A Roma la presenza musulmana ha avuto un’accelerazione negli ultimi 15 anni con la costruzione di 18 sale di preghiera, molte delle quali afferenti alla Jamāʻat al-tablīgh. Un’analisi delle correnti che compongono l’Islam romano
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:03:47
Abstract
Mentre nell’Italia settentrionale la presenza musulmana ha assunto forma stabile già negli anni ’80, a Roma tale consolidamento si è verificato con maggiore lentezza e ha registrato una forte accelerazione negli ultimi 15 anni, con la costruzione di 18 sale di preghiera. La maggior parte di queste ricadono sotto l’ombrello della Confederazione Islamica Italiana e della Jamāʻat al-tablīgh, rilevando una predilezione capitolina per un Islam tradizionalista e ortodosso. Tuttavia, queste non sono le uniche tendenze discorsive presenti in città. Il presente articolo si propone di analizzare le diverse correnti che costellano l’Islam romano, presentandone la storia, la complessa rete di relazioni e il tipo di religiosità proposta.
Con i suoi due milioni e mezzo di aderenti[1], l’Islam è la seconda religione in Italia. Una realtà di recente approdo, che si è inizialmente affermata soprattutto nel nord del Paese, per poi insediarsi permanentemente anche nel centro e sud Italia.
L’Islam della Capitale
Se a Milano già negli anni ’80 la presenza musulmana aveva assunto forma stabile, a Roma tale consolidamento si è prodotto con maggiore lentezza e ha raggiunto il suo culmine solo negli ultimi 15 anni, in cui si è assistito a un aumento esponenziale del numero delle moschee con l’apertura di ben 18 sale di preghiera[2]. Le ragioni di questo ritardo risultano legate sia all’andamento dei flussi migratori che alla dispersione provocata dall’assetto urbanistico della Capitale. A causa del costo degli affitti, la maggior parte delle comunità migranti si è stabilita nelle zone periferiche della città, spesso organizzandosi secondo il Paese di provenienza. Una divisione, quella su base etnico-nazionale, che caratterizza in realtà gran parte del fenomeno islamico italiano.
Tuttavia, mentre le regioni settentrionali presentano una forte connotazione arabofona, nella Capitale la nazionalità predominante è quella bangladese, che controlla il 59,5% delle moschee romane[3]. Un’altra differenza sostanziale con il nord del Paese risiede nella tipologia d’Islam che si è maggiormente sviluppata. Seguendo la classificazione proposta da Alessandra Caragiuli, è possibile affermare, semplificando, che mentre nell’Italia settentrionale prevalgono la tendenza mistica e spirituale rappresentata dalla COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana) e quella politica, simboleggiata dall’UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazione Islamiche in Italia) e dal suo legame con la galassia dei Fratelli Musulmani[4], a Roma si registrano invece una corrente maggiormente tradizionalista, portata avanti dalla Confederazione Islamica Italiana (CII), e una dimensione missionaria e pietista, che trova la sua espressione nel movimento tablīgh[5]. Quest’ultimo persegue una “re-islamizzazione dal basso” di carattere apolitico che si affianca, dunque, a “un’islamizzazione dall’alto”, promossa dall’Islam degli Stati simboleggiato dalla Grande Moschea e dalla CII.
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Questo working paper rientra nelle pubblicazioni relative al progetto L’Islam in Italia. Un’identità in formazione realizzato grazie al contributo di Fondazione Cariplo.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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