Il Cenacolo libanese ha partecipato da protagonista alla storia del Libano, dall’indipendenza fino a metà degli anni ’80
Ultimo aggiornamento: 28/06/2024 10:46:10
Il Cenacolo libanese ha partecipato da protagonista alla storia del Libano, dall’indipendenza fino a metà degli anni ’80, e ha introdotto nella vita politica e culturale dei fermenti intellettuali e principi identitari che, nonostante il declino dell’istituzione, sono ormai nel DNA del Paese.
Quando nel 1946 i libanesi si trovarono per la prima volta nella loro storia a essere un’entità nazionale indipendente e sovrana, un intellettuale libanese, Michel Asmar, fondò una tribuna culturale, il Cenacolo libanese, la cui funzione principale doveva essere di partecipare alla formazione culturale e al consolidamento dell’identità libanese. Luogo di dibattito con una rivista, una trasmissione radiofonica settimanale (a partire dal 1953), una casa editrice, un centro di riflessione e d’incontro, Asmar intendeva fare del Cenacolo libanese uno spazio in cui il conferenziere e lo specialista, nel confronto su tematiche scientifiche, letterarie, artistiche, filosofiche, economiche e politiche, entrassero in «relazione dialettica» con l’obiettivo di elaborare una «filosofia politica del Libano»[1]. Nell’ottica di Asmar il Cenacolo doveva svolgere la funzione di «polmone o cervello» nella vita nazionale libanese.
L’idea prese forma soprattutto con l’aiuto di Edmond Rabbath, Kamal Jumblat e Michel Chiha[2]: «una tribuna intellettuale nazionale libera» che riuniva i migliori specialisti, desiderosi di chinarsi sui problemi nazionali e proporre le loro visioni allo scopo di «svegliare la coscienza nazionale e costruire il futuro del Libano moderno», rispondere alla sete di quanti chiedevano cultura e diffondere «l’irradiamento intellettuale del Libano» e la sua «vocazione» in Oriente e Occidente.
Il Cenacolo libanese non costituisce solo un eccellente caso di studio per descrivere la formazione culturale e intellettuale di un’identità, di una nazione, di un popolo e di uno Stato, ma ha rappresentato anche una presa di coscienza da parte dell’intellighenzia libanese del ruolo da essa svolto nell’edificazione del Paese. In questa prospettiva il fondatore del Cenacolo libanese Michel Asmar presentava la tribuna come «l’espressione della coscienza libanese»[3]. Antoine Messarra, professore di Diritto e Scienze politiche all’Università Saint-Joseph di Beirut e membro del Consiglio costituzionale del Libano si è spinto oltre, affermando che il Cenacolo è stato un centro di riflessione che ha avuto il grande merito di creare una «libanologia», una «scienza del Libano».
Durante i quarant’anni della sua esistenza il Cenacolo libanese ha accolto 413 oratori libanesi, arabi, africani, europei e americani, ha organizzato 597 conferenze in quattro lingue, di cui 451 pubblicate nei venti volumi delle Conférences du Cénacle, e ha pubblicato oltre sessanta opere multilingue. Non è un caso perciò che René Habachi abbia dichiarato nella conferenza su “Il pensiero impegnato e libero in Libano” che «con la sua tribuna libera il Cenacolo libanese ha degnamente servito la nazione e ha preparato gli archivi del futuro».
Laboratorio di filosofia politica
Il “Tempo del Cenacolo” vede susseguirsi tre grandi epoche. La prima, che va dal 1946 al 1958, è segnata dalla progressiva definizione dell’obiettivo del Cenacolo: elaborare una «filosofia politica» per il Libano. Tale filosofia si fonda su tre pilastri. Si tratta in primo luogo di creare una «mitologia libanese». Una mitologia necessaria, secondo Asmar, che doveva radicarsi nei cuori e nelle menti dei libanesi. In questa prospettiva venne chiamata in causa la civiltà fenicia quale «civiltà matrice» del Libano odierno, e sottolineata l’azione degli emiri Fakhr al-Dîn e Bashîr[4] quali rappresentanti della «causa libanese» e dell’aspirazione all’indipendenza dai Paesi vicini. Il secondo pilastro della filosofia politica libanese consiste nella definizione dell’identità del Libano rispetto all’eredità fenicia. Essa è l’espressione di una personalità singolare plasmata dalla natura e dal rilievo montuoso libanese, distinti dalla natura e dal rilievo dell’hinterland arabo, che è per lo più invaso dal deserto. La definizione dell’Essere libanese costituisce il terzo pilastro di questa filosofia. Il libanese contemporaneo è il discendente di Egbert, il «primo uomo libanese» vissuto sulla costa del Libano 35.000 anni fa, ma è anche il discendente del fenicio e il prodotto dell’unione tra il Monte Libano e il Mediterraneo. Con il suo senso della libertà e dell’avventura il libanese è sempre pronto a spingersi fino ai confini del mondo, a differenza dell’“arabo del deserto”, sempre soddisfatto del poco che ha. È la sintesi dei marinai fenici e dei montanari. È il «compendio storico di tutti i secoli», il prodotto della «sintesi di tutti i precedenti stati d’animo» le cui due caratteristiche più significative sono l’attaccamento alle radici e l’apertura al mondo intero.
Per la riforma del regime politico
Una volta fissate queste idee, il Cenacolo, nel suo secondo periodo tra il 1958 e il 1967, si pose la missione di partecipare intellettualmente all’edificazione dello Stato libanese e alla riforma del suo regime politico. Ma il Cenacolo era innanzitutto consapevole del fatto che il regime politico e la struttura dello Stato moderno potevano stabilirsi solamente in funzione di una filosofia generale che affermasse la concezione dei libanesi rispetto all’esistenza, all’uomo, al mondo e persino all’aldilà. È in questo quadro che il Cenacolo adottò il personalismo come visione umanista che considera la persona un “assoluto”, riconciliandola con gli “altri” e rispondendo alle sue esigenze materiali e spirituali. Cosciente della necessità di adattare questa concezione alla realtà libanese e orientale, il Cenacolo libanese collaborò con René Habachi e Khalîl Râmiz Sarkîz per creare un «personalismo orientale», prima che quest’ultimo fosse arabizzato da Sarkîs et Fu’âd Kan‘ân. In tal modo il Cenacolo libanese si assegnava il compito di rinnovare la concezione dello Stato, un compito tanto più necessario e opportuno dal momento che tale rinnovamento convergeva con un progetto politico, il chehabismo, voluto dal Presidente della Repubblica Fouad Chehab (1958-1964) per rafforzare le strutture dello Stato libanese. Ormai non era più questione di uno Stato che s’imponeva ai sudditi con la coercizione o che si incarnava nel leader, ma di uno Stato moderno che rappresentasse la «personificazione giuridica della nazione» libera e sovrana. Rifugio per i suoi cittadini, lo Stato auspicato dal Cenacolo era “l’amministratore” che, organizzando la vita della società e mettendo a frutto le risorse umane e naturali della nazione, mirava a garantire il bene comune di tutti i cittadini. Lo Stato moderno, «umano, sociale, funzionale e sintesi delle attività nazionali», non può essere separato dalla giustizia sociale. Ma per essere capace di garantire il bene comune e di migliorare costantemente il livello di vita della società, lo Stato deve fondarsi sulla pianificazione. Ciò comportava la creazione di un’amministrazione forte, le cui istituzioni andavano profondamente riformate e permanentemente riadattate, e in cui i funzionari fossero reclutati in base alle loro competenze.
Quanto al regime politico, il confessionalismo s’impose come tema guida. Benché alcuni conferenzieri difendessero il confessionalismo come espressione politica della struttura della società libanese, molti altri lo contestavano, definendolo ingiusto e antiquato e invitando a sostituirlo con una laicità totale. Ne risultò una terza via che non si prefiggeva né di unire il temporale e lo spirituale come nel caso del confessionalismo né di separarli, come vuole la laicità. Essa puntava invece a rivoluzionare il temporale attraverso lo spirituale, con tutto ciò che questo implicava in termini di nuovi rapporti tra i due e di nuova organizzazione del ruolo di ciascuno di essi nella società. Tutte queste raccomandazione puntavano a garantire un’«evoluzione dolce» del Libano, inconciliabile con le rivoluzioni brutali e violente.
Un nuovo rapporto con l’arabità
Dopo il terremoto rappresentato dalla Guerra dei Sei Giorni, il Cenacolo si ritrovò di fronte alla necessità di ripensare il Libano e arginare le ripercussioni di un evento che la maggior parte dell’intellighenzia arabofona considerò un disastro. Era giunta l’ora di ridefinire i rapporti del Libano con il mondo arabo. Per Asmar i libanesi non avevano più nulla da temere dalla solidarietà con i loro vicini, con i quali condividono la lingua, la storia e molti valori. Sempre legato alla singolarità del Libano, Asmar non esitò a invitare i libanesi ad accettare l’arabità come identità comune ai loro fratelli arabi, a partire dalla Siria. Secondo il Cenacolo, parallelamente alla sua appartenenza araba, il Libano doveva essere fiero della sua natura di Paese del pensiero mediterraneo, addirittura l’incarnazione della civiltà mediterranea. Arabo e mediterraneo allo stesso tempo, il Libano, nella descrizione del Cenacolo, è lo spazio migliore per riconciliare gli arabi con l’Occidente. Riconoscendo la loro appartenenza al Mediterraneo gli arabi sarebbero stati capaci di riconquistarsi il «diritto di primogenitura» nel processo di edificazione della civiltà, di superare il loro complesso d’inferiorità rispetto all’Occidente e ridiventare signori tra i signori di questa civiltà.
Quanto al funzionamento del Cenacolo, dal 1969 Michel Asmar cominciò a interrogarsi sull’efficacia della conferenza come vettore d’impegno intellettuale. È evidente che in questo periodo Asmar si mise alla ricerca di una nuova formula, che conciliasse la conferenza con altre forme di movimento culturale per consentire al Cenacolo di svolgere un’azione intellettuale capace di tradursi concretamente nello spazio pubblico. Si spiegano e si ccomprendono in questo modo l’organizzazione delle conferenza a più voci, la pubblicazione di testi su temi come il dialogo islamo-cristiano e il patrimonio antiocheno, e l’organizzazione di incontri culturali con partner arabi, in particolare siriani. Il tentativo più audace fu quello intrapreso nel 1977 quando Michel Asmar e i suoi amici del Cenacolo lanciarono il “Movimento del Cenacolo libanese” il cui compito principale consisteva nell’assistere il nuovo presidente della Repubblica, Elias Sarkîs, nella ricostruzione del Paese sul piano politico, economico, sociale, intellettuale ed educativo. Ciononostante è opportuno rilevare che per diverse ragioni, la più importante delle quali legata alla carenze di mezzi finanziari, le attività del Cenacolo si ridussero di molto tra il 1968 e il 1974.
Il declino
Il 5 giugno 1967 fu solo il primo segnale che preannunciava la venuta di tempi molto bui sia per il Libano che per il Cenacolo. Dopo lo scoppio della guerra in Libano, il 13 aprile 1975, il fondatore del Cenacolo libanese e i suoi compagni presero coscienza del fatto che il “loro” Libano del 1943 non esisteva più. Alcuni deposero le armi scegliendo di abbandonare il Paese e recarsi all’estero visto che il Libano, per loro, non era più il Paese in cui si rispettavano la dignità e la sicurezza. Altri, pur disperando della situazione, rimasero in Libano aspettando l’occasione che consentisse loro di far uscire il Paese dall’inferno. Tra questi figurano alcuni amici che hanno sostenuto Asmar e il suo Cenacolo durante tutti gli anni di guerra tentando a più riprese di rilanciare il Cenacolo libanese. Ma la morte di Michel Asmar il 24 dicembre 1984 mise fine a tutti questi tentativi.
Venticinque anni dopo la morte di Michel Asmar è stato istituita la Fondazione del Cenacolo, che ha l’obiettivo di «far rivivere la memoria dell’istituzione fondata da Michel Asmar nel 1946 e intraprendere delle azioni volte a costituire uno spazio civico di riflessione e scambio». La fondazione, che ha assunto la forma di un’associazione (jam‘iyya), è stata creata da tre membri: Renée Asmar Herbouze, Mouna Taqî al-Dîn – professore di Letteratura all’Università americana di Beirut – e Karîm Qubaysî – avvocato e figlio di Ahmad Qubaysî, membro del gruppo vicino a Michel Asmar durante gli ultimi anni del Cenacolo libanese fino al 1984. Sono stati realizzati due programmi. Il primo, inserito nel calendario delle manifestazioni per Beirut “capitale mondiale del libro” nel 2009, è consistito nell’organizzazione di alcune conferenze dedicate alla “Ricostruzione della biblioteca nazionale del Libano” e a “Come scrivere la storia”. Il secondo è consistito nell’organizzazione di una mostra che si è tenuta tra il 27 settembre e il 18 ottobre 2012 nel centro di Beirut e nel lancio di un libro che tracciava “l’itinerario del fondatore e i grandi momenti dell’istituzione”. La mostra e il libro hanno conosciuto un certo successo sia sulla stampa locale sia sui palcoscenici di diversi canali televisivi libanesi, ciò che ha incoraggiato la Fondazione del Cenacolo a continuare le sue attività. Attualmente è in preparazione un nuovo programma, più direttamente pensato per i giovani libanesi[5]. Questa nuova intrapresa della Fondazione Cenacolo Libanese è stata accolta con calore sia dai giovani, dai dirigenti scolastici e delle università che da numerosi oggetti culturali, politici e religiosi del Paese. Non è un caso infatti che nell’omelia pronunciata a Bkerke il 6 gennaio 2013 qualche settimana dopo la chiusura della mostra e il lancio del libro, il patriarca maronita Beshara Rai abbia invitato gli «intellettuali, i professori universitari e gli specialisti» a dar vita a un «forum per il dialogo nazionale a Beirut simile al Cenacolo libanese» che tratti le molteplici tematiche politiche, economiche, sociali e culturali per creare «un’opinione pubblica sana e oggettiva» e assicurare «una cultura nazionale al popolo libanese»[6].
Bibliografia
Amin Elias, Lubnân bi qalam mufakkirî al-nadwa, Pusek, Beirut 2012.
Les Années Cénacle, Dâr al-Nahâr, Beirut 1997.
Le temps du Cénacle, entre l’histoire, la mémoire et l’actualité, Fondation du Cénacle libanais, Beirut 2012.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
[1] René Habachi, Le Cénacle libanais une idée en marche, «La revue du Liban», 25 dicembre 1954.
[2] Edmond Rabbath (1902-1991) costituzionalista di origine siriana, è stato professore all’Università libanese; Kamal Jumblatt (1917-1977) è stato un uomo politico druso, fondatore del Partito Socialista Progressista libanese; Michel Chiha (1891-1954), politico, banchiere, scrittore e giornalista, è considerato uno dei padri della Costituzione libanese [N.d.R.].
[3] Michel Asmar, Le Cénacle, expression de la conscience libanaise, Éditions du Cénacle libanais, Beyrouth 1962.
[4] Fakhr al-Dîn II (1572-1635) fu un emiro locale della regione dello Chouf che si ritagliò un potentato semi-indipendente da Istanbul, corrispondente all’incirca all’attuale Libano. La sua eredità fu continuata, nel XVIII secolo, dalla famiglia degli Shihâb, tra cui spicca Bashîr II (1767-1850), emiro del Monte Libano, convertitosi dall’Islam al Cattolicesimo maronita [N.d.R.].
[5] Intervista con Renée Asmar a Beirut, 2 agosto 2013.
[6] Omelia del Patriarca Bishâra al-Râ‘î a Bkérké il 6 gennaio 2013 disponibile su http://bkerkelb.org/arabic/index.php?option=com_content&view=article&id=1871:-----------6---2013&catid=281:-2013&Itemid=357.