La vicenda di Abdul Rahman ha acceso i riflettori sulla Carta fondamentale afghana. Da un lato gli articoli che la avvicinano ai regimi basati su un chiaro assetto democratico; dall'altro una serie di norme che sanciscono una forte identità radicata nella giurisprudenza islamica.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:52
La vicenda di Abdul Rahman, il convertito al Cristianesimo che rischiava la pena capitale per aver abbandonato l'Islam e che ha infine trovato riparo in Italia, è emblematica del travaglio delle nuove istituzioni afgane. La scappatoia con la quale lo Stato afgano ha chiuso il processo cedendo sostanzialmente alle pressioni internazionali dichiarando il convertito non punibile perché incapace ha eluso la questione, senza chiarire come uno Stato, rinato sotto l'osservazione delle Nazioni Unite e dopo un'impegnativa operazione militare che ha rovesciato la dittatura dei Talebani, abbia potuto perseguire un proprio cittadino per un reato attinente alla coscienza individuale. La nuova Costituzione afgana del 2004, stando al caso Abdul Rahman, sembrerebbe non avere segnato una profonda discontinuità con il regime islamista. In realtà, la vicenda pare semplicemente aver fatto emergere alcuni nodi irrisolti nel nuovo sistema costituzionale del Paese. Le fasi attraverso le quali è passato il processo costituente afgano hanno ovviamente tenuto conto della sensibilità popolare e delle attitudini sociali. La Constitutional Commission, incaricata di stendere la bozza finale del documento, infine sottoposta alla Loya Jirga, antico organo della prevalente tradizione pashtun, ha tentato di coinvolgere la popolazione nella fase costituente, procedendo ad audizioni nelle quali gli afgani sono stati invitati a esprimere il proprio parere sul futuro del Paese e delle istituzioni. Proprio sondando le aspettative della società civile è emersa la priorità di dare un carattere evidentemente confessionale alle istituzioni e all'ordinamento. Sebbene uscisse da anni di dittatura teocratica, il Paese ha evidenziato un profondo attaccamento alla tradizione islamica. Il legame con l'Islam non è del resto una stranezza, sia per le vicende storiche, che datano l'islamizzazione della regione a un'epoca risalente, sia per i più recenti accadimenti. Infatti, la modernità non ha spezzato il legame del popolo afgano con l'Islam, anzi, se possibile, lo ha rinforzato. Questo innanzitutto grazie alla guerra con la quale l'Afghanistan si è liberato del giogo sovietico, che ha assunto caratteri religiosi. Infatti, l'«occupazione stimolò i diversi leader e movimenti tribali e religiosi dell'Afghanistan a lanciare un Jihad popolare. La società tribale afgana presentava una unità fragile contrapposta a una realtà sociale tribale multietnica comprendente Pashtun, Uzbeki, Tagiki e Azeri divisi, dal punto di vista religioso, in una maggioranza musulmana sunnita e una minoranza di musulmani sciiti. L'occupazione sovietica, comunque, fornì una missione e un nemico comune. L'appello al Jihad offrì una identità religiosa islamica e una fonte di ispirazione comuni»1. La chiamata alla guerra santa non contribuì solo a galvanizzare gli animi, ma condusse nella regione risorse e addirittura uomini provenienti dal mondo arabo, disposti a combattere per scacciare gli occupanti. L'esperienza della guerra di liberazione cementò dunque, insieme a un senso di appartenenza nazionale, anche il ruolo centrale della religione islamica nel contenere identità tribali profondamente divise. Non è dunque incomprensibile che la medesima Costituzione del 2004, nel preambolo iniziale, menzioni espressamente il «giusto Jihad» compiuto anni prima, quale elemento fondante dell'identità afgana: l'Islam, giunto secoli fa nel Paese, è tuttora percepito quale fattore essenziale di ricostruzione dello Stato. Sebbene il varo della nuova Costituzione abbia ricevuto il plauso della comunità internazionale, quale strumento per affermare nel Paese alcuni principi dello Stato costituzionale, l'analisi del testo va affrontata con l'avvertenza che i suoi effetti sulla vita concreta non sono affatto scontati, poiché «nella tradizione politica corrente della regione la promulgazione dei principi politici [è] il surrogato della loro attuazione, non il mezzo per conseguirla»2. Il Peso delle Interpretazioni Dal punto di vista dei principi e dei diritti fondamentali sanciti nel testo, la Costituzione vive un'accentuata ambivalenza. Accanto a pronunciamenti in linea con gli standard democratici dei Paesi moderni, rimane per certi versi profondamente ancorata alla tradizione islamica, che offre un differente panorama di libertà e principi giuridici. La compresenza di tali elementi alcuni dei quali trainano verso la modernizzazione di stampo occidentale, altri verso i regimi islamici più classici offre l'impressione di una giustapposizione irrisolta, che può dar luogo a differenti letture, con ben diverse implicazioni. A seconda della interpretazione che si voglia dare delle varie direttrici lungo le quali si snoda la Costituzione, il risultato in termini di protezione dei diritti e di applicazione di elementari principi costituzionali può cambiare profondamente. A leggere alcuni articoli in particolare della Carta costituzionale afgana, pare di trovarsi di fronte ad un prodotto moderno e coerente con le istanze proprie dei regimi di solida tradizione democratica. L'art. 22, ad esempio, vieta qualsiasi discriminazione tra i cittadini, i quali, a prescindere dal sesso, hanno uguali diritti e doveri di fronte alla legge. L'art. 66 prevede un'analoga tutela del principio di uguaglianza, stabilendo che il Presidente della Repubblica afgana non possa agire in base a considerazioni etniche o religiose. Infine, costituiscono egualmente un'applicazione del principio di uguaglianza le previsioni costituzionali che attribuiscono alle donne un significativo numero di seggi in Parlamento (artt. 83 e 84 Cost.). Va inoltre menzionato l'art. 7 Cost., il quale impone allo Stato l'osservanza della Carta delle Nazioni Unite, dei trattati e delle convenzioni internazionali dei quali l'Afghanistan è parte, e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Si tratta di un'affermazione importante, che aggancia il diritto afgano agli standard internazionali di protezione dei diritti umani. È uno strumento non inconsueto, che già altre neonate democrazie, di solito uscenti da periodi di dittatura, hanno utilizzato: vincolando il proprio ordinamento ai più moderni strumenti internazionali di tutela, intendono generalmente impedire che forze antidemocratiche possano intervenire sul diritto interno comprimendo le libertà fondamentali3. In sé, gli articoli brevemente menzionati sembrano segnare il superamento di alcune posizioni diffuse in seno alla tradizione giuridica islamica. Questa infatti non applica pienamente il principio di uguaglianza, poiché riconosce quale unico soggetto pleno iure il maschio musulmano4; tale fondamentale differenziazione genera diversità di status sia all'interno della comunità islamica tra uomini e donne, sia tra i musulmani e i non musulmani. Il superamento dell'eredità giuridica musulmana, almeno nelle sue componenti più tradizionaliste, viene al contrario posto in discussione in altri articoli costituzionali. Ve ne sono alcuni che sembrano semplicemente dichiarare la preminenza della religione musulmana nella vita sociale e istituzionale. In questo senso si può annoverare la qualificazione in senso islamico della Repubblica afgana (art. 1), l'affermazione che religione ufficiale dello Stato è l'Islam (art. 2), o persino la previsione che il capo dello Stato debba essere un musulmano (art. 62). Sebbene soprattutto quest'ultima previsione comporti un'evidente discriminazione ai danni dei non musulmani e una limitazione della libertà religiosa del Presidente della Repubblica, il quale mentre è in carica non può conseguentemente convertirsi ad altra religione tutti questi casi sono riconducibili alla necessità di facilitare l'identificazione dei cittadini afgani, per la stragrande maggioranza islamici5, con le istituzioni attraverso l'elemento religioso, che effettivamente può catalizzare il legame tra il popolo e l'apparato statale. Tuttavia, altri elementi sembrano puntare più decisamente ad inserire il nuovo ordinamento nel solco delle istituzioni musulmane; in primo luogo l'art. 3 afferma che «in Afghanistan nessuna legge può essere contraria al credo e alle norme della sacra religione dell'Islam». Accanto a questa affermazione, già altamente espressiva della penetrazione dell'elemento religioso all'interno dell'ordinamento, se ne possono annoverare altre come il divieto per i programmi politici di contraddire i principi islamici (art. 35), la previsione che l'istruzione nazionale si basi anche sui precetti islamici (art. 45), il giuramento dei ministri di appoggiare l'Islam (art. 74) o la possibilità che i membri della Corte Suprema afgana siano scelti tra esperti di giurisprudenza islamica (art. 118). È soprattutto la prima norma accennata, che vieta leggi in contrasto con il credo e le norme islamiche, a concretizzare l'antinomia più evidente nel contesto costituzionale. Infatti, la Costituzione da un lato persegue l'eguaglianza tra tutti i cittadini, dall'altro sembra porre paletti importanti all'applicazione di principi come l'uguaglianza, visto che il diritto musulmano prevede distinti status in base al sesso e alla religione. Proprio l'interpretazione da dare all'art. 3 è l'elemento che può spingere il nuovo ordinamento costituzionale all'evoluzione in senso moderno o islamico. Se dovesse prevalere una lettura tradizionalista del diritto musulmano, le "norme" cui fa riferimento tale articolo sarebbero quelle invalse da secoli nell'ambiente islamico e che tuttora resistono ai tentativi di svecchiarle. In questo modo, ad esempio, l'art. 2, che riconosce ai non musulmani il diritto di praticare la propria religione, subirebbe un'interpretazione restrittiva: poiché la tradizione islamica punisce la conversione dall'Islam ad altri credi, risulterebbe possibile introdurre una legge che sanzioni l'apostasia, o persino, utilizzando altre norme ausiliarie contenute nella Costituzione6, applicare tale disposizione traendola direttamente dal diritto musulmano classico (come sembra sia accaduto nel caso di Abdul Rahman7). Al contrario, qualora si desse prevalenza ai principi contenuti nei documenti internazionali cui accenna la medesima Costituzione, allora sarebbe più probabile l'allineamento dell'Afghanistan a standard internazionali di protezione dei diritti umani. Naturalmente, questo costringerebbe gli interpreti a selezionare dalla vasta tradizione giuridica islamica solo i precetti in accordo con tale sensibilità moderna, per abbandonare quelli che si oppongono più fortemente ai contenuti delle dichiarazioni internazionali, dei trattati e delle carte di cui la Costituzione assicura il rispetto. Il caso Abdul Rahman può dunque essere letto come la prevalenza della tradizione islamica sugli elementi modernizzanti dell'ordinamento costituzionale afgano e in questo senso pesa anche la previsione che tra i giudici della Corte Suprema possano sedere esperti di giurisprudenza islamica. Una lettura meno radicale degli eventi potrebbe invece, più semplicemente, portare a concludere che non sempre quanto è scritto nelle Costituzioni riceve sicura applicazione, ma abbisogna di una sensibilità giuridica diffusa, che appare per molti versi di là da venire. --------------------- 1. John L. Esposito, Guerra santa? Il terrore nel nome dell'Islam, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 10. 2. Bernard Lewis, La costruzione del Medio Oriente, Laterza,Roma-Bari 2003, p. 118. 3. Si ritrova ad esempio un'analogia nell'art. 10, comma secondo, della Costituzione spagnola. Si veda Stefano Ceccanti, Una libertà comparata. Libertà religiosa, fondamentalismi e società multietniche, Il Mulino, Bologna 2001, p. 41. 4. Per maggiori precisazioni si veda Castro, Diritto musulmano e dei Paesi musulmani (voce), in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma 1989, vol. XI, p. 10. 5. Secondo l'International Religious Freedom Report 2006 del Dipartimento di Stato Americano, alla voce Afghanistan, i musulmani sunniti sono l'80%, mentre gli sciiti il 19%: in tutto, ammontano al 99% della popolazione. 6. L'art. 130 consente, in mancanza di disposizioni espresse, di applicare il diritto musulmano sunnita classico. 7. Fonte: International Religious Freedom Report 2006 del Dipartimento di Stato Americano, alla voce Afghanistan.