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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:06

Se si fa tabula rasa delle reazioni, più o meno spontanee, suscitate dal discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, ci si trova di fronte a una novità alquanto significativa in certe élites musulmane. Ad alcuni passi della conferenza del Santo Padre sono state date numerose risposte ponderate e soprattutto razionali. È la prova che il mondo musulmano, contrariamente ai pregiudizi di molti osservatori, non è avviato ad affondare definitivamente nel disordine e nell'integralismo. Nel nostro studio seguiremo questa stessa linea, che è propria della Rivelazione coranica e della tradizione del Profeta. Infatti il progresso dell'apostolato di Muhammad, all'epoca dell'Islam primitivo e di fronte a un paganesimo arabo impregnato di determinismo, risulta, in gran parte, da questa facoltà di discernimento tra il bene e il male, il vero e il falso, e persino tra il bello e il brutto. Essere credenti, secondo il Libro rivelato, è, prima di tutto, dare prova di un buon senso, scevro da ogni alienazione dannosa alla comprensione innata della fitra, la natura umana. Così la fede è all'origine di una liberazione che permette ad ognuno di ritrovare la perfezione originale. Da questa visione ottimistica sulla natura umana deriva l'idea, sostenuta dal Corano e dalla Tradizione profetica, che uno sguardo nuovo, che sondi l'universo e ne legga con giudizio i segni, consolida la fede: «E in verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi del giorno e della notte vi sono segni per quei che han sano intelletto». (Corano, La famiglia di 'Imrân 3,190). Credere (âmana) indica, nel lessico coranico, una liberazione della coscienza individuale: «Drizza quindi il tuo volto alla vera Religione, in purità di fede, Natura prima in cui Dio ha naturato gli uomini. Nessun mutamento patisce la Creazione di Dio: quella è la Religione retta» (Corano, I Romani 30,30). La liberazione è duplice: essa concerne tanto la vita intellettuale e spirituale, purificata da ogni angoscia esistenziale, che la vita comunitaria nelle sue varianti culturali, sociali e politiche. L'esistenza del fondatore dell'Islam ne è la prova. La sua opera ha trasformato quella dei membri della sua tribù e dei suoi adepti. La fede, dono divino, interpella la ragione umana, l'arricchisce e fa del credente il centro della vita. Ne deriva una complementarietà tra fede e ragione. Ne deriva anche che la trascendenza nell'Islam è compatibile con l'immanenza di Dio. Risposta alla chiamata Questa specificità è all'opera dai primi versetti del Corano fino alla rivelazione tarda dell'epoca di Medina. I primi versetti, in materia, sono illuminanti: «Grida in nome del tuo Signore, che ha creato, ha creato l'uomo da un grumo di sangue! Grida! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato l'uso del calamo, ha insegnato all'uomo ciò che non sapeva. Ma no! L'uomo prevarica appena crede d'esser ricco. Ma al tuo Signore tu finirai per tornare» (Corano, Il grumo di sangue 96,1-5). In questi versetti della prima rivelazione, risiede, come afferma così bene Jacques Berque, l'ipotesi iniziale, quella che dà l'impulso a tutto il resto della rivelazione. L'asse centrale è qui formato dall'incontro dell'uomo con l'Eterno. Ne discendono la finalità dell'uomo, il perché di questo incontro e il pericolo che la minaccia. L'originalità dell'incontro sta nel qualificativo attribuito al Signore. Egli è accompagnato dall'aggettivo possessivo «tuo»: tuo Signore, Rabbu-ka. Questo avvicinamento che rasenta l'intimità, presente nella prima sura, continua nelle seguenti. La cronologia del primo periodo meccano mostra che questa formula si prolunga e si amplifica. Gli esegeti tradizionali hanno voluto vedervi il segno psicologico del sostegno di Dio al Profeta, ma questa interpretazione resta parziale, perché la lettura delle sure di questo periodo rivela l'attribuzione innumerevole e non esclusiva di questa formulazione a Muhammad. Il termine Rabb viene posto in relazione ad altri nomi: «Questo è un avvertimento: or chi lo vuole, prenda verso il suo Signore la Via» (Corano, L'Avvolto nel Manto 73,19); stesso impiego nella sura 100 versetto 6: «In verità l'uomo è ingrato verso il suo Signore». Lo stesso si può dire per le sure 91, 1, 81, 113 e 114. In questi esempi, il termine (Rabb) abbraccia gli uomini, l'Oriente, l'Occidente e il Tempio. Non è più soltanto questione di sostegno al Profeta. La Sura dei Negatori (109) rappresenta bene questo cammino. Vi si legge: «O Negatori! Io non adoro quel che voi adorate, né voi adorate quel che io adoro; [...] voi avete la vostra religione, io la mia». La rivelazione aspirava a fare del termine Rabb una parola pregnante, che cristallizzi in un punto luminoso il rapporto tra trascendenza e immanenza, tra l'Eterno e l'Umano. Nelle prime trenta sure, essa gli conferisce un doppio significato: uno spirituale e l'altro teologico. Spirituale, in quanto avvicina il sacro all'uomo, a livello materiale e affettivo. Teologico, in quanto consacra Dio Signore degli uomini, dei cieli e delle terre, e di conseguenza Maestoso, Onnipresente e soprattutto Unico. Si tratta di una rottura con il sacro come lo viveva l'Arabia pagana, che adorava le sue divinità, poi le abbandonava o le faceva a pezzi. Questa rottura darà al termine Rabb sinonimi come Allâh e Ilâh, ai quali gli arabi pagani sono abbastanza familiarizzati, con un vasto apparato esplicativo, che, in un contesto nuovo, assicura il primato a questa parola. In questo quadro si opera un cambiamento del sacro, di cui il versetto 6 della sura dei Negatori è l'illustrazione: «Voi avete la vostra religione, io la mia». Stabilendosi dopo numerose prove a Medina, la prima comunità musulmana acquista una forza e un'adesione incontestabile. Ma questo non ebbe alcun impatto sulla primitiva concezione della fede nell'Islam e del suo rapporto con la ragione e la libertà. Il Versetto 256 della sura seconda, La Vacca, conferma questa continuità, secondo la quale la conoscenza di Dio nell'Islam passa per una riscoperta di sé e un ritorno alla purezza originale: «Non vi sia costrizione nella Fede: la retta via ben si distingue dall'errore, e chi rifiuta Tâghût [i demoni] e crede in Dio s'è afferrato all'impugnatura saldissima che mai si può spezzare, e Dio ascolta e conosce». Secondo la tradizione musulmana, questo versetto fu rivelato quando alcuni musulmani di Medina vollero, sotto coercizione, convertire all'Islam i loro propri figli, nati ebrei o cristiani. Esso è stato rivelato per riprovare ogni sorta di violenza inflitta a chiunque per indurlo ad adottare una fede, fosse pure l'Islam, perché la fede è indissociabile dal libero arbitrio. Tra fede e libertà, il legame è consustanziale, così come tra religione e discernimento. Credere è anche contare sulla saggezza dell'uomo che è generata dal soffio divino e che è presente in ogni creatura umana. Questa saggezza può veramente irraggiarsi solo se ognuno ravviva l'impegno personale di una fede che è anche una risposta libera alla chiamata di Dio. L'alleanza tra conoscenza naturale e libertà umana, alla quale solo esseri liberi possono aderire, si incarna in un patto originale (mîthâq) tra il Creatore e la sua creatura. In un celebre versetto il Corano presenta, faccia a faccia, Dio in tutta la sua maestà e l'umanità intera, per svelarci tutti i risvolti della fede: «E quando il tuo Signore trasse dai lombi dei figli d'Adamo tutti i loro discendenti e li fece testimoniare contro se stessi: "Non sono Io, chiese, il vostro Signore?". Ed essi risposero: "Sì, l'attestiamo!"» (Corano, Il Limbo 7,172). Sacralità e progresso umano Per meglio penetrare il carattere innato del discernimento della fede che fonda l'Islam, il Corano, di converso, ci invita a chinarci sullo spirito del miscredente. Per il Corano essere infedele è distogliersi volontariamente da questa lucidità interiore e spontanea, è sottrarsi alla retta ragione. Una tale ostinazione, contraria alla ragione e al buon senso, è dipinta con i più cupi colori; dicono i miscredenti: «O Dio! Se questa è proprio verità che viene da Te, fa piovere su di noi una pioggia di pietre dal cielo» (Corano, Il Bottino 8,32). Aggiungiamo a ciò che se i "germi" della fede e della ragione sono inerenti alla natura umana, la questione si pone allora a livello del legame tra fede e ragione in seno alla Rivelazione. Per chiarire questo interrogativo, è importante sottolineare che esso sfiora nel Corano un aspetto antropologico generalmente occultato. Segnaliamo innanzitutto che, sui circa seimilatrecento versetti che compongono il testo coranico, la radice 'amn, da cui è derivato l'îmân, l'infinito di âmana (credere, avere fede in…) è attestata 924 volte. Ciò sta a dire l'importanza del tema della fede che, per la sua frequenza, si impone come il secondo argomento, dopo la questione della divinità. Dio stesso è chiamato al-mu'min o colui che provvede alla sicurezza e mette al riparo, da cui amn, lo stato di colui che non prova alcun timore. Così l'Uno, che è assolutamente trascendente, ossia indipendente dal mondo, è anche immanente, poiché attraverso uno dei suoi attributi, al-mu'min, induce l'idea di sicurezza e di fiducia per l'uomo. Un versetto è molto significativo a questo riguardo: «Siamo a lui (all'uomo) più vicini che la vena grande del collo» (Corano, Sura del Qâf 50,16). Questo ci porta a precisare che il Corano stabilisce la desacralizzazione del mondo, come nel Giudaismo e nel Cristianesimo. Dal punto di vista storico, l'Islam rappresenta una rottura col paganesimo nella sua percezione del Sacro. In ragione dell'unicità, che abolisce il politeismo, il sacro si ritira dall'universo: «A Dio appartiene il Regno dei cieli e della terra, Egli crea quel che vuole» (Corano, La consultazione 42,49). Inoltre, Dio si manifesta nella storia e nell'uomo. Ne risulta che l'universo non è bloccato in norme immutabili, poiché Dio «aggiunge al Creato ciò ch'Ei vuole ed […] è su tutte le cose potente» (Corano, Il Creatore 35,1). Questa vicinanza operosa è sottolineata a più riprese: «Ogni giorno Ei lavora ad opera nuova» (Corano, Il Misericordioso 55,29). Ciò concerne ogni creatura ma soprattutto l'uomo: «O uomo! Tu che tanto pieno di desiderio ti protendi verso il Signore, ebbene, allora, Lo incontrerai» (Corano, Lo spaccarsi del cielo 84,6). Tale concezione attinge tutta la sua forza nella Rivelazione. Essa conferma che Dio, pur trascendendo l'intelligibile, per rivelarsi, essere compreso e amato, ricorre a categorie. Presente attraverso la Fitra Bisogna dire che l'Islam e il Cristianesimo divergono nella loro rispettiva Rivelazione. Se per l'uno Dio si è rivelato attraverso la sua Parola in Gesù Cristo, per l'altro Egli si è anche rivelato attraverso la sua Parola che i musulmani riconoscono nel Corano. Parola propria di Dio, nel suo senso e nella sua letteralità. Poiché si è rivelato in una lingua - l'arabo -, Egli garantisce di conseguenza la ragione umana. Presente nell'uomo incarnato attraverso la Fitra, nessuno è in grado d'eguagliarlo. Ciò non toglie che noi portiamo i Suoi concetti secondo la Sua volontà ed Egli ha voluto che noi li portiamo per essere provati. Così la ragione umana e le sue categorie positive costituiscono il pegno dell'autenticità del messaggio divino, autenticità che, nell'Islam, non coincide più con una fedeltà cieca alla legge rivelata, ma si compie negli sforzi profusi dalla comunità umana, al fine di reincarnare i valori fondamentali della fede sulla base di una ragione attiva. Se si considera il profeta Muhammad come un testimone interpretativo che ha trasformato il testo sacro in un breviario, i musulmani devono mettere i loro passi nei suoi. Vi riusciranno se conferiranno alla loro fede e alla rivelazione un senso storico, e dunque plurale. Si vede allora emergere un'autenticità innovatrice, che rinnova una fede garantita dal nostro intelletto: esso discende dalla volontà divina, senza peraltro inglobarla. Il Testo rivelato diviene il marchio dell'unanimità e il focolare di un'attività intellettuale rinnovata. L'espressione "Testo fondatore" parte dall'idea che il rinnovamento è subordinato al messaggio coranico e che esso è tuttavia possibile solo se il testo è fecondato dall'evoluzione delle scienze e della storia. Il Corano non trae la sua sacralità solo dalla fonte da cui proviene e dall'attitudine ad arricchire i musulmani sul piano umano e culturale, ma anche dalla propensione della comunità musulmana ad attualizzarlo. Quel che gli assicura la sua sacralità e attualità è il fatto di essere legato allo spirito umano, di essere ciò che costituisce l'orizzonte e la cultura dell'individuo o, per riprendere una nota espressione, di essere pertinente a ogni epoca e a ogni luogo. La storia del pensiero musulmano, che si è sviluppata nel corso dei secoli a contatto con la filosofia greca, è la prova eclatante della considerazione che l'Islam ebbe per la ragione. L'esempio di al-Farâbî, di Avicenna, di Averroè e di Ibn Khaldûn sta ad attestare l'affermazione della volontà divina attraverso il coronamento delle facoltà intellettuali dell'uomo, poste al servizio della ricerca del senso.

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