Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:08
Autore: Todorov T. Titolo: Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana Editore: Einuadi, Torino 1991 LA DIVERSITÀ UMANA, ammette Todorov, è infinita: volendola esaminare, da dove si può cominciare? Il punto di partenza di questa ampia riflessione si incentra attorno a un problema cruciale: dato il fatto della diversità, «esistono valori universali e,dunque, la possibilità di trasferire le categorie di giudizio al di là delle frontiere, oppure tutti i valori sono relativi (ad un luogo, ad un momento storico, persino all'identità degli individui)?» (p. 5). Ora, l'opzione universalista si può incarnare in diverse figure. Todorov si concentra - in particolare - sull'etnocentrismo, che consiste «nell'elevare, in modo indebito, i valori caratteristici della società alla quale appartengo a valori universali» (p. 5). Contro questa violenza ermeneutica,cui spesso fa seguito una violenza reale, Todorov difende un "buon" universalismo, inteso come «quello che non deduce l'identità umana da un principio, quale che sia, ma che parte da un'approfondita conoscenza del particolare e che avanza per tentativi» (p. 17). Solo questo universalismo garantisce il buon uso dell'identità,proprio perché si fonda su almeno due particolari, sull'istituzione di un dialogo tra di essi. In tal senso, pur senza usare il termine meticciato,Todorov sembra offrire un paradigma perdifendere la qualità umana dell'incontro trasformante con la diversità: «l'universale è l'orizzonte d'intesa tra due particolari; forse non lo si raggiungerà mai, nondimeno vi è bisogno di postularlo per rendere intelligibili i particolari esistenti» (p. 17). Il viaggio nella diversità umana assume allora varie sfaccettature, a seconda del tipo di "viaggiatore" che incarniamo. Todorov ne individua dieci: 1) l'assimilatore, «colui il quale vuole modificare gli altri perché gli assomiglino» (p. 400); 2) il profittatore, che specula sull'alterità degli altri a suo esclusivo vantaggio (p. 401); 3) il turista, che è «un visitatore frettoloso, che preferisce i monumenti agli esseri umani» (p. 402); 4) l'impressionista, «un turista molto perfezionato », che allarga il suo orizzonte anche agli esseri umani, ma che ha in comune con il turista «il fatto di restare il solo soggetto dell'esperienza» (p. 403); 5) l'assimilato: «si reca dagli altri, non per renderli simili a sé, ma per divenire come loro » (p. 404); 6) l'esota, che vuole godere della fragile felicità dello "straniamento", tenendosi il più possibile lontano dagli automatismi della vita quotidiana, ma evitando al contempo l'assimilazione (p. 405); 7) l'esule, «che considera la propria vita all'estero come un'esperienza di non appartenenza al suo ambiente e che la predilige esattamente per questa ragione» (p. 406). L'esule, a differenza dell'esota, è straniero in un modo non più provvisorio, ma definitivo; 8) l'allegorista, che «parla di un popolo (straniero) per discutere di tutt'altra cosa - di un problema che riguarda l'allegorista stesso e la propria cultura » (p. 407); 9) il disincantato, colui che, «partito per gli antipodi, ha scoperto che il viaggio non era necessario, che si poteva apprendere altrettanto e di più concentrandosi sul familiare» (p. 408); e infine 10) il filosofo, il cui precetto sarebbe: «osservare le differenze per scoprire le proprietà» (p. 410). Ammesso che sia mai esistito, il viaggio filosofico sembrerebbe allora caratterizzato da due tratti fondamentali: l'umiltà e l'orgoglio, le lezioni da prendere e le lezioni da dare, in vista della scoperta di ciò che è propriamente umano. E non è un caso che questa galleria di ritratti termini con la figura del filosofo: è qui che Todorov individua la possibilità di pensare un "umanesimo ben temperato", cioè messo continuamente in discussione da «valori e principi venuti dall'esterno » (p. 465). Solo così l'universalismo non diventa etnocentrismo, perché non fa nuove ipotesi sulla natura umana, ma resta un «universalismo di percorso», sospeso alla «necessità di postulare un orizzonte comune agli interlocutori del dibattito, se si vuole che quest'ultimo serva a qualcosa» (p. 456).