L’obbligatorietà del dialogo: «O ci parliamo o ci facciamo la guerra»
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:55:15
Intervento di S. Em. il cardinal Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, al Simposio “Patrimonio Arabo-Cristiano e dialogo Islamo-Cristiano”, Atto Accademico in onore di p. Samir Khalil Samir, SJ.
Caro Padre Samir,
L’ho conosciuta in Libano, dove faceva parte del gruppo dei grandi gesuiti – penso anche a padre Augustin Dupré La Tour – che hanno contribuito alla formazione dell’élite che ha influito, e influisce ancora molto, sulla vita dell’intera nazione libanese.
Applicando il criterio che «Gli anni della vita sono settanta, ottanta per i più forti» (cfr. Sal 90,10), si può certamente parlare di Lei come di un forte. Tuttavia, la Sua forza non è dovuta tanto alla Sua veneranda età, quanto soprattutto alla Sua consacrazione al Signore e alla Sua totale dedizione allo studio, all’insegnamento e all’editoria in due campi principali: la letteratura araba cristiana e l’Islam. Come è noto, queste discipline non sono estranee l’una all’altra.
Se un dialogo genuino deve basarsi tra l’altro su una conoscenza della religione dell’interlocutore, oltre naturalmente alla propria, Lei ha tutte le carte in regola, quale autorevole esperto dell’Islam e profondo conoscitore e promotore della letteratura araba cristiana. Come islamologo, Lei ha cercato di testimoniare la verità e di porre questioni che non intendono imbarazzare, ma condurre alla riflessione e al confronto per mezzo della ragione. Fede e ragione infatti sono i due occhi con i quali il credente guarda la realtà, sono le due gambe con le quali compie il proprio pellegrinaggio terrestre verso Dio, dal quale veniamo e al quale andiamo, secondo una formula cara alla tradizione musulmana.
Il tema a me affidato nel quadro di questo Atto Accademico in Suo onore è Il dialogo interreligioso: sfide e certezze. Mi permetto di anticipare che affronterò quasi esclusivamente, e per ovvi motivi, il dialogo islamo-cristiano, anche se, essendomi accorto al mio arrivo al Pontificio Consiglio che il dialogo con i musulmani era predominante e quasi esclusivo, ho ritenuto opportuno prestare attenzione anche ai rapporti con i credenti delle altre maggiori religioni mondiali: l’induismo, il buddhismo, le religioni tradizionali, in particolare quelle africane. Inoltre, si è cercato di rivolgere l’attenzione alle sette e ai nuovi movimenti religiosi, la cui competenza appartiene al Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso.
Se dovessi parlare di certezze nel dialogo, direi che la prima certezza è quella della sua necessità. Non mi stanco di ripetere che “siamo condannati al dialogo”: o ci parliamo o ci facciamo la guerra. Infatti, i fondamentalisti intendono dimostrare attraverso la loro cieca ed insensata violenza che non è possibile vivere insieme. Noi affermiamo chiaramente il contrario e lo dimostriamo continuamente.
Una seconda certezza è quella della importanza dello studio teologico delle religioni, che deve essere continuamente promosso. Per quanto riguarda l’Islam serve senza dubbio una valutazione teologica aggiornata di questa religione, considerate le numerose somiglianze, nonché le profonde divergenze che, per citare il Santo Papa Giovanni Paolo II, si concentrano principalmente sulla persona e la missione di Gesù.
È poi noto a tutti noi che tra le sfide dei nostri tempi vi è quella della formazione di un’identità cristiana forte, in particolare nei giovani, che sia allo stesso tempo aperta alle altre identità religiose e culturali. Riferendosi recentemente alle sfide che la Chiesa italiana è chiamata ad affrontare, Papa Francesco ha parlato di «povertà evangelica». Conoscere il contenuto della nostra fede è necessario prima di tutto per viverla e viverne, e poi per poter entrare in un vero dialogo con credenti di altre religioni.
I cristiani che vivono nei Paesi a maggioranza musulmana, in alcune circostanze, sono messi ai margini della società, discriminati e perseguitati. Essi sono tentati dall’emigrazione-fuga o dalla chiusura-ghetto. Gesù invece ci ricorda che il perseguitato è chiamato ad una sequela particolare, poiché Egli per primo ha portato la croce e si è sacrificato per la salvezza di tutti. La missione dei cristiani, a prescindere dai loro numeri, è quella di preservare questo mondo dalla corruzione ad opera del Maligno e di illuminarlo con la Parola e attraverso una vita coerente che sia credibile e renda gloria al Padre che è nei cieli.
La condizione di cittadino deve essere uguale per tutte le componenti etniche, religiose, culturali e politiche di una nazione ma, allo stesso tempo, essa è una sfida e un traguardo da raggiungere. Non è più ammissibile avere cittadini di serie A e di serie B a causa dell’etnia, della religione, della cultura o dell’orientamento politico. Fa piacere, nel contesto attuale, la presa di posizione della prestigiosa moschea-università di al-Azhar in merito a questo tema, anche attraverso la pubblicazione di documenti e l’organizzazione di conferenze.
Tra le sfide più urgenti vi è certamente quella di contrastare il fondamentalismo, in particolare quando diventa violento. Pur rimanendo necessaria e dovuta, la condanna della violenza da parte delle autorità religiose non è sufficiente. Bisogna andare alla ricerca delle motivazioni per arginarle. Queste possono essere economiche, sociali, ma anche religiose. La posizione delle autorità religiose perciò non deve lasciar spazio ad alcuna ambiguità. Bisogna educare al rispetto della vita altrui, della sua innata dignità e dei suoi diritti inalienabili e inviolabili. Nello specifico, bisogna educare alla libertà di coscienza: nessun motivo può essere valido per limitare o cancellare il diritto alla libertà in materia religiosa.
Il dialogo che il Pontificio Consiglio promuove ed esercita è quello fondato sulla verità e sulla carità. Né è prova l’ultimo documento del Dicastero intitolato Dialogo nella verità e nella carità. Orientamenti pastorali per il dialogo interreligioso (Città del Vaticano 2014). Questa apertura, nel rispetto delle persone e dei loro sentimenti religiosi, dà i suoi frutti. È quanto si afferma anche nell’ultimo Messaggio indirizzato ai musulmani in occasione del Ramadan e della festa che lo conclude, ‘Id al-Fitr. Ai nostri fratelli musulmani abbiamo detto che è giunta l’ora di passare dalla competizione alla collaborazione. Abbiamo messo in rilievo la necessità di dissociare l’aiuto umanitario dalla missione o da‘wa (l’appello all’Islam). Altrimenti, a pagarne il prezzo sarà l’immagine delle religioni e quella di coloro che credono in esse.
Tra gli eventi recenti di rilievo va annoverata, senza dubbio, la mia visita in Arabia Saudita alla guida di una Delegazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, su invito della Lega musulmana mondiale (Muslim World League), organizzazione fondata nel 1962 dal Re saudita Faysal. La Lega ha sede alla Mecca e dispone di uffici in numerosi Paesi; essa sostiene le minoranze musulmane presenti in varie nazioni, costruendo moschee, scuole, e inviando anche imam. Tutti siamo a conoscenza che l’Arabia Saudita è accusata di diffondere, attraverso il wahhabismo, un Islam molto conservatore che, secondo alcuni analisti, favorisce la crescita del fondamentalismo che sfocia nella violenza.
Nel Paese che custodisce i due luoghi più sacri dell’Islam, Mecca e Medina, abbiamo notato una volontà di cambiamento. Il Principe ereditario e uomo forte, Mohammed bin Salman, ha affermato la volontà di tornare ad un “Islam moderato”, come quello che esisteva prima del “risveglio”, iniziato negli anni settanta. Egli ha ammesso che tempo, energie e risorse sono andate perdute e ha indicato due ragioni: la necessità di far fronte al fondamentalismo sciita promosso dall’Ayatollah Khomeini e dal suo progetto di esportare la sua rivoluzione; e la richiesta rivolta all’Arabia Saudita dalle potenze occidentali, in particolare gli USA, di contrastare il comunismo attraverso la diffusione dell’Islam. Il caso più eclatante è stato quello dei mujahidin, trasformatisi successivamente in terroristi di al-Qaeda e che hanno perpetrato gli attacchi contro le Torri gemelle. Questa organizzazione ha poi dato vita al cosiddetto Stato Islamico, le cui atrocità sono note a tutti, specialmente nei confronti degli yazidi e dei cristiani.
Contrastare il fondamentalismo violento è stato ripetutamente richiesto ad al-Azhar dal Presidente egiziano Al-Sisi, principalmente attraverso il rinnovamento del discorso religioso. Con questa espressione si intende la predicazione, la formazione dei giovani e dei futuri responsabili religiosi, i curricula, in modo particolare quelli riguardanti la religione e la storia.
In generale, una sfida che si fa fatica a vincere è quella di portare i frutti del dialogo dell’élite a un pubblico più largo, ma anche quella di riuscire a modificare le leggi che regolano la vita delle società, l’atteggiamento dei media e la cultura in senso lato. Siamo tutti consapevoli della trappola della strumentalizzazione della religione per fini politici, fenomeno che si presenta soprattutto quando non vi è vera democrazia. In tal caso, i leader politici cercano legittimazione attraverso la religione. Ciò accade, in primis, come è noto, nei Paesi in via di sviluppo: per questo lo sviluppo integrale delle persone e delle società è un antidoto al fondamentalismo e alla violenza perpetrata in nome della religione.
Da sempre i Pontefici si sono impegnati nel dialogo interreligioso e Papa Francesco, col suo stile semplice e affettuoso, ha dato una spinta al dialogo. Ne è testimone tra l’altro la ripresa delle relazioni tra il Pontificio Consiglio e al-Azhar e la visita di numerose personalità e delegazioni, prevalentemente musulmane. Il magistero di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso è ancora da esplorare, in particolare relativamente al dialogo tra cristiani e musulmani.
Per concludere, il dialogo con i musulmani e con altri credenti continua tra sfide e certezze, nella convinzione che si tratta di un impegno irreversibile e di un segno di speranza che la Chiesa di Colui che è Parola-dialogo deve all’umanità ferita, perché Cristo è venuto a guarire e a salvare.
Auguri, caro Padre Samir: possa Lei continuare il Suo servizio alla Chiesa, nelle modalità che la Provvidenza riterrà opportune. Ad multos annos!