Educare nella laicità /2. A partire dal XIX secolo la questione scolastica è divenuta il principale terreno di scontro e confronto tra gli Stati nazionali e le chiese, che fino all’ancien régime avevano operato in modo quasi monopolistico. E oggi, qual è la situazione? Un’indagine.
Ultimo aggiornamento: 30/07/2024 12:05:20
Il tema dell’educazione è oggi sempre più strettamente connesso, negli ordinamenti europei, a quello della laicità. Da quando, a partire dal XIX secolo in Europa, lo Stato moderno ha visto nell’istruzione un fondamentale strumento di civilizzazione e di progresso della popolazione, e nell’educazione un formidabile veicolo di affermazione dell’idea di nazione, e più tardi delle varie ideologie fiorite nel corso della modernizzazione, la questione scolastica è divenuta il principale terreno di confronto e scontro tra gli Stati nazionali e le chiese, che fino ad allora avevano operato in tale settore in modo quasi monopolistico. La Rivoluzione francese ruppe il legame, tipico dell’ancien régime, tra fede religiosa e appartenenza alla comunità politica, affermatosi come soluzione istituzionale ai conflitti religiosi e dinastici suscitati dalla Riforma protestante. Tuttavia la parità dei culti patrocinata dalla rivoluzione non aprì la strada nell’Europa continentale alla libertà di insegnamento ma all’affermazione dello Stato educatore, che si propone di forgiare l’individuo come cittadino fedele alla République. Nel pensiero di Jean-Antonie de Condorcet, uno dei padri della Rivoluzione francese, l’istruzione pubblica obbligatoria e gratuita è strettamente connessa all’idea della sua laicizzazione. Infatti uno dei suoi principali obiettivi dovrà essere l’emancipazione dell’alunno dai vincoli della religione, la quale appesantirebbe l’uomo e lo allontanerebbe dall’esclusiva fiducia nella ragione. Inoltre, nell’esperienza storica francese, segnata dalla memoria delle guerre di religione, quest’ultima rappresenta anche un elemento di turbamento dell’ordine pubblico e causa di conflitti dinastici e istituzionali che minarono la stabilità e la sicurezza dello Stato. I sistemi di istruzione pubblica nell’Europa continentale sorgono nel corso dell’Ottocento inizialmente sulla base di questo postulato di origine illuminista, che mira ad escludere la religione e la sua influenza sociale – visti come un ostacolo al pieno sviluppo dell’individuo – dal percorso di formazione del cittadino. Si pongono in questo modo le premesse per l’affermazione di un concetto di laicità di tipo ideologico che si identifica con la neutralizzazione religiosa della scuola pubblica e, più tardi, dello spazio pubblico tout court. Vi era però un equivoco in questa rappresentazione, consistente nell’identificazione della religione – che è una componente ineliminabile dell’uomo e delle culture popolari – con le chiese – che ne rappresentano invece solo la proiezione sul piano istituzionale e, come tali, sono soggette al peso della storia e talora quindi anche alle inadeguatezze e agli errori degli uomini. Ben presto quindi il modello francese, che culminerà a fine Ottocento con le leggi di completa laicizzazione dell’istruzione pubblica (1882 e 1886: soppressione dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, rimozione dei simboli religiosi e del personale religioso all’interno di essa), subirà modifiche significative in altri paesi (Germania, Austria, Italia, Spagna, Grecia, paesi scandinavi), ove non verrà mai meno la convinzione che la religione assolve un ruolo importante nel processo educativo, se non altro come fondamentale elemento dell’identità nazionale e di continuità tra l’educazione familiare e sociale e l’istruzione scolastica. Nel Novecento, con l’affermazione delle costituzioni democratiche del secondo dopoguerra e il superamento delle derive nazionalistiche, il principio di laicità si è evoluto in questi ordinamenti distaccandosi dalla sua originaria matrice ideologica e assumendo il significato di garanzia del pluralismo e della libertà religiosa. Nei paesi anglosassoni, invece, e in particolare nel Regno Unito, non si verificò mai quel processo di concentrazione di poteri assoluti nell’autorità del sovrano e le strutture educative restarono in larga parte espressione della società civile e delle autonomie locali, prima fra tutte la Chiesa anglicana. È pertanto storicamente estranea alla tradizione costituzionale inglese la nozione di laicità o laicismo, come orientamento ideologico dello Stato volto ad escludere il fattore religioso dallo spazio pubblico, quindi anche dalla scuola, ove la religione è presente in forma obbligatoria ma come insegnamento aconfessionale di tipo prevalentemente morale, oggi sostanzialmente sottratto al controllo delle chiese. La sfida alle società contemporanee Al di là delle singole specificità nazionali, oggi quasi tutti i sistemi d’istruzione e di educazione dei paesi europei, anche quelli dell’Est, stanno prendendo atto del crescente ruolo che la religione assume come fattore culturale e identitario nei processi educativi e specificamente nell’istruzione. La globalizzazione ha spinto necessariamente in questa direzione, evidenziando la necessità che i sistemi scolastici nel loro complesso tengano sempre più conto delle culture religiose, che rappresentano fondamentali strumenti di conoscenza e di reciproca comprensione tra i popoli e gli individui, e insostituibili fattori di integrazione delle popolazioni immigrate (cfr. OCSE, Toledo Guiding Principles on Teaching About Religions and Beliefs in Public Schools). Del resto appare sempre più evidente come la secolarizzazione non è un effetto automatico della modernizzazione, che sa ben svilupparsi anche in contesti culturali fortemente religiosi. In questo contesto in piena evoluzione, nel quale la questione educativa emerge come una delle principali sfide poste alle società contemporanee, il rapporto tra educazione e religione, mediato dal principio di laicità e ripensato sulla base di esso, continua a declinarsi essenzialmente nelle due forme tradizionali dell’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche e/o delle scuole confessionali, che rappresentano sempre più risposte complementari, non più separate, a una domanda di istruzione ed educazione pluralistica che però non rinuncia ad un suo radicamento in una specifica tradizione culturale. La scuola pubblica, emanazione dello Stato o degli enti locali, risponde al bisogno d’istruzione dell’intera popolazione, e si caratterizza pertanto nella maggior parte degli ordinamenti europei per essere luogo pluralistico di confronto e di dialogo tra le varie culture presenti sul territorio. L’insegnamento religioso all’interno di essa, laddove previsto, si giustifica in quanto esprime sentimenti e tradizioni diffuse nella popolazione, ma a differenza che nel passato esso, pur essendo impartito di norma da personale insegnante designato dalle rispettive comunità religiose, si caratterizza sempre più come insegnamento di tipo culturale, non catechetico, e fondato sul principio di volontarietà, nel senso che è la famiglia o l’alunno a scegliere di frequentare tale insegnamento, nel rispetto del diritto di libertà religiosa e di coscienza, abbandonando il vecchio sistema dell’obbligatorietà salvo dispensa (cfr. CEDU, sent. Hasan c. Turchia, 2007). Due sono le principali questioni che segnano questa modalità di presenza della religione nei sistemi educativi: la natura confessionale o meno di tale insegnamento e il suo carattere pluralista. Quanto al primo punto, molto si è discusso e si discute tuttora della proposta di istituire nella scuola pubblica un insegnamento laico delle religioni o di storia delle religioni, che potrebbe in tal caso assumere secondo alcuni anche carattere obbligatorio tra le altre discipline scolastiche, rispondendo all’urgenza di fornire alle nuove generazioni elementi di conoscenza fondamentali per una migliore comprensione della complessità e per un’educazione alla convivenza. A tutt’oggi prevale tuttavia la preoccupazione, ispirata al principio di laicità o di non identificazione dello Stato con la religione, di non affidare a quest’ultimo e ad insegnanti di formazione laica un simile compito per evitare un qualsiasi ritorno a forme di Stato etico. Del resto in molti paesi europei sono assenti presso le università statali facoltà o corsi di laurea in teologia, ove formare personale insegnante qualificato in materia, il che certamente non contribuisce nemmeno a rafforzare la dignità culturale dell’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche. E tale assenza è dovuta, in parte ai residui di un’arretrata mentalità laicista, in parte però anche alle resistenze insite in alcune chiese, ove talora si continua a vedere l’alta formazione teologica come prevalentemente rivolta alla formazione del personale ecclesiastico, piuttosto che a favorire in modo più aperto l’approfondimento storico-critico della dottrina di fede, che potrebbe alimentare confronti e dibattiti culturali in grado di attrarre maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica. Più avvertita, e concretamente già attuata in alcuni sistemi scolastici (Germania etc.), è invece la previsione di un insegnamento alternativo alla religione per gli studenti non avvalentisi di esso, avente per oggetto i diritti umani fondamentali o principi di un’etica laica, la cui assenza rischia di avere effetti discriminatori anche sul piano della valutazione del profitto scolastico (Italia). Significato diverso assume invece, per la sua prevista obbligatorietà, la recente introduzione in Spagna della materia di “educazione alla cittadinanza”, avente per oggetto anche l’approfondimento delle principali tematiche etiche in chiave laica, che ha suscitato molte discussioni per il rischio, paventato da molte famiglie, di un indottrinamento ideologico da parte dello Stato. In un contesto segnato da un crescente pluralismo religioso, risulta inoltre sempre più avvertita l’urgenza – e siamo al secondo aspetto – di allargare in senso pluralista questo modello, assicurando all’interno della scuola pubblica la presenza di più insegnamenti religiosi di natura confessionale, accomunati da un’impostazione di tipo culturale e fondati sul principio di volontarietà, ciò che presenterebbe il vantaggio anche di favorire all’interno delle culture religiose un confronto critico e un’interpretazione storico-evolutiva del loro patrimonio dottrinale. Questa tendenza, tuttavia, se in passato – e in alcuni Paesi anche oggi – ha scontato qualche resistenza da parte delle chiese tradizionali, sembra incontrare soprattutto l’ostilità o il disinteresse di alcune nuove comunità religiose (Islam), contrarie ad approcci all’esperienza religiosa ritenuti espressione di culture secolarizzate. Anche in questo caso è il principio di laicità, che impone una chiara distinzione tra esperienza di fede (catechesi) e approccio culturale con le relative garanzie, a informare l’evoluzione dei sistemi d’istruzione pubblica segnati dalla presenza di uno o più insegnamenti religiosi. In tal senso è emblematico anche il dibattito in corso in Germania sulla ridefinizione del ruolo delle facoltà di teologia nelle Università statali; e in termini più ampi la questione, sempre più avvertita in Europa, di una formazione teologica del personale religioso, soprattutto degli imam, in grado di dialogare con la cultura moderna, pluralista e secolarizzata. Minaccia al corpo sociale L’esperienza francese costituisce un’eccezione rispetto al prevalente modello europeo. La scuola pubblica in Francia, come noto, non è intesa come luogo del confronto pluralista e del dialogo tra le varie culture e componenti sociali, ma come sede di formazione ai valori repubblicani, cioè a quelli della tradizione nazionale, tra i quali campeggia quello della laicità, che implica nella versione francese l’esclusione della religione (di ogni fede religiosa) dalla scuola e dallo spazio pubblico. Abbiamo sopra ricordato le radici storiche e culturali fortemente radicate di questo modello di civilizzazione, che vede nella religione una minaccia alla coesione del corpo sociale e la sua presenza nella scuola pubblica come una lesione della libertà di coscienza e del principio di eguaglianza dei cittadini. Nell’ultimo decennio del secolo scorso si era sviluppato, per impulso dei governi socialisti, un interessante dibattito sfociato nella proposta, largamente condivisa, di creare spazi di approfondimento delle tematiche religiose all’interno dei programmi delle materie ordinarie di studio della scuola pubblica, soprattutto la storia, quanto meno per colmare un preoccupante e sempre più evidente vuoto culturale delle giovani generazioni. Si è inoltre costituito, anche con il concorso di fondi pubblici, un istituto di studi islamici per l’alta formazione degli imam, al fine di sottrarli all’influenza di un islam radicale diffuso in alcuni paesi arabi. Negli ultimi anni, tuttavia, l’approccio esclusivista ha riaffermato il proprio primato, portando all’approvazione, pur tra molte polemiche, di una legge (2004) che ha introdotto nelle scuole pubbliche francesi il divieto dell’uso di simboli religiosi da parte degli alunni. Si percepisce però, in larghe fasce dell’opinione pubblica d’oltralpe, e pur a fronte di un forte senso di orgoglio nazionale, la consapevolezza della inadeguatezza di un modello di scuola pubblica che rischia di perpetuare nella società francese stereotipi culturali e discriminazioni che aumentano i fenomeni di emarginazione sociale ed etnica. Né questo aspetto risulta pienamente compensato dalla presenza in Francia di un capillare sistema di scuole private confessionali finanziate con fondi pubblici in base alla legge Debré (1959), alle quali non si estende il regime di stretta laicità previsto per le scuole pubbliche. Il sistema francese, molto articolato e non privo di contraddizioni in relazione anche alla sopravvivenza di un regime concordatario nei tre dipartimenti del Reno, esprime una duplice versione del principio di laicità, in tensione tra loro: una di origine costituzionale, risalente alla Costituzione della Quinta Repubblica (1958) e fondata sulla garanzia costituzionale della libertà di insegnamento e sul sistema di finanziamento pubblico delle scuole private confessionali; l’altra di livello legislativo e radicata nelle leggi scolastiche di fine ottocento e nella legge di separazione del 1905. Una sua recezione parziale, come quella attuata negli ultimi anni dalla CEDU in materia di simboli religiosi, attenta ai soli profili della laicità della scuola pubblica senza una contestuale garanzia di effettivo pluralismo dei sistemi d’istruzione nazionali nel loro complesso (Affaire Leyla Sahin c. Turquie, 2005; Affaire Lautsi c. Italie, 2009), oltre a ledere in alcuni casi legittime e radicate tradizioni nazionali, rischia di segnare un’involuzione della libertà religiosa e di educazione in alcuni paesi. La seconda modalità di presenza della religione nei sistemi educativi europei, centrata sulla tutela dell’identità religiosa e culturale di una comunità, è quella attuata attraverso l’istituzione e la gestione di scuole private confessionali. Tipica del mondo anglosassone, questa modalità di presenza offre per alcuni il vantaggio di rispondere pienamente alle istanze di libertà religiosa e educativa delle famiglie e delle confessioni religiose: libere queste ultime di attuare un proprio progetto educativo orientato in senso confessionale, e le seconde di aderirvi o meno. Secondo altri un modello di questo tipo, soprattutto se sorretto da finanziamenti pubblici, rischierebbe però di creare un sistema di educazione separato, ispirato a valori differenti rispetto a quelli della scuola pubblica, ciò che potrebbe col tempo pregiudicare la lealtà allo Stato e la coesione nazionale. Un simile rischio non esiste negli Stati Uniti e in altri paesi anglosassoni, ove il pluralismo religioso è un dato socialmente acquisito e caratterizzante l’identità nazionale. In Europa invece, ancora nel recente passato, questo rischio è stato maggiormente avvertito per la presenza di una religione o chiesa dominante rispetto alle altre. Tuttavia oggi il panorama religioso dei singoli paesi europei è profondamente mutato. Per effetto dei flussi migratori si registra una crescita di nuove e significative comunità religiose, mentre la secolarizzazione ha determinato un sostanziale ridimensionamento della pratica dei culti tradizionali. Inoltre la caduta delle ideologie, e successivamente l’accelerazione del processo di unificazione europea, con il conseguente abbattimento delle frontiere statuali, ha ovunque eroso la compattezza delle tradizioni culturali nazionali, costringendole molto più che in passato ad aprirsi al confronto e allo scambio con altre culture e religioni. In questo nuovo contesto i sistemi d’istruzione pubblica europei, sviluppatisi attorno al primato della scuola statale, hanno progressivamente riconosciuto il ruolo degli istituti privati confessionali, introducendo forme di stretta collaborazione che mirano al pieno inserimento di quest’ultimi all’interno di più comprensivi sistemi d’istruzione nazionali. E’ quanto avvenuto anche in Italia con la legge sulla parità scolastica (2000), pur con i forti limiti sul piano dei finanziamenti pubblici e di una effettiva parità di accesso da parte delle famiglie. Ormai quasi dappertutto in Europa - anche nella Francia laica - le scuole confessionali sono parte integrante del sistema d’istruzione pubblica, a condizione che risultino in possesso di quei requisiti che ne assicurino la qualità dell’offerta formativa e la coerenza con i valori di fondo espressi dal sistema. Anche questa evoluzione dei sistemi d’istruzione risulta promossa, e diviene al tempo stesso veicolo di affermazione del principio di laicità, inteso però in un’accezione più ampia che rimanda non più agli orientamenti dello Stato-apparato e della sua classe dirigente, ma ai valori diffusi dello Stato ordinamento. Non solo gli apparati pubblici, ma anche le varie tradizioni religiose impegnate nel campo educativo sono chiamate a ripensare il loro ruolo e le loro modalità di azione all’interno di sistemi scolastici integrati, nei quali la trasmissione del sapere anche religioso si deve coniugare con il rispetto della libertà di coscienza e di religione degli alunni e con le scelte delle famiglie.
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