Un messaggio unitario dalla comunità musulmana per l'intera comunità cristiana

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:14

La lettera aperta Common Word, rivolta da 138 personalità musulmane a tutti i leader cristiani, è stata il frutto di un sincero sforzo da parte del clero, delle guide e dei teologi musulmani per aprire una strada di dialogo e collaborazione con le comunità cristiane di tutto il mondo. Non v'è dubbio che questa iniziativa sia tra le più significative nelle relazioni islamo-cristiane e abbia in sé il potenziale per consentire a entrambe le comunità di passare da un rapporto di cortesia al rispetto reciproco e alla cooperazione.

Risposte al Common Word sono giunte da responsabili ecclesiali delle varie denominazioni come l'Arcivescovo di Canterbury, dr. Rowen Williams, il Segretario di Stato vaticano, Cardinal Bertone, il Cardinal Angelo Scola, l'Arcivescovo ucraino ortodosso di New York, Rev. Mykhayil Javchak Champions, il Congresso mondiale delle Chiese, e anche da teologi di vaglia come il professor David Ford (Università di Cambridge), il professor Ian Torrance (Princeton Theological Seminary), il corpo docente del Columbia Theological Seminary e molti altri [www.acommonword.com].

Uno degli sviluppi più significativi è stata poi la pubblicazione di un'inserzione a tutta pagina sul «New York Times» (18 novembre 2007) contenente una lettera di sostegno al Common Word firmata da 300 studiosi cristiani di primo piano. Molti dei firmatari sono importanti leader protestanti, cattolici, ortodossi e soprattutto evangelici. Questo fatto ha preannunciato l'apertura di nuovi e inediti canali di dialogo tra musulmani e cristiani.

E ancora, nel dicembre 2007 quegli stessi firmatari musulmani hanno rivolto il loro primo messaggio di Natale alle chiese cristiane, ringraziando la Yale Divinity School per lo sforzo profuso nel radunare i firmatari a sostegno del Common Word. Sono già in corso colloqui di alto livello tra i leader musulmani e quelli delle chiese cristiane e tra i centri accademici e sono in preparazione conferenze, seminari e iniziative comuni in Nord America, Europa e nel Medio Oriente per esaminare le questioni che il documento Common Word solleva e per lavorare su punti chiave di reciproco interesse.

È ancora troppo presto per valutare fino in fondo l'impatto delle iniziative del Common Word, ma a giudicare da queste prime reazioni e dall'energia che vi traspare, il documento ha certamente il potenziale per porre solide fondamenta a un dialogo duraturo tra le due comunità di fede. Il documento ha colto assolutamente di sorpresa le persone e in particolare i profeti di sventura che in entrambe le religioni preferiscono mantenere una distanza teologica totale per legittimare le proprie polemiche.

Ciononostante, sono già in atto discussioni e dialoghi, piuttosto che dibattiti, in diverse regioni del mondo e a svariati livelli. Il dibattito avviene tra avversari ed è impostato secondo il linguaggio del conflitto; è qualcosa che dobbiamo lasciarci alle spalle. In un dibattito infatti ci possono essere vincitori e vinti, mentre nella discussione e nel dialogo entrambe le parti guadagnano una maggiore comprensione ed elaborano una soluzione.

 

Dialogo all'Interno e tra le Comunità

Più nello specifico, il documento Common Word ha generato dialogo all'interno e tra le comunità. In primo luogo, all'interno della comunità musulmana esso ha prodotto una presa di coscienza dell'importanza del dialogo interreligioso e del bisogno di riformulare e recuperare un'eredità spirituale, teologica ed ermeneutica ispirata a sentimenti di affetto e rispetto per i fratelli cristiani. Vale la pena ricordare che il Common Word è di fatto un ampliamento di un recentissimo sforzo ecumenico tra musulmani, cominciato con la promulgazione del Messaggio di Amman [www.ammanmessage.com].

Il Messaggio di Amman, lanciato nel 2004, è stato il catalizzatore del consenso e dell'unità nel mondo musulmano. Esso ha definito che cos'è e che cosa non è l'Islam, quali azioni lo rappresentano e quali no ed è stato sottoscritto da più di 500 leader ed esponenti del clero musulmano - un risultato ecumenico gigantesco! A parte il Common Word, esso ha condotto alla dichiarazione congiunta musulmana sulla vicenda delle vignette danesi e a una dichiarazione sulla sacralità della vita.

Fatto ancor più importante e da sottolineare, il Messaggio di Amman e tutte le iniziative che ne sono seguite sono di fatto parte del processo che la corrente maggioritaria tra i musulmani, la voce dell'Islam moderato, sta mettendo in atto per riaffermare la propria autorità in un momento in cui il mondo rischia di cadere rapidamente nelle mani di un estremismo di natura politica e religiosa. Uomini e donne che credono e amano Dio, che s'interessano e hanno a cuore il loro prossimo, devono e possono lavorare insieme per un futuro che rispetti la sacralità della vita: un futuro il cui motivo ricorrente non diventi la violenza e il terrorismo.

Un dibattito analogo s'è avviato tra le comunità cristiane circa il loro atteggiamento nei confronti dei musulmani e il Common Word è stato avvertito come rispettoso e al tempo stesso stimolante nel suo rigore teologico e chiaro nella sua asserzione dei valori che condividiamo. All'interno delle due tradizioni religiose ci sono sufficienti fondamenti scritturali e morali per un atteggiamento rispettoso e inclusivo verso l'Altro. Scopo del documento non è cancellare le differenze nella dottrina o, per fare un esempio, nella soteriologia. Il testo sottolinea un tipo di riconoscimento che abbiamo bisogno di recuperare, il riconoscimento che entrambi condividiamo due principi teologici fondamentali, l'amore di Dio e l'amore del prossimo.

Essi infondono vita alla nostra relazione con Dio e alla nostra pietà, carità e altruismo verso i compagni uomini. Il documento esorta musulmani e cristiani a uno sforzo più intenso per iniziare dialogo e azioni comuni tra le due comunità.

L'urgenza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le fedi finora non è stata avvertita a sufficienza da parte della maggior parte delle comunità. Esse hanno lasciato che fossero gli eventi geo-politici globali e la copertura mediatica negativa della religione a dettare l'atteggiamento reciproco. Il documento invece aiuta le comunità a rendersi conto che un tale isolamento le une dalle altre non torna a vantaggio di nessuno, ma con ogni probabilità sarà causa di una spirale di conflitti futuri. E se questi conflitti, lungo la storia dell'umanità, si fossero limitati a scambi di parole offensive, il problema non sarebbe così grave; tuttavia spesso essi superano i limiti del disaccordo e inevitabilmente degenerano in violenza. È questo che dobbiamo cercare di evitare o quanto meno frenare.

La violenza può avere diverse radici: può scaturire da atteggiamenti mentali estremistici che denigrano tutto quanto non s'accorda con la propria prospettiva confessionale particolare; o derivare da violenza effettivamente commessa da un gruppo contro l'altro, le sue cause potrebbero essere ricercate in antecedenti storici e attriti che sono sopravvissuti fino al periodo moderno attraverso le tradizioni e narrazioni di una comunità; la violenza potrebbe essere ascritta a una mancanza di clero moderato e di attivisti su entrambi i fronti del conflitto che aiuterebbero a creare un terreno intermedio di equilibrio e sicurezza; potrebbe essere il frutto della povertà, di tabù sociali o anche di media locali che esacerbassero il timore della differenza o amplificassero presunte minacce.

Ci sono insomma moltissime cause, ma la fonte delle dispute e delle preoccupazioni può essere esaminata solo se musulmani e cristiani hanno modo di parlarsi e ascoltarsi senza temere recriminazioni. Il Common Word rende possibili tali iniziative perché permette che siano fondate su solide basi teologiche. Costruire il dialogo interreligioso su qualcosa di diverso dalle basi teologiche lo condannerebbe a un ultimo fallimento.

 

Partire dall'Unità

Di fatto, l'elemento essenziale e più significativo nel Common Word è che esso comincia dall'unità e passa alla differenza, piuttosto che cominciare dalla differenza per arrivare all'unità. La maggior parte delle iniziative interreligiose tra le due comunità hanno preso avvio dalla differenza con lo scopo di arrivare a qualche forma d'unità o di convergenza su idee e valori. Così i primi esempi di dialogo hanno scelto come argomenti "La nozione di Dio nell'Islam e nel Cristianesimo", "Cristo nell'Islam e nel Cristianesimo" etc.

Questo approccio non produceva un grande incremento nella conoscenza reciproca poiché gli interlocutori erano interessati più a spiegare perché differivano che a esaminare i modi in cui condividevano scenari storici comuni e analoghe narrazioni teologiche e spirituali. Si sperava che parlare della differenza avrebbe portato alla fine a qualche forma artificiosa di unità. Ma questo non è mai successo. Le varie iniziative di dialogo in ogni parte del mondo non hanno avuto alcun riflesso sui fedeli comuni delle due tradizioni e non hanno in nessun modo ridotto i conflitti. Anzi, questo approccio ha condotto a una certa sfiducia della gente comune rispetto a tutta l'impresa del dialogo perché essa era avvertita più come un mezzo per cancellare le identità e gli obblighi religiosi, cui le persone si sentivano appassionatamente legate, in una qualche forma di unità e sincretismo new age politicamente corretto.

Ma la maggior parte della gente non vuole questo. L'iniziativa Common Word ha avuto un approccio molto diverso. Comincia con l'unità, cioè con quello che entrambe le comunità condividono nel profondo, la pone a base della differenza. Si tratta di un modo del tutto diverso di affrontare il problema delle relazioni interculturali e della pluralità, un modo che preserva le identità culturali e religiose e mette tutti in grado di ritrovarsi insieme su solide basi teologiche fondate nelle scritture e condivise da entrambe le parti. Le comunità potranno dissentire, anzi certamente dissentiranno, ma se il dialogo è basato sul duplice principio dell'amore di Dio e del prossimo, ciò assicurerà che si lascino sempre come amici senza che il disaccordo degeneri in un conflitto a oltranza.

Il Common Word aiuta ogni musulmano e ogni cristiano a comprendere che abbiamo un'origine condivisa e la stessa responsabilità l'uno per l'altro e per il mondo. I musulmani e i cristiani condividono gli stessi problemi di tutti gli altri uomini. In questo quadro di dialogo, l'identità di ciascuno non è minacciata, ma profondamente rispettata. Ciò getterà i semi per la collaborazione reciproca e una comprensione della dignità umana dei nostri correligionari. Non credo che il dialogo possa essere rubricato sotto le più ampie categorie della "missione" e della da'wah.

Entrambe le religioni, essendo universali nella loro portata e quindi anche missionarie, possono inevitabilmente cedere a questa tentazione di tanto in tanto, ma tutti devono vigilare al massimo grado perché ciò non accada in uno sforzo di "dialogo". Un atteggiamento missionario (sia esso cristiano o musulmano) non permetterebbe un impegno onesto con l'Altro: andrebbe meglio per il dibattito che per il dialogo. Porterebbe a mancanza di sincerità da parte di tutti e promuoverebbe sfiducia e paura di fini nascosti nei partner del dialogo; l'atteggiamento missionario restringerebbe l'abilità ad "ascoltare" realmente l'Altro.

Il dialogo può essere un modo di "testimoniare" la propria fede, ma non è il posto giusto per missionari ansiosi di fare proseliti. In un contesto di dialogo cerchiamo di comprendere l'Altro e ciò può avvenire soltanto in un ambiente di fiducia reciproca e rispetto. Un atteggiamento o una posizione da missione/missionario/evangelico (ce ne sono molte varietà nella letteratura cristiana) conduce a un "monologo", non a "dialogo". Avendo visto come questo atteggiamento mentale, prevalente in molti circoli musulmani e cristiani, conduca inevitabilmente i dialoghi interreligiosi al fallimento, sostengo che il dialogo dev'essere piuttosto una fonte per una comprensione da parte della fede di ciò che la circonda e dei vari contesti umani.

Quando fu stilato il Common Word, gli studiosi musulmani prestarono attenzione al fatto che in entrambe le comunità religiose esistevano differenze di denominazione: perché il documento avesse un impatto positivo, era necessario che innescasse discussione e consenso interno. Gli autori non erano interessati a parlare solo ai cattolici, ai protestanti o agli ortodossi, ma a tutta la comunione cristiana. Vediamo che questo sta già accadendo. Ho sentito da tanti leader delle Chiese che il documento Common Word avrebbe reso possibili discussioni all'interno dei diversi gruppi ecclesiali per formare un consenso nelle relazioni e negli atteggiamenti da assumere verso l'Islam e i musulmani.

Tuttavia il fatto più significativo è che i firmatari musulmani provengono realmente da un'ampia sezione della umma musulmana. Rappresentano più di 40 paesi e comprendono leader di tutte le otto scuole legali sunnite, sciite e di altre appartenenze. Questo consenso ha dato all'iniziativa una reale autorevolezza in grado di produrre mutamenti sistemici nel discorso teologico e sociale musulmano. Nessun'altra, e lo ripeto, nessun'altra iniziativa di dialogo è mai stata in grado di creare una tale coalizione di autorità musulmane dotate di peso effettivo nei loro ambiti.

I leader ecclesiali si sono lamentati per decenni del fatto che fosse impossibile avviare un dialogo sostanziale con i musulmani perché questi mancavano di un magistero o di una voce unitaria. Ora non è più così. Gli studiosi musulmani stanno articolando un messaggio unitario, reagendo collettivamente a eventi e questioni. E la tendenza è destinata unicamente a crescere. Essi cominciano a parlare con una sola e decisa voce su come fare la propria parte nella promozione della pace, della stabilità e della giustizia nel mondo.

Per concludere, mi piace menzionare i messaggi semplici ma incisivi che musulmani e cristiani qualsiasi hanno lasciato sul sito del Common Word. Si tratta di un buon indice di come il messaggio si stia facendo strada in tutti gli ambiti chiave. Una reazione particolarmente toccante è stata questa:

Avete piantato un seme, un grande seme, da cui può germinare l'albero della pace. Annaffiamo e curiamo tutti quel seme e chiamiamo anche altri in aiuto. Grazie per il vostro grande atto di fede e coraggio (Sue Brown - www.acommonword.com 07/11/07)

Queste parole esemplificano la forza del convincimento che molti avvertono nei confronti del Common Word. Sono certo che il documento aiuterà a sanare profonde ferite accumulatesi in secoli di contese, stereotipi e fraintendimenti. E a Dio ci rivolgiamo per l'aiuto.

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