Tre esperti spiegano le origini e la natura della militanza estremista
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:20
Recensione di David Bénichou, Farhad Khosrokhavar, Philippe Migaux, Le jihadisme. Le comprendre pour mieux le combattre, Plon, Parigi 2015
Le jihadisme. Le comprendre pour mieux le combattre è un libro scritto a tre mani destinato a un pubblico generalista nel tentativo di offrire alcune coordinate che consentano ai cittadini europei di comprendere il fenomeno del jihadismo su tre livelli: storico, sociologico e giuridico. Philippe Migaux, esperto di sicurezza internazionale, offre una panoramica sulle origini storiche dell’ideologia jihadista, definita l’ultimo totalitarismo del XX secolo, e sul nuovo tipo di terrorismo che esso ha generato, ben diverso – tiene a precisare fin dalle prime pagine del libro – dal terrorismo rivoluzionario, che punta a cambiare radicalmente la forma di uno Stato (le Brigate Rosse nell’Italia degli anni ’70), dal terrorismo di liberazione, che reclama l’indipendenza di una parte del territorio dallo Stato (il Fronte di liberazione nazionale corso) o ancora dal terrorismo di Stato, che sostiene con mezzi illegali la diplomazia del governo (Siria, Iraq, Libia prima della guerra).
Migaux ripercorre brevemente le tappe della formazione del pensiero jihadista, dalla nascita del salafismo con Ibn Taymiyya (m. 1328) alla comparsa del wahhabismo teorizzato da Ibn ‘Abd al-Wahhāb (m. 1792) fino all’apparizione dei Fratelli musulmani in Egitto nel 1928, la cui elaborazione di un sistema globale fondato sulla religione avrebbe silenziosamente contribuito a modellare la pericolosa ideologia dello Stato Islamico. «Dio è il nostro obbiettivo, il messaggero di Dio la nostra guida, il Corano la nostra Costituzione, il jihad la nostra via […]», diceva Hassan al-Banna, fondatore della Fratellanza. Il pensiero politico di quest’ultimo, che ancora non prevedeva la lotta armata, fu successivamente radicalizzato da Sayyid Qutb il quale riattivò la nozione di jāhiliyya, l’ignoranza preislamica, applicandola alle società non islamiche o rette da governanti empi che era lecito combattere fino all’effusione del sangue, e la pratica del jihad per consentire all’Islam – spiega Migaux – di assicurarsi la leadership dell’umanità. A questo breve excursus storico segue un’utile panoramica sull’evoluzione della strategia jihadista.
Dalla dimensione storica del fenomeno si passa a quella sociologica, antropologica e psicologica con il contributo di Farhad Khosrokhavar, esperto franco-iraniano di Islam sciita ed europeo. La sua riflessione verte sul potere attrattivo che il jihad esercita tra i giovani musulmani in Europa, originando due diverse tipologie di attori: i giovani socialmente esclusi residenti nelle banlieue francesi o nei poor districts inglesi da un lato e, sempre più numerosi, gli adolescenti e i neo-convertiti della classe media. Per Khosrokhavar i giovani jihadisti europei sono attratti non tanto dall’Islam in sé, quanto da ciò che esso rappresenta: esso è diventato la «religione degli oppressi, e attrae tanto i giovani immigrati di seconda, terza o quarta generazione […] quanto i giovani convertiti della classe media, che trovano nell’Islam radicale una dimensione anti-imperialista incarnata negli anni ’70 dai movimenti di sinistra» (p. 269).
Il volume si chiude con un breve contributo di David Bénichou, giurista e vice-presidente del polo antiterrorismo del tribunale di Parigi, che affronta i risvolti giuridici del fatto jihadista, illustrando le 23 misure adottate in Francia nel 2014 per combattere le filiere siriane – rivelatesi evidentemente insufficienti alla luce degli attentati del 2015 – oltre a diverse altre questioni tra cui il cyber-terrorismo e la presa di ostaggi. Accanto a parti molto tecniche e documentate stridono però alcune considerazioni polemiche e provocatorie, che nulla aggiungono ai contenuti, ma alimentano in senso negativo la riflessione: il timore che la laïcité francese, conquistata dopo una lunga lotta di emancipazione dalla Chiesa, possa essere «svenduta alle correnti più estremiste e minoritarie dell’ultimo dei monoteismi» (p. 330). Nel complesso tuttavia il volume è uno strumento utile e di valore per il lettore non specialista che intenda approfondire un fenomeno che lo riguarda sempre più da vicino.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Chiara Pellegrino, Jihadismo: l’ultimo totalitarismo del XX secolo, «Oasis», anno XII, n. 23, giugno 2016, pp. 134-135.
Riferimento al formato digitale:
Chiara Pellegrino, Jihadismo: l’ultimo totalitarismo del XX secolo, «Oasis» [online], pubblicato il 21 giugno 2016, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/jihadismo-lultimo-totalitarismo-del-xx-secolo.