La diaspora dei cristiani / 2
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:16
Dai maroniti ai greco-cattolici, dagli assiri agli armeni, il fenomeno dell’emigrazione data da tempo, non risparmia nessuno ed è impressionante. Lo attestano i numeri parziali e la continua moltiplicazione di circoscrizioni ecclesiali e luoghi di culto in Europa e nelle Americhe. Per molti riti ci sono ormai più fedeli all’estero che nelle terre d’origine.
Greco-cattolici come John Sununu o Amine Maalouf, maroniti come Carlos Slim Helù e Salma Hayek, protestanti come Edward Said, copti come Onsi Sawiris, siro-ortodossi come Paul Anka, armeni come Charles Aznavour e Henri Verneuil. I cristiani orientali noti in Occidente non si possono più contare. C’è chi ha fatto carriera in politica, chi nell’arte o in letteratura e chi – ovviamente – nel business. Tuttavia l’emigrazione dei cristiani dalla terra d’Oriente non è mai stata motivata innanzitutto dalla ricerca del successo, ma dalla volontà di sfuggire a condizioni di vita diventate insopportabili nella propria terra. Lo dimostra la primissima ondata migratoria dei cosiddetti turcos in America Latina alla fine dell’Ottocento, quella di armeni e siriaci negli anni Venti, quella degli assiri negli anni Trenta, quella dei palestinesi negli anni Cinquanta e Sessanta, quella dei libanesi dagli anni Settanta in poi e quella attuale degli iracheni. Verrebbe da domandarsi: le Chiese orientali sono ancora “orientali”? Dalle statistiche pubblicate da Jean-Pierre Valognes risulta che il peso della “diaspora” rappresentava, già 15 anni fa, buona parte degli effettivi di molte Chiese d’Oriente: il 57% della Chiesa maronita, il 53% delle Chiese siro-ortodossa e greco-cattolica, il 35% delle Chiese greco-ortodossa e siro-cattolica. Percentuali che vanno ora sicuramente maggiorate. Oggi la Chiesa assira conta appena 100 mila fedeli in Iraq e Siria contro circa 150 mila sparsi tra Europa, Australia e America, dove risiede il suo catholicos sin dal 1933. Lo stesso vale per la Chiesa armena che conta 485 mila fedeli in Medio Oriente (Armenia esclusa) e oltre un milione e 200 mila in Occidente. La quantificazione dell’emigrazione orientale cristiana – di cui tutti ammettono la consistenza – rimane un’operazione assai complessa. L’esempio degli Stati Uniti può essere indicativo: nel censimento decennale statunitense del 2000, poco più di un milione e 200 mila americani hanno dichiarato d’avere origini arabe, ma l’Arab American Institute mette in discussione questo numero e lo moltiplica per tre. Secondo la fondazione – diretta dall’arabo cristiano James Zogby – gli arabo-americani sarebbero al 63% cristiani: il 35% cattolici dei diversi riti, il 18% ortodossi o precalcedoniani e il 10% protestanti. Il 24% degli arabo-americani sarebbero invece musulmani, mentre il 13% non ha dichiarato alcuna affiliazione religiosa. Vale a dire che gli arabo-cristiani sono 2 milioni e 268 mila cui andrebbero aggiunti 385.488 armeni. Considerando invece le statistiche statunitensi relative agli immigrati provenienti dall’area che va dal Marocco al Bangladesh, si nota che i cristiani sono passati, tra il 1970 al 2000, da 163 mila a 397 mila unità. Anzi, se dalle statistiche escludessimo gli immigrati non arabi (dove peraltro la presenza cristiana è assai ridotta) faremmo presto a constatare che i cristiani rappresentano il 68% cento del totale degli immigrati arabi (584 mila). Al di là dei numeri, la continua emigrazione dei cristiani è attestata dalla moltiplicazione delle circoscrizioni ecclesiali e dei luoghi di culto di rito orientale in Occidente. La Chiesa maronita conta fedeli quasi in ogni singolo Stato degli USA, dove peraltro la Diocesi maronita è stata divisa nel 1994 in due: Saint Maron of Brooklyn (che copre i 17 Stati della costa orientale, 39 parrocchie) e Our Lady of Lebanon of Los Angeles (gli altri Stati, 40 parrocchie). Nel Canada, la Diocesi Saint-Maron de Montréal conta 80 mila fedeli distribuiti in 14 parrocchie, mentre quella di Saint Maron of Sydney ha superato le 160 mila unità (9 parrocchie). Ma il “bacino storico” dei maroniti rimane l’America Latina. La Diocesi di Nossa Senhora do Libano em São Paulo raccoglie 468.000 fedeli, quella di San Charbel en Buenos Aires, creata nel 1990, 700 mila fedeli, e Nuestra Señora de los Mártires del Líbano en México, nata nel 1995, 150 mila fedeli, mentre un visitatore apostolico si occupa di seguire le numerose comunità maronite presenti in Europa (principalmente in Francia, ma anche in Germania, Belgio, Italia, Regno Unito, Svizzera e Austria). Anche la Chiesa greco-cattolica moltiplica le struttura nella diaspora. Dal 1984 esiste la Diocesi Saint-Sauveur de Montréal che raccoglie circa 43 mila fedeli melchiti distribuiti tra Montreal (4 parrocchie), Ottawa, Quebec, Toronto e Vancouver. Negli USA la Diocesi Our Lady of the Annunciation in Boston (detta anche di Newton) conta 27.000 fedeli distribuiti in 35 parrocchie. Anche per questa Chiesa l’America Latina rappresenta una storica terra d’emigrazione. La Diocesi Nossa Senhora do Paraíso em São Paulo registra 418 mila fedeli, ma è evidente che il numero comprende anche i primi immigrati. Statistiche più realistiche parlano infatti di 1.200 famiglie melchite a San Paolo, 250 a Rio de Janeiro, 200 a Fortaleza, e altre a Juiz de Fora. In Argentina è nato nel 2002 un Esarcato apostolico. I primi melchiti arrivarono in questo Paese alla fine dell’Ottocento e l’emigrazione s’intensificò tra il 1910 e il 1930. Oggi si parla di 100 mila fedeli, in maggioranza di origine siriana e libanese e concentrati per buona metà nella città di Córdoba, dove nel 1905 è sorta la prima chiesa melchita del Paese. Nel Messico è operativa la Diocesi Nuestra Señora del Paraíso en México, con circa 5 mila fedeli; nel Venezuela un esarcato apostolico assiste 25.000 fedeli, mentre la Diocesi Saint Michael’s of Sydney assiste i 45 mila fedeli residenti in Australia e, dal 1999, nella Nuova Zelanda. Un visitatore apostolico si cura invece delle comunità melchite presenti in Europa, dove peraltro sono nate 5 parrocchie, di cui una ha sede a Parigi, una Roma e una a Bruxelles. Nelle stesse aree sono presenti fedeli della Chiesa greco-ortodossa. Al Patriarcato di Antiochia fanno riferimento le Arcidiocesi di Newton-Stati Uniti, Canada, Brasile, Venezuela, Australia e anche l’Esarcato apostolico in Argentina dove la prima chiesa ortodossa è stata costruita nel 1914 a Santiago del Estero. La presenza arabo-ortodossa nel Nord America è stimata attorno alle 350 mila unità, mentre è in forte crescita in Oceania dove si contano una trentina di luoghi di culto ortodossi di rito antiocheno. A queste strutture ricorrono, ove possibile, anche i fedeli di origine palestinese del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, assai numerosi in America Latina, soprattutto in Cile, El Salvador e Honduras. Più euro-orientata appare invece la struttura ecclesiale della Chiesa siro-ortodossa. Già nel 1979 era nata una mega-diocesi comprendente tutta l’Europa centrale. Nel corso del suo ministero, durato fino al 2005, il Metropolita Mar Iulius Yesh Çiçek avrebbe inaugurato ben 51 chiese e 3 monasteri in questa diocesi, contribuendo anche alla diffusione del patrimonio siriaco grazie alla casa editrice Bar Hebraeus. Il continuo arrivo di fedeli siriaci dai territori turchi e arabi ha successivamente portato alla divisione del vasto territorio in più diocesi. In Europa esistono oggi diocesi per la numerosa comunità della Svezia (conta una cinquantina di sacerdoti), Germania (circa 70 mila siro-ortodossi in 51 parrocchie), Paesi Bassi (12 parrocchie e un monastero dedicato a S. Efrem a Hengelo), Belgio (6 parrocchie), Francia (2 parrocchie), Svizzera e Austria (7 parrocchie) e il Regno Unito. Quest’ultima è nata nell’ottobre 2006 a causa dell’improvvisa crescita della comunità dovuta all’esodo dei cristiani dall’Iraq. In America e in Oceania si parla invece di vicariati patriarcali: per la parte est degli Stati Uniti (con sede nel New Jersey), per la parte ovest (con sede a Los Angeles), per il Canada (con sede a Montreal), l’Argentina, il Brasile, e l’Australia-Nuova Zelanda. La Chiesa siro-cattolica conta dal 1995 una Diocesi per il Nord America: Our Lady of Delivrance of Newark, con sede nel New Jersey. È molto probabile che il numero iniziale di 15 mila fedeli si sia moltiplicato dopo la guerra in Iraq. Nel 2001, inoltre, è nato un Esarcato apostolico per il Venezuela che assiste circa 4 mila siriaci. Piccole comunità siro-cattoliche cominciano, infine, a organizzarsi in Brasile, Francia, Svezia e Australia. Ma il boom dell’espansione orientale lo registrano oggi le Chiese assira e caldea. Negli Stati Uniti si contano due importanti Diocesi caldee, Saint Thomas the Apostle of Detroit e Saint Peter the Apostle of San Diego (California, stabilita nel 2002) che raccolgono circa 170 mila fedeli distribuiti in 15 comunità. I circa 90 mila fedeli assiri sono invece divisi in tre diocesi (per la parte orientale, occidentale e la California) che contano una ventina di comunità. Nel Canada sono presenti tre comunità caldee (a Windsor, Toronto e Montreal) con almeno 20 mila fedeli, e una Diocesi assira che raccoglie tre comunità e una missione. In Australia e Nuova Zelanda è nata nel novembre 2006 una nuova Diocesi caldea con almeno 15 mila fedeli, accanto a quella assira che raccoglie circa 10 mila fedeli. Un’identica crescita delle comunità assiro-caldee si registra in Europa. Già nel 2000 si contavano oltre 15 mila fedeli in Francia (in particolare a Sarcelles, alla periferia di Parigi), oltre 12 mila in Svezia, 10 mila in Germania, 8 mila nel Belgio (Bruxelles, Mechelen e Antwerp), 8 mila in Grecia (a Peristeri, alla periferia di Atene), 5 mila nei Paesi Bassi (la parte orientale) e 3 mila in Gran Bretagna. Sarebbe interessante esaminare in futuro lo sviluppo di queste comunità dopo l’esodo di buona parte dei cristiani dall’Iraq. L’esodo dei fedeli della Chiesa latina sfugge spesso al conteggio dell’emigrazione orientale. La comune tradizione religiosa è un fattore di rapida integrazione nella nuova realtà, spesso cattolica. Eppure è noto che in Cile vivono oggi molti più cristiani palestinesi (latini e ortodossi) originari di Betlemme, Beit Sahur e Beit Jala di quanti risiedano oggi in queste località palestinesi. Lo stesso vale per i cristiani originari di Ramallah, più numerosi a Detroit che nella loro città d’origine. Questa emigrazione è ripresa a ritmo frenetico con il deterioramento della situazione politica in Palestina. Solo da Beit Sahur, circa 200 famiglie cristiane avrebbero lasciato la loro terra sin dal 2000. Molto più noto è invece l’esodo armeno in Occidente. La Chiesa armena apostolica conta due prelature negli Stati Uniti, e una nel Canada che dipendono dal Catolicossato di Cilicia. Esiste inoltre dal 1898 una diocesi della Chiesa armena d’America, chiamata anche “Diocesi orientale” e, dal 1927, una diocesi californiana, detta “Diocesi occidentale”. Nel censimento del 2000 circa 385 mila statunitensi hanno dichiarato di avere origini armene. La prima chiesa armena è stata costruita a Worcester, nel Massachusetts, nel 1891, mentre quella più antica della costa occidentale è quella eretta nel 1901 a Fresno, in California. Cospicue comunità armene si trovano nel Sud America (Argentina, Brasile, Uruguay) e Australia. In Europa, gli armeni sono massicciamente presenti in Francia (500 mila), ma si trovano anche in Germania, Gran Bretagna, Belgio, Svizzera e Italia. La più piccola Chiesa armeno-cattolica ha visto elevare a diocesi l’Esarcato N. S. di Narek, a New York, che ha sotto la sua giurisdizione i 25 mila armeni cattolici residenti negli Stati Uniti (divisi in 7 parrocchie) e i 10 mila residenti nel Canada (2 parrocchie). Piccole comunità armeno-cattoliche sono presenti anche in Sud America. L’Esarcato apostolico per l’America Latina e il Messico conta 12 mila fedeli, mentre l’Arcidiocesi di San Gregorio de Narek en Buenos Aires conta 16 mila fedeli. In Francia vivono circa 30 mila armeni cattolici raccolti nella Diocesi della Santa Croce di Parigi (6 chiese). La Chiesa armena evangelica è infine ben radicata negli Stati Uniti, in Canada, Uruguay, Francia (13 chiese), Australia, Inghilterra, e Belgio. Da qualche anno comincia a vacillare anche la storica resistenza dei fedeli della Chiesa copta ortodossa alla tentazione dell’emigrazione. Si calcola che l’esodo riguardi almeno mezzo milione di persone. Sotto Shenouda III, la Chiesa è arrivata a diffondersi in 55 paesi del mondo inaugurando più di 400 chiese al di fuori dell’Egitto. Un dato indicativo di questa espansione è la zona di Los Angeles dove, al posto dell’unica chiesa aperta nel 1970, se ne contano oggi 28, servite da quarantatré preti. I copti vantano ora una capillare presenza in almeno 30 Stati degli USA, tanto che al IX seminario dei sacerdoti svoltosi nell’agosto 2006 hanno partecipato 180 preti e monaci copti delle diocesi nordamericane. All’Arcidiocesi dell’America del Nord, con una residenza patriarcale a Cedar Grove (New Jersey), si affiancano la Diocesi di Los Angeles-Sud California-Hawai e la Diocesi del sud degli Stati Uniti. Nel 2006, il Papa d’Alessandria ha ordinato un vescovo per il Brasile e un altro per la Bolivia. Il continuo flusso di copti in Australia ha portato nel 1999 alla divisione della diocesi australiana in due, una con sede a Sydney (comprendente Singapore, Thailandia e Giappone) e l’altra a Melbourne (comprendente Nuova Zelanda e Figi). Queste diocesi gestiscono pure scuole e case di riposo. Anche in Europa si assiste a una straordinaria moltiplicazione di strutture e chiese copte. In pochi anni sono state stabilite nuove diocesi in Italia (Milano-Nord Italia, Torino-Roma-Italia del Sud), le Isole britanniche (Birmingham-Midlands, Stevenage-Glastonbury, Irlanda-Scozia-Nord Est dell’Inghilterra), Germania, Francia (Tolone) e Austria. Per una Chiesa che valorizza la vita monastica non potevano mancare monasteri e seminari. Parecchi ne sono stati aperti fuori dall’Egitto, come a Los Angeles, Cedar Grove (Jersey City), Corpus Christi (Texas), Sydney, Melbourne, Stevenage (Inghilterra), Froeffelbach (Germania) e Lacchiarella (Milano). Sebbene non possegga ancora strutture diocesane al di fuori dell’Egitto, la Chiesa copta cattolica assiste alla crescita delle proprie comunità all’estero, dal Canada all’Australia. Lo dimostra la lunga visita pastorale intrapresa nel 2005 dal Patriarca Stefanos Ghattas alle comunità presenti a Parigi, Los Angeles, Toronto, Montreal e New York. Le visite pastorali dei patriarchi d’Oriente ai propri figli della “diaspora” sono diventate, infatti, d’obbligo. Tra le più recenti citiamo quella di Nerses Bedros agli armeno-cattolici in Brasile, Argentina e Uruguay; quella di Shenuda III in Brasile e Bolivia; quelle di Nasrallah Sfeir e Aram I negli USA per visitare maroniti e armeni; e quella effettuata da Gregorio III nel giugno 2006 in Canada dove ha partecipato al V Congresso dei vescovi melchiti dei paesi di emigrazione. I prelati vi hanno discusso dei problemi dell’adattamento, del senso della presenza nella diaspora, delle relazioni con le Chiese locali e della traduzione dei testi liturgici nelle lingue d’adozione. Senza Ritorno? Il tema dell’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente è spesso evocato dai patriarchi d’Oriente. Anzi, è stato il tema centrale al XVI Congresso dei Patriarchi cattolici d’Oriente, svoltosi in Libano nell’ottobre 2006. Anzitutto perché la loro emigrazione, definitiva nella maggior parte dei casi, mette a repentaglio la sorte di chi non vuole – o non può – partire. Pochi sono, infatti, coloro che fanno ritorno come invece accade per gli emigrati nei paesi del Golfo. In un’inchiesta sull’emigrazione libanese, il 47,7% degli intervistati ha detto di non voler tornare, contro il 32,5% di “sì” e il 19,8% di “non so”. Nel primo caso, la situazione economica figurava come prima motivazione (60,6%), mentre quella politica al quarto posto con l’8,8%. In un sistema confessionale come quella libanese, è chiaro che l’emigrazione incide fortemente sui risultati elettorali essendo gli emigrati – che hanno de jure diritto di voto finché mantengono la cittadinanza – tuttora impediti di votare presso i consolati. La scelta del paese d’emigrazione è condizionata dalla presenza di parenti ma anche dalla disponibilità del paese prescelto. Nella stessa inchiesta sopraccitata il 51,5% ha detto di preferire emigrare in Canada, il 17% negli USA, il 14,1% in Australia, il 5% in Francia, il 4,1% in Germania, il 2,5% in Svezia e l’1,7% in Brasile. L’arrivo in società secolarizzate – o, meglio, non religiose – è fonte di preoccupazione per le gerarchie ecclesiali. Molte comunità copte hanno importato l’esperienza della “scuola della domenica” per educare i figli ai valori religiosi. A questo si aggiungono i tentativi di raggiungere i propri fedeli sparsi nel mondo via etere. Accanto all’ormai nota NourSat libanese, che raggiunge Europa e America, è nata nel 2005 la Aghapy Tv, che trasmette da un monastero copto vicino al Cairo, mentre la siriaca Suryoyo è ancora ai primi passi. Molti cristiani in diaspora, per la loro storia personale e per l’attuale clima di tensione tra Islam e Occidente, perdono ogni fiducia nella convivenza islamo-cristiana. Hakim è immigrato da qualche anno in Italia: tappezza la sua pizzeria di immagini sacre e di ritratti dei papi non soltanto per marcare la propria identità, ma anche «per scoraggiare eventuali clienti musulmani». Un docente italiano si lamenta di come la comunità copta di Milano sia restia a intraprendere iniziative comuni con i connazionali musulmani e non si curi di trasmettere ai figli la lingua araba classica, ritenuta “la lingua dell’Islam”. A Damasco e Istanbul, i cristiani iracheni in attesa di visti per l’Australia o gli Stati Uniti organizzano corsi di inglese e… caldeo. Si giunge a contestare la propria origine araba. Qualche anno fa, alcune associazioni assiro-caldee e maronite hanno protestato con l’Arab American Institute per avere incluso le loro comunità nelle sue ricerche sugli arabo-americani. L’emigrazione offre invece l’occasione di rinsaldare i rapporti tra fedeli di diverse Chiese. «Non potendo praticare la mia fede… mi sono sposato nella chiesa cattolica… ma evito di confessarmi o fare la comunione», ha confidato un emigrato siro-ortodosso in Argentina. La tendenza è comunque ad aggregarsi in quartieri omogenei. Gli esempi abbondano, da Sarcelles, in Francia, alla Chaldean Town di Detroit, e dalla Little Armenia, vicino a Los Angeles, a Sodertalje, in Svezia, dove si contano 20 mila assiro-caldei e siriaci su 80 mila abitanti.