La sfida dell'interpretazione della tradizione islamica

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:19

Recensione di Jonathan Brown, Misquoting Muhammad. The Challenge and Choices of Interpreting the Prophet’s Legacy, Oneworld Publications, Londra 2014

 

Misquoting Muhammad.jpgUno degli aspetti più disorientanti dell’Islam sunnita, religione senza gerarchia, è la dialettica tra l’unità del suo nucleo dogmatico e la varietà delle sue interpretazioni. Jonathan Brown, professore di Civiltà Islamica alla Georgetown University, con il suo ultimo libro contribuisce a far luce sulla questione. Far luce non significa necessariamente risolvere. Come Brown scrive, «alcuni aspetti dell’Islam che sembrano oggi evidentemente problematici sono il risultato degli sforzi di rispondere ad alcune questioni talmente fondamentali da non essere mai state definitivamente risolte da nessuno. Le risposte a tali questioni non sono né giuste né sbagliate, quanto scelte tra priorità concorrenti» (p. 6). La proliferazione di interpretazioni e tendenze talvolta discordanti a partire da un unico corpo dottrinario rimane così un dato di fatto, con cui l’autore si confronta lasciandosi guidare da un maestro del passato, il grande teologo e riformatore indiano Shah Wali Allah (1703-1772) e dal suo Al-Insāf fī Bayān Asbāb al-Ikhtilāf (“Un’esposizione oggettiva delle cause della divergenza”).

Nell’itinerario che Brown compie in compagnia del suo mentore si possono distinguere tre tappe. La prima corrisponde al periodo formativo della tradizione islamica, durante il quale il significato del Corano è dischiuso dallo sforzo dei dotti, attraverso la lente della sunna di Muhammad e il ricorso alla ragione. Brown passa qui in rassegna, in maniera chiara e allo stesso tempo avvincente, le metodologie ideate dalle diverse scuole per accostarsi alla Scrittura, raccogliere e custodire la memoria dei detti e delle gesta del Profeta, e da questi ricavare norme pratiche.

La seconda tappa è il consolidamento di quello che Brown definisce, non senza ammirazione, “l’edificio dell’Islam classico” e del sistema della sharī‘a. Quest’ultima, nelle parole dell’autore, «lungi dall’essere un corpo di leggi rigido e miope, divenne un vortice di sorprendente diversità». Per questo, aggiunge Brown «l’affermazione “la Sharia dice…” è automaticamente fuorviante e ogni questione giuridica ha sempre più di una risposta» (p. 50). In questa fase i dotti dell’Islam elaborarono il loro complesso apparato epistemologico, fatto di distinzioni, nei vari passi delle Scritture, tra attestazione e indicazione, tra significato letterale e allegorico, tra linguaggio generale e specifico, di rimandi tra testo coranico e hadīth o ancora di precisazioni sul modo di decodificare un linguaggio spesso idiomatico e iperbolico. L’autore fa qui notare che tanti approcci esegetici odierni, contestuali o ermeneutici, non sono così originali come spesso si crede.

Il terzo momento è quello della frattura provocata dalla modernità, in cui il valore dell’edificio medievale è messo in discussione da quei musulmani che vivono con disagio il conflitto tra ragione moderna e ragione teologica. Le divergenze interpretative del passato, abbondantemente esemplificate da Brown, si trasformano in conflitti più radicali e apparentemente irrisolvibili. Emblematico è quello relativo all’interpretazione del versetto coranico (4,34) che, in caso di atti di disobbedienza delle mogli, suggerisce ai mariti una progressione che dall’ammonimento verbale arriva fino alla violenza fisica. Qui il dilemma è davvero insolubile, visto che non c’è compromesso possibile tra l’obbedienza alla parola di Dio e l’accomodamento con lo spirito dei tempi. Lo stesso Brown, il cui interesse per la tradizione islamica non è soltanto scientifico, lascia la questione in sospeso. Rifiuta le interpretazioni letterali del testo («non esiste una cosa come il significato letterale», p. 273), ma allo stesso tempo afferma: «Si deve accettare che un marito che usa la violenza per disciplinare la moglie non sia intrinsecamente, assolutamente o categoricamente in errore. Deve esserci un momento, un luogo o una situazione in cui ciò è permesso, altrimenti Dio non l’avrebbe consentito» (p. 288). È una posizione che può far storcere il naso ma, né fondamentalista, né modernista, essa rappresenta probabilmente la sensibilità di molti musulmani. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, Il conflitto tra ragione moderna e ragione teologica, «Oasis», anno XII, n. 23, giugno 2016, pp. 130-131.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, Il conflitto tra ragione moderna e ragione teologica, «Oasis» [online], pubblicato il 21 giugno 2016, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/il-conflitto-tra-ragione-moderna-e-ragione-teologica.

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