessario.
Il caso Mali
L’intervento in Mali dimostra anche che questo non è sempre negativo. Spesso gli interessi nazionali degli Stati membri e i più ampi interessi dell’Unione convergono, com’è avvenuto quando si è impedito a islamisti criminali di prendere il potere in una zona di prossimità determinante per l’Europa. È inoltre lodevole che i singoli membri agiscano rapidamente e con decisione, come ha fatto la Francia, guadagnandosi in questo modo il sostegno di altri Stati europei. Tuttavia è preoccupante che, nonostante l’Unione Europea avesse previsto da molto tempo quanto sarebbe avvenuto in Mali, non siano stati presi provvedimenti tali da rendere superflua l’azione della Francia. Infatti, alcuni mesi prima dell’intervento francese il Consiglio europeo aveva già discusso la situazione del Mali e aveva deciso di fare qualcosa al riguardo. I membri avevano concordato una missione di addestramento, progettata per consentire alle forze ufficiali del Mali e agli alleati nella regione, attraverso l’ECOWAS (Economic Community Of West African States), di contrastare da sé l’aggressione e mettere in sicurezza il territorio. La missione era stata fissata per il 2013. Come si è poi visto, gli aggressori islamisti sono stati più veloci dell’Unione, prendendoci in contropiede e forzando l’intervento della Francia.
Questa storia è un ammonimento. Se vogliamo davvero che l’Europa sia un attore rilevante nella politica di sicurezza internazionale, capace di difendere se stessa, i suoi amici, i suoi valori e i suoi interessi, allora dobbiamo cambiare radicalmente il nostro processo politico. Nel lungo periodo le grandi potenze europee, a causa dei tagli di bilancio e delle crescenti sfide in altre parti del mondo, non saranno più attrezzate per fare la differenza, come ha fatto la Francia in Mali. Andare avanti in maniera autonoma non sarà più sufficiente, neppure per gli Stati europei più forti.
Pertanto, ciò che dobbiamo fare è sviluppare una più profonda integrazione europea in materia di difesa e di sicurezza. Dobbiamo finalmente superare la mancanza di volontà politica e le preoccupazioni del tutto fuori luogo in merito alla perdita della sovranità nazionale. Dopo tutto, il modo più sicuro con cui ciascuna nazione europea può mettere in pericolo la propria sovranità è rischiare l’inefficacia militare e politica. L’ambizioso obiettivo di un tale approccio sarebbe naturalmente quello di costituire un esercito europeo unificato, un risultato che, considerate le realtà politiche, è raggiungibile solo nel lungo periodo. Tuttavia, quello che oggi possiamo e dobbiamo fare è compiere i primi passi in quella direzione: aumentare le sinergie con addestramenti coordinati, condividere le nostre capacità militari e ideare strutture politiche che garantiscano la legittimità e l’affidabilità degli sforzi comuni. Si tratta di un processo lungo e difficile, ma l’alternativa a questa strada è un lento declino verso l’irrilevanza e la dipendenza da altri, siano essi amici o nemici.
Energia e clima
Tra le sfide che richiedono soluzioni globali, individuabili e praticabili solo unendo le forze, figurano sicuramente i cambiamenti climatici e la politica energetica. Dobbiamo considerare tutti i fattori necessari a garantire una fornitura affidabile di energia per le persone e per le imprese. Solo così potremo garantire il mantenimento del nostro standard di vita. La diversificazione delle provenienza geografica del petrolio e del gas naturale è un fattore importante quanto la diversificazione delle fonti energetiche stesse. In Europa abbiamo per questo bisogno di una politica energetica comune che, in questo momento, deve promuovere in particolare il rapido sviluppo di una rete elettrica intelligente. Solo quando saranno disponibili linee elettriche flessibili e moderne, saremo in grado di produrre energia, per le imprese e le famiglie, dagli impianti al largo delle coste britanniche o delle coste tedesche del Mare del Nord. Solo allora l’investimento in turbine eoliche comincerà a dare dividendi. Lo stesso vale per la produzione di energia fotovoltaica. Attualmente, uno sviluppo rapido di questi impianti è poco sensato, dato che semplicemente non disponiamo delle infrastrutture necessarie per trasportare l’energia elettrica così prodotta alle case dei privati.
La domanda sul modo in cui potremo garantire la sicurezza del nostro approvvigionamento energetico rientra nell’impegno nella gestione dell’ambiente, della nostra terra, e negli sforzi volti a evitare i cambiamenti climatici. Dobbiamo prendere atto del fatto che le risorse naturali sono limitate e che non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità verso le generazioni future. L’efficienza energetica e la protezione del clima sono le due facce della stessa medaglia. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo occorre un cambiamento culturale e un’economia più equilibrata. L’equilibrio non è una questione di buon senso e non significa restrizione.
Viviamo oggi cambiamenti epocali. Le sfide che dobbiamo affrontare erano inconcepibili venti o trenta anni fa. Si va dalla minaccia del terrorismo internazionale al commercio illegale di armi e droga, alle sfide della convivenza nelle nostre società, che risulteranno radicalmente trasformate dal cambiamento demografico e dalle migrazioni. Molte di queste sfide attuali e future sono interconnesse e devono essere considerate nel loro complesso. È la nostra unica speranza. Il tentativo di trovare soluzioni insieme richiede coraggio, cooperazione leale e una passione per la libertà umana. Cogliamo allora quest’opportunità, perché la paura e la rassegnazione non sono risposte alle questioni pressanti del nostro tempo. Abbiamo buone ragioni per confidare e guardare al futuro con speranza. Quando sono stato eletto al Parlamento europeo nel 1979 l’Europa era divisa, metà del nostro continente stava sotto il giogo del comunismo totalitario. Oggi molti dei Paesi ex comunisti sono membri dell’Unione Europea, siamo una comunità di 500 milioni di persone che condividono gli stessi valori. Questo grande progresso dovrebbe darci il coraggio necessario per affrontare le sfide presenti e future.