Chi sono gli alawiti? Quale percorso storico hanno affrontato dall'essere "una setta iniziatica sciita attiva in Iraq" fino a oggi?
Ultimo aggiornamento: 19/06/2024 10:25:36
Recensione di Stefan Winter, A History of the ‘Alawis. From Medieval Aleppo to the Turkish Republic, Princeton University Press, Princeton e Oxford 2016
Con lo scoppio della guerra civile siriana si è molto accresciuto l’interesse verso gli alawiti, il gruppo a cui appartiene anche il presidente Bashar al-Assad. Non sono però molti gli studi che ne presentino in modo sistematico la storia e tra di essi il lavoro di Stefan Winter spicca per completezza e rigore. Piuttosto che soffermarsi sulle caratteristiche dogmatiche del credo alawita, una forma particolare di sciismo nata nel IX secolo, l’autore traccia una storia socio-economica della comunità, costruita soprattutto a partire da documenti d’archivio ottomani. Attraverso questa molteplicità di fonti l’autore si propone di smontare «una narrativa monolitica della persecuzione» (p. 272) a cui gli alawiti sarebbero stati sottoposti lungo tutta la loro storia. Essendo questa narrativa uno dei «miti essenzialisti utilizzati da tutti i contendenti della guerra civile siriana» (p. 2), dimostrare che i rapporti degli alawiti con gli altri gruppi «sono stati caratterizzati a più riprese da accomodamenti, cooperazione e fiducia» (p. 10) assume un evidente valore politico.
Quella che è inizialmente una setta iniziatica sciita attiva in Iraq si radica ad Aleppo per opera dello studioso e predicatore al-Khasībī (m. circa 957). Nei secoli successivi si compie la lenta diffusione dell’alawismo nella montagna siriana, finché il principe-poeta al-Makzūn al-Sinjārī (m. 1240) s’impadronisce di alcuni castelli nell’entroterra di Latakia. Fu in quel momento che «gli alawiti emersero [...] come una realtà che [...] da quel momento li avrebbe definiti per il resto della storia: una “minoranza”» (p. 42).
Di questa “minoranza” Winter segue le alterne vicende durante l’età mamelucca e soprattutto ottomana. La fatwa del giurista hanbalita Ibn Taymiyya (m. 1328), che dichiarò gli alawiti come più empi di ebrei e cristiani, non può essere presa come indicativa di una “politica” mamelucca nei confronti dei gruppi settari: sul terreno infatti le cose furono molto più sfumate. Con l’impero ottomano si assiste a una tribalizzazione della comunità, accompagnata dalla nascita di un’aristocrazia fondiaria incaricata di raccogliere le imposte. Dopo l’interregno egiziano sulla Siria (1831-1841), i documenti d’archivio permettono di toccare con mano l’intensità degli sforzi messi in atto dalla Sublime Porta per accrescere il controllo sulle province. Con l’intensificarsi della presenza francese, che sfocerà nel mandato dopo la prima guerra mondiale, la comunità alawita si divide. Una parte, guidata da Sālih al-‘Alī, combatte attivamente l’invasione francese – e Winter dimostra lo stretto legame dell’insurrezione con il fronte sud kemalista – mentre un’altra parte si dichiara favorevole a uno statuto di autonomia. Un dilemma che persiste fino a oggi.
Malgrado l’amplissima documentazione, la tesi di fondo del libro sembra dimostrata solo a metà. Si può prendere ad esempio il caso del dirhemü r-rıcal, la tassa di capitazione imposta in età mamelucca e perpetuata nel primo periodo ottomano. Se da una parte il censimento voluto da Istanbul all’indomani della conquista è un documento d’importanza unica che Winter mette magistralmente a frutto per localizzare la presenza alawita nella regione, il tentativo di dimostrare la natura non-settaria del tributo non appare fino in fondo convincente. La discriminazione su base religiosa riemerge in vari momenti della storia, come testimonia l’atto di conversione al sunnismo di diversi membri della famiglia dei Banū Shamsīn nel 1817, un documento straordinario che è ancora Winter a riportare alla luce. Se è quindi vero che gli alawiti hanno mantenuto costanti rapporti con il resto della Siria, è altrettanto vero che la loro specificità religiosa ha contribuito fortemente a plasmarne il destino. E tuttavia – conclude Winter – un giorno «la guerra finirà e quando finirà, i siriani [...] dovranno scegliere a quali modelli storici guardare. [...] Il passato non è morto e non è neppure passato, come sappiamo; ed è essenziale che gli alawiti, i loro vicini e i loro concittadini, recuperino il loro» (p. 273).
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