In Pakistan le minoranze sono nel mirino della strategia sanguinaria dell’estremismo sunnita. Un attacco sfrenato a ogni possibile convivenza che negli ultimi anni ha conosciuto una impressionante escalation e non ha risparmiato alcuna confessione.

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Ultimo aggiornamento: 30/07/2024 10:56:13

In Pakistan la società sta diventando meno tollerante e più sensibile agli obiettivi degli estremisti islamisti che cercano di invertire il corso del progresso economico e democratico e distruggere le fondamenta del Paese in quanto Stato multietnico e multireligioso. Fondato nel 1947 come patria per i musulmani dell’Asia meridionale dopo la fine del dominio coloniale britannico sul sub-continente indiano, l’identità del Pakistan come Repubblica islamica ha radici profonde. Il padre fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, sostenne l’idea dell’Islam come forza unificante ma non aveva previsto che il Paese avrebbe conosciuto un’evoluzione verso lo Stato teocratico. Non è ancora chiaro quale impatto potrà avere la morte di Osama Bin Laden sulle correnti estremiste interne al Pakistan. Il fatto che Bin Laden sia stato trovato in un compound di una città che ospitava un acquartieramento militare brulicante di forze di sicurezza ha sollevato nell’opinione pubblica pakistana diversi interrogativi circa la relazione dei militari con i terroristi che operavano nel Paese. Il fatto che il terrorista più ricercato del mondo abbia potuto vivere per quasi sei anni sotto il naso dell’esercito pakistano ha destato preoccupazione sia tra i pakistani che nel resto del mondo. Tra la maggior parte dei pakistani, Bin Laden non godeva di molta popolarità. È possibile che la sua morte abbia un impatto immediato piuttosto limitato sulla società, ma nel lungo periodo potrebbe indebolire i gruppi con un programma estremista nel caso in cui al-Qa‘ida dovesse spaccarsi. Ciò non toglie che il recente assassinio di due alti funzionari pakistani che stavano cercando di proteggere le minoranze religiose dall’abuso delle controverse leggi sulla blasfemia dimostra che gli islamisti estremisti si stanno rafforzando attraverso la strategia di ricorso alla violenza per imporre visioni distruttive e oscurantiste. La reazione pubblica pakistana all’omicidio del Governatore pakistano del Punjab Salman Taseer, avvenuto il 4 gennaio scorso, ha confermato che il sostegno alle ideologie estremiste in Pakistan è in crescita e sta mettendo a repentaglio le fragili istituzioni democratiche del Paese. In seguito all’omicidio di Taseer diverse centinaia di religiosi pakistani hanno sottoscritto una dichiarazione che giustificava l’omicidio e metteva in guardia i pakistani dal portare il lutto per la morte del Governatore. Quando, due mesi più tardi, il Ministro degli Affari delle Minoranze Shahbaz Bhatti è stato ucciso da due estremisti per la stessa ragione (il sostegno alla riforma delle leggi sulla blasfemia), la maggior parte degli uomini pubblici pakistani è rimasta in silenzio, temendo ritorsioni analoghe. Soccombendo a violente intimidazioni, il governo del Partito Popolare del Pakistan, guidato dal Presidente Asif Ali Zardari, ha chiesto alla parlamentare Sherry Rehman di ritirare un emendamento legislativo che proponeva modifiche alla legge sulla blasfemia. Il Primo Ministro pakistano Yousaf Raza Gilani ha dichiarato fermamente che non sarebbe stata apportata alcuna modifica alla legge sulla blasfemia. Bhatti aveva lavorato instancabilmente per portare all’attenzione pubblica i problemi delle minoranze religiose e promuovere la tolleranza. La debole risposta del governo e la mancata indignazione pubblica per gli assassini del Governatore e del Ministro incoraggeranno verosimilmente gli estremisti islamisti nel loro tentativo di soffocare la libertà di parola e di espressione politica e di estromettere i moderati dalla battaglia per l’identità del Pakistan. Anche se Taseer e Bhatti avevano semplicemente consigliato di emendare le leggi sulla blasfemia per proteggere le comunità minoritarie, la linea dura degli islamisti ha presentato questo loro sforzo come un insulto al Profeta Muhammad. L’attivista di lungo corso per i diritti umani Asma Jahangir, attuale presidente dell’Associazione degli Avvocati della Corte Suprema del Pakistan, in un editoriale apparso sulla stampa pakistana il 3 marzo [1] ha condannato la leadership politica del Pakistan per non aver preso posizione in modo risoluto contro le uccisioni extra-giudiziarie dei loro stessi leader. Facendo osservare che gli omicidi recano un «messaggio sinistro per il processo democratico», Jahangir ha anche criticato gli avvocati pakistani, «le cui basi professionali risiedono nel rispetto del principio della legalità», per aver celebrato l’omicidio a sangue freddo di Taseer. Gli attivisti per i diritti umani hanno a lungo chiesto la riforma della legge sulla blasfemia, ma il problema ha guadagnato visibilità lo scorso novembre, quando un tribunale pakistano ha condannato a morte una madre cristiana, Asia Bibi, dopo che i suoi vicini musulmani l’avevano accusata di blasfemia. Il generale Zia ul Haqq, l’ex dittatore pakistano che ha cercato di islamizzare le istituzioni del Paese durante gli anni ’80, ha inasprito la legge sulla blasfemia, rendendo la pena di morte obbligatoria per chi insulta il profeta Muhammad. Molti dotti affermano tuttavia che, per com’è attualmente concepita e per le sue disposizioni sulla pena di morte, la legge pakistana sulla blasfemia non trova alcun fondamento né nel Corano né negli hadîth (detti e fatti di Muhammad). Essi sostengono che il Corano si limita a dissuadere dal commettere il crimine di blasfemia [2]. Politica ad Alto Rischio Anche i responsabili pakistani della sicurezza sono in parte colpevoli della riduzione della tolleranza religiosa e del crescente potere degli estremisti islamici. I militari si sono affidati per lungo tempo ai gruppi islamisti violenti per raggiungere i loro obiettivi strategici, sia in Afghanistan sia in India. Storicamente, i servizi segreti del Pakistan hanno intrecciato stretti legami con i talebani afghani. Prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, il governo pakistano ha apertamente sostenuto e riconosciuto il regime talebano in Afghanistan. Anche se i funzionari pakistani possono essersi trovati in disaccordo con la rigida interpretazione dell’Islam offerta dai talebani, essi vi vedevano un’ottima opportunità per conseguire i loro obiettivi strategici nella regione. Nonostante l’impegno a rompere il legame con i talebani dopo l’invasione statunitense dell’Afghanistan nel 2001, Islamabad non è riuscita a imporsi con forza sui leader dei talebani afghani né a interromperne le attività in Pakistan. I funzionari statunitensi sono infatti venuti a conoscenza del fatto che gli agenti dei servizi segreti pakistani conservano rapporti con i leader talebani afghani e traggono beneficio dal mantenimento di buone relazioni con il gruppo, nella prospettiva che esso torni a svolgere un ruolo nella politica afghana. La politica ad alto rischio del Pakistan nei confronti dei talebani deriva dall’obiettivo di privare l’India, così come l’Iran e i paesi dell’Asia centrale, di un forte punto di appoggio in Afghanistan, e di assicurarsi un regime amico a Kabul, che si astenga dal presentare rivendicazioni territoriali sulle aree pashtun del Pakistan, lungo il confine afghano-pakistano. Oltre ai legami con i talebani afghani, il Pakistan ha sostenuto gruppi terroristici che si concentrano principalmente sull’India, come il Lashkar-e-Tayyiba (LeT), autore degli attentati a Mumbai nel 2008 in cui sono rimaste uccise circa 166 persone. Il sostegno dell’esercito alla militanza come strumento di politica estera ha rappresentato un costo notevole per la stessa stabilità interna del Pakistan. L’esempio più eclatante di quanto esso sia controproducente è stata l’ascesa del Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), un amalgama di gruppi militanti pakistani vagamente affiliati ad al-Qa‘ida e ai talebani afghani, costituitosi nel 2007, responsabile di numerosi attacchi suicidi contro le forze di sicurezza pakistane e contro i civili. Nel solo 2010 quasi 3.000 pakistani hanno perso la vita negli attacchi terroristici. Il Pakistan ha posizionato circa 147 mila militari lungo il confine con l’Afghanistan e si è impegnato in operazioni militari per sradicare i ribelli. Ma Islamabad rifiuta di reprimere in modo significativo i gruppi di militanti, che considera come punti di forza contro l’India, quando è invece chiaro che questi gruppi partecipano ad attacchi anche contro lo stato pakistano. I funzionari degli Stati Uniti hanno cercato di convincere il Pakistan che la sua duplice politica di sostegno ad alcuni terroristi e di lotta ad altri è controproducente nel garantire al Paese la propria sicurezza e stabilità. Eppure, sembra che l’attenzione militare esasperata del Pakistan nei confronti dell’India abbia interferito con la sua capacità di prendere decisioni logiche, nell’interesse di una stabilità a lungo termine. Cultura dell’Intolleranza L’ascesa dell’estremismo in Pakistan è stata agevolata anche dalle exclusionary laws [3] e dalla proliferazione di materiale che istiga all’odio verso le minoranze, nei programmi delle scuole pubbliche e private. Diversi studi hanno documentato un’ampia connessione tra madrasa (scuola religiosa islamica), educazione, propensione all’intolleranza di genere, religiosa, settaria, e violenza militante [4]. Le madrase sono diffuse in tutto il Pakistan, ma la maggior parte degli analisti ritiene che solo il 5% circa dei bambini pakistani frequenti questi seminari islamici. Un certo numero di queste scuole sono finanziate e gestite da partiti islamici pakistani, come il Jamaat-e-Ulema Islam (Jui), da espatriati pakistani e da altre entità straniere, tra cui molte aventi sede in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Se per invertire le tendenze estremiste è necessario ampliare i programmi di studio delle madrase e adeguarli ai programmi nazionali, altrettanto importante per il Pakistan è migliorare e modernizzare il settore della pubblica istruzione e correggere quei libri di testo che promuovono una cultura intollerante e militante. La discriminazione delle minoranze religiose, tra cui i cristiani, gli indù, i sikh, gli ahmadi, e gli sciiti, ha portato nel Paese a un enorme aumento della violenza religiosa e settaria negli ultimi 30 anni. L’intensificazione della violenza contro la comunità sciita (che rappresenta circa il 25% della popolazione totale del Pakistan) è stata impressionante e ha favorito la crescita del senso di caos nel Paese. In Pakistan, in seguito alla Rivoluzione iraniana, le violenze fra sunniti e sciiti sono all’ordine del giorno, ma negli ultimi anni la maggior parte degli attacchi contro la comunità sciita sono stati guidati dal Lashkar-e-Jhangvi, un’organizzazione militante sunnita ispirata e sostenuta da al-Qa‘ida. Ciò potrebbe indicare che il fenomeno settario stia assumendo una virulenza ideologica che sarà sempre più difficile da gestire. A Lahore e Karachi, a gennaio sono state uccise almeno dieci persone in attacchi contro le processioni sciite. I cristiani in Pakistan formano una piccola comunità, che costituisce meno del 2% della popolazione. La comunità cristiana ha sofferto una discriminazione sia giuridica che sociale e si sente ancora più isolata e intimorita dopo l’assassinio del Ministro Bhatti, che era l’unico ministro cristiano del Governo. Nell’agosto del 2009, le folle musulmane si sono scatenate contro i cristiani nella città di Gojra, nel Punjab, distruggendo centinaia di case e bruciando vive otto persone, tra cui donne e bambini. La folla ha reagito alle dichiarazioni (più tardi smentite), secondo le quali in città era stato profanato un Corano. Più recentemente, si sono verificati tre diversi incidenti con chiese incendiate in Pakistan, apparentemente in reazione al rogo di un Corano avvenuto in una piccola chiesa in Florida il 20 marzo. La comunità cristiana -pakistana ha condannato con forza il rogo del Corano e il suo istigatore, il Pastore Terry Jones, che il Vescovo di Islamabad ha indicato come un “fanatico” che promuove una “ideologia malata” [5] . I cristiani sono spesso gli obiettivi della legge sulla blasfemia, alla quale ricorrono eventuali avversari per risolvere a loro vantaggio affari o controversie locali. Nel 2006 ad esempio, un cristiano, Qamar David, fu condannato all’ergastolo per blasfemia dopo essere stato accusato dal rivale in affari di aver inviato degli SMS in cui insultava il Profeta Muhammad. David morì in prigione alla fine di gennaio in circostanze sospette. Un altro pakistano cristiano accusato di blasfemia, Robert Fanish, è morto mentre si trovava in stato di arresto, nel settembre 2009. Anche la comunità minoritaria ahmadi soffre gravemente a causa della crescente cultura d’intolleranza religiosa in Pakistan. La Jama‘at Ahmadiyya ha circa 10 milioni di seguaci in tutto il mondo, tra cui circa 3-4 milioni in Pakistan. Verso la fine del XIX secolo, Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908), fondatore della Jama‘at Ahmadiyya, ruppe con il secolare dogma islamico affermando di essere un profeta. Alla fine di maggio 2010, militanti armati di bombe a mano, giubbotti suicidi, e fucili d’assalto hanno attaccato due moschee ahmadi, uccidendo quasi 100 fedeli. I gruppi in difesa dei diritti umani in Pakistan hanno criticato le autorità locali per la debole risposta agli attacchi e per la mancata condanna del crescente numero di sequestri e omicidi di membri della comunità ahmadi. Anche i principali luoghi religiosi musulmani in Pakistan sono caduti preda della cultura dell’intolleranza e della violenza. In uno sforzo probabilmente volto a provocare uno scontro settario e a mostrare la debolezza del Governo nel garantire la sicurezza dei cittadini comuni, i militanti hanno compiuto attentati suicidi nei santuari sufi di tutto il Pakistan. Il 3 aprile 2011 gli attentatori hanno attaccato un santuario in una zona remota della provincia del Punjab, facendo oltre 40 vittime. Nel luglio del 2010 i terroristi hanno attaccato il santuario sufi più venerato del Pakistan, a Lahore. Il santuario, in cui è sepolto un santo sufi persiano vissuto nell’XI secolo, rappresentava il cuore della cultura musulmana della città. Picco di Giovani Non è chiaro quale impatto avrà sui partiti politici islamici la crescente ondata di divisione religiosa e di violenza. I partiti religiosi hanno ottenuto scarsi risultati nelle elezioni del 2008, raggiungendo solo il 2% dei suffragi a livello nazionale, ma continuano a influenzare il quadro giuridico e il discorso politico in modo tale da limitare le libertà personali e assoggettare le donne e le minoranze. Due recenti tentativi di assassinio contro il leader del JUI, Fazlur Rehman, uno dei maggiori sostenitori dei talebani afghani, dimostrano che anche i leader religiosi musulmani del Paese sono in pericolo. Ai primi di marzo Rehman si era dichiarato disponibile a discutere di quello che “viene percepito come un abuso” della legge sulla blasfemia, fatto che potrebbe averlo messo nel mirino dei militanti. L’incremento degli attacchi contro tutti i settori della società sta destabilizzando il Paese, scoraggiando gli investimenti esteri, inducendo un numero crescente di persone della classe medio-alta a prendere in considerazione l’idea di trasferirsi fuori dal Pakistan, e diffondendo il timore che lo Stato pakistano possa andare incontro al fallimento. Per fermare l’estremismo e arginare la violenza i leader militari e civili pakistani devono innanzitutto fare chiarezza sulla minaccia che il Paese deve affrontare e poi lanciare al pubblico un messaggio unitario contro l’ideologia estremista e la violenza. Troppo spesso i leader pakistani trovano conveniente attribuire i mali del Pakistan alle politiche americane nella regione. Se il sostegno degli Stati Uniti ai mujahidin afghani negli anni ’80 ha contribuito in qualche misura ai problemi attuali in Pakistan, Islamabad non può più ignorare il ruolo svolto dalle sue stesse politiche nel favorire i militanti. È sempre più chiaro come l’atteggiamento della leadership che blandiva i militanti e incoraggiava il jihad violento contro i vicini abbia prodotto conseguenze letali anche all’interno del Paese. Il governo del Pakistan deve dare la priorità alla questione dell’educazione dei giovani e alla riforma dei programmi scolastici, in modo che vengano insegnati i valori della tolleranza religiosa, del pluralismo e dell’educazione civica. Il Pakistan sta affrontando quello che viene definito in termini demografici un “picco di giovani” (youth bulge), ciò che rende ancora più urgente la necessità di concentrarsi sull’educazione. Le autorità civili e militari dovrebbero porre al centro del discorso sulla sicurezza nazionale del Pakistan la sicurezza interna e non la minaccia indiana. Un celebre esperto pakistano, Hasan Askari Rizvi, ha osservato in un recente articolo che «un’intera generazione, che ha frequentato scuole, college e università in Pakistan tra il 1985 e il 2005, è stata consegnata alla militanza e all’ortodossia islamica a causa delle politiche dello Stato pakistano, in particolare l’esercito e i membri dell’ISI [Inter-Services Intelligence]» [6]. Per la leadership di queste istituzioni è giunto il momento di riconoscere che più tarderanno a rivedere le politiche che incoraggiano la militanza islamica, maggiore sarà la probabilità di non avere più un Paese coeso da difendere. L’elemento più importante per ridurre l’incremento dell’intolleranza religiosa potrebbe essere la ricerca di rapporti amichevoli con l’India. La ripresa del dialogo bilaterale ufficiale con l’India offre al Pakistan l’opportunità di riformulare il rapporto con il rivale storico in modo da promuovere legami economici e personali più stretti. Una disponibilità a ripensare le relazioni tra Pakistan e India nel tentativo di rompere il circolo vizioso di sospetti e ostilità permetterebbe di ripristinare l’equilibrio nella società pakistana e metterebbe in difficoltà gli estremisti islamisti, il cui programma contro lo Stato minaccia il Pakistan più di qualsiasi altro Paese della regione.

 

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[1] Asma Jahangir, We have proved to be feeble and weak, «The Express Tribune», 3 marzo 2011, in .
[2] Blasphemy Laws and the Quran, Jinnah Institute, in .
[3] Leggi che rendono inammissibili le prove raccolte in violazione ai diritti dell’accusato (N.d.R).
[4] Lisa Curtis e Haider Mullick, Reviving Pakistan’s Pluralist Traditions to Fight Extremism, «Heritage Backgrounder» 2268 (4 maggio 2009), in .
[5] Jibran Khan, Two Christians killed, churches burned: extremists respond to Florida Koran burning, «AsiaNews.it» (28 marzo 2011) .
[6] Hasan Askari Rizvi, Reversing Pakistan’s Drift Toward Radicalism, «The German Marshall Fund of the United States Series On Pakistan» (23 febbraio 2011).

 

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