Il fenomeno dei think tanks, i centri studi che influenzano e spesso elaborano la politica estera americana. Le loro origini risalgono all'Ottocento, ma è soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che il loro ruolo si espande e diventa decisivo dopo l'11 settembre.
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:43
È una mattina qualunque di autunno a Washington. A pochi isolati dalla Casa Bianca, al dodicesimo piano di un edificio che sorge proprio di fronte al quartier generale del National Geographic, decine di persone prendono il caffè e conversano amabilmente nel Wohlstetter Conference Center, l'ovattata e accogliente sala delle conferenze dell'American Enterprise Institute (AEI), uno dei più influenti think tanks degli USA. Quando il pubblico prende posto, si accende il microfono di fronte a Wafa Sultan, una psichiatra americana di origini siriane, divenuta celebre per i suoi attacchi sul network Tv arabo Al Jazeera contro l'estremismo islamico. La professoressa si lancia in un'appassionata denuncia delle violazioni dei diritti umani per le donne che vivono in Medio Oriente. Cita prima il caso di una madre palestinese che nel 2003 ha strangolato la figlia per proteggere "l'onore" della famiglia, dopo che la ragazza era stata stuprata da uno dei suoi stessi fratelli. Poi racconta di come, nel 2002, in Arabia Saudita, gli agenti della Commissione per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, abbiano impedito alle studentesse di un dormitorio femminile di lasciare l'edificio nonostante fosse in fiamme, perchè non indossavano il velo e la abaya. «Quale vizio stavano prevenendo?», si infervora Wafa Sultan. «Quale virtù stavano promuovendo?».
Una dopo l'altra, sulla scia dell'attacco della psichiatra americana, prendono la parola altre sette donne mediorientali per denunciare scene analoghe e interpretazioni della shari'a repressive nei confronti delle donne in Libia, Tunisia, Egitto e altri Paesi. Scene analoghe si ripetono, con frequenza pressoché quotidiana, in centri studi di ogni tendenza di cui è disseminata la capitale americana. Il mondo arabo e quello musulmano in genere sono sempre stati radiografati con attenzione da Washington, alla ricerca di strategie per cercare di dare al Medio Oriente connotati in linea con la politica estera americana. Tentativi che sotto le varie amministrazioni si sono spesso tradotti in frustrazioni o incomprensioni, ma anche in legami solidi come quelli che uniscono gli USA all'Arabia Saudita e ai vari emirati del Golfo, o in svolte nelle relazioni bilaterali come quella avvenuta negli ultimi anni tra gli Stati Uniti e la Libia. Condizionare e cercare di influenzare le scelte di Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Pentagono o Congresso in tema di rapporti con il Medio Oriente e il resto del mondo musulmano, è un'impresa che nella capitale americana tiene impegnati ogni giorno migliaia di lobbisti, esperti e diplomatici dei paesi interessati. Un ruolo decisivo, però, lo svolgono soprattutto i think tanks. È qui che, anche con eventi come quello che ha visto protagonista la professoressa Sultan, si decide buona parte della politica estera americana. E dopo l'11 settembre 2001, anche in questi serbatoi del sapere e del pensiero, non c'è tema più "caldo" dei rapporti tra l'Occidente e l'Islam.
Contro la Schiavitù
La definizione di cosa sia da considerare un think tank e le origini stesse del termine sono incerte. Secondo John C. Goodman, che negli anni della presidenza Reagan fondò a Dallas, in Texas, il conservatore National Center for Policy Analysis, i think tanks sono fondamentalmente "fabbriche di idee". «Le fonti più importanti del cambiamento politico ha scritto Goodman, in un saggio dedicato a questo fenomeno non sono i politici, i partiti politici o i contributi finanziari. Sono invece le idee generate nei campus universitari, nei think tanks e nelle altre organizzazioni in giro per il paese che si dedicano alla ricerca». Ad avviso di Goodman, la progenitrice delle istituzioni odierne può essere considerata la Society for the Abolition of The African Slave Trade, un'organizzazione contro la schiavitù fondata dall'inglese Thomas Clarkson. Altri attribuiscono la paternità del fenomeno dei think tanks alla Fabian Society of Britain (1884). Negli Stati Uniti, una delle realtà ancora oggi tra le più attive nel panorama dei centri studi di questo genere, la Brookings Institution, fu fondata nel 1916. Ma la prima volta in cui il termine think tank, importato dalla Gran Bretagna, è stato usato per definire un'organizzazione con le caratteristiche di quelle che dominano oggi la politica estera e la ricerca americane, è stato nel dicembre 1945.
Se le fabbriche di idee sono attualmente, nella quasi totalità, società no profit che vivono di cospicui finanziamenti privati, ricche eredità lasciate da mecenati o collegamenti con le università, all'origine del fenomeno come molto spesso accade negli USA c'è l'iniziativa dei militari. Il comandante dell'Air Force, durante la seconda guerra mondiale, generale Henry H. "Hap" Arnold, era rimasto impressionato dalla capacità degli scienziati, negli anni del conflitto, di produrre innovazioni che alla fine avevano assicurato agli USA la vittoria. Il Manhattan Project, che aveva portato alla creazione della prima bomba atomica, in effetti, aveva lavorato come un think tank finalizzato a un progetto ben specifico. Finita la guerra, Arnold voleva preservare quelle capacità innovative in ambito militare e, nel dicembre dell'anno che aveva segnato la fine del conflitto planetario, diede l'avvio a un progetto battezzato Research And Development. Nel marzo 1946, dalle iniziali di quel progetto, nasceva RAND: il primo vero e proprio think tank al mondo, inizialmente partito come un dipartimento della società aerea Douglas Aircraft a Santa Monica, in California.
Oggi RAND Corporation è un'organizzazione no profit che riunisce 800 ricercatori concentrati soprattutto nelle sedi in California e a Washington. Gli uffici, nella capitale americana, occupano buona parte di un palazzo ad Arlington, con le finestre affacciate sul vicinissimo Pentagono. RAND è un esempio significativo di cosa sia un think tank contemporaneo. Passata l'epoca in cui i ricercatori dei centri studi appuntavano idee su anonimi memorandum ad uso di senatori e ministri, oggi da queste cittadelle del pensiero vengono sfornati a ciclo continuo rapporti dalla grafica accattivante, volumi con rilegature e copertine che niente hanno da invidiare agli editori commerciali, newsletters che raggiungono le caselle email di migliaia di utenti in tutto il mondo. I loro siti web sono dotati di ogni funzione multimediale registrazioni audio delle conferenze, video dei dibattiti, rapporti d'intelligence e analisi diffusi in podcast e le banche dati che mettono a disposizione sono preziosissime.
Il panorama dei think tanks di Washington spesso riflette gli scontri ideologici e politici di cui è terreno la capitale americana. Ecco così che le dottrine neocon, che hanno avuto largo spazio negli anni dell'Amministrazione Bush, trovano i loro santuari in realtà come l'AEI o il Project for the New American Century, presieduto da uno dei più noti neoconservatori americani, William Kristol. Idee conservatrici più tradizionali vengono promosse dall'autorevole Heritage Foundation, che anche logisticamente mostra la propria influenza sul Congresso grazie a un quartier generale a due passi da Capitol Hill. Le politiche liberali e progressiste maturano, invece, negli uffici di istituzioni come il Center for American Progress guidato da John D. Podesta, ex capo dello staff del presidente Bill Clinton. È orientata a sinistra anche la Brookings Institution, uno dei più attivi think tanks della capitale, mentre il Cato Institute si caratterizza per una posizione libertaria. Non mancano centri studi che si professano e sono nei fatti indipendenti e non etichettabili politicamente. È il caso del Center for Strategic and International Studies (CSIS), del SAIS (il pensatoio di politica estera della Johns Hopkins University) e di fondazioni e centri di ricerca super partes come il Woodrow Wilson Center, che si caratterizzano peraltro per la presenza di un gran numero di studiosi di altri Paesi. Ma esperti di ogni parte del mondo e negli ultimi anni soprattutto specialisti in questioni islamiche fanno parte dello staff di ogni think tank che, per garantire un reale flusso di idee, hanno bisogno costante di nuova linfa anche da fuori degli USA. Spesso nei centri studi americani trovano rifugio personalità che sono dovute fuggire dai loro paesi per vari motivi; se un tempo erano esuli politici o ex spie dell'URSS e dei paesi del blocco sovietico, oggi sono spesso personaggi come Ayaan Hirsi Ali, l'esponente politica olandese di origini somale nota per le sue critiche all'Islam, che ha lasciato i Paesi Bassi e lavora ora all'AEI.
Impatto Positivo
«Qualsiasi think tank che oggi non abbia musulmani nel proprio staff, è ben al di sotto della soglia di influenza», spiega a Oasis Jeffrey Addicott, direttore a San Antonio, Texas, del Center for Terrorism Law, un think tank legato alla St. Mary's University School of Law. «Noi ne abbiamo tre aggiunge e ci offrono una prospettiva preziosa. Dal momento che gli USA sono in larghissima parte un paese cristiano, c'è sempre il rischio di avere pochi parametri di riferimento per capire la prospettiva musulmana delle cose. Il tono di un think tank deve riflettere input equilibrati, per evitare che nella ricerca prendano piede idee etnocentriche». Addicott dirige l'unica istituzione del suo genere nelle oltre duecento facoltà di legge degli USA e rivendica come l'ambiente accademico lontano dalla capitale sia una garanzia di indipendenza e libertà, rispetto al clima politicizzato che si respira a Washington. «Riceviamo finanziamenti sia da privati, sia dal governo spiega ma non accetto fondi che impongano un esito predeterminato per le nostre ricerche. I nostri finanziatori comprendono questa indipendenza. Negli ultimi tre anni, per esempio, su una vasta gamma di questioni legali io sono stato, in alcuni casi, un critico dell'Amministrazione Bush e in altri ho giudicato le scelte in modo positivo».
Vista con lo sguardo di chi si tiene alla larga da Washington, la realtà dei think tanks si presta a non poche considerazioni critiche. «Queste istituzioni tradizionalmente hanno sempre avuto un grande impatto sul modo in cui viene modellata la politica estera americana», afferma Mehdi Noorbaksh, docente di Affari Internazionali alla Harrisburg University, in Pennsylvania. È un impatto positivo, per il professor Noorbaksh, quando le Amministrazioni mostrano di saper ascoltare gli studiosi di varie tendenze. Ma a Washington, aggiunge, «ci sono think tanks creati al solo scopo di promuovere una certa agenda e alcuni interessi. AEI per esempio è in buona parte a favore di Israele e contro quelli che vengono percepiti come gli interessi del mondo musulmano». «Dopo l'11 settembre incalza Noorbaksh due gruppi hanno dominato l'approccio americano e le politiche per il Medio Oriente. Da una parte i gruppi di interesse che dominano organizzazioni come AEI, dall'altra gli ideologi che controllano l'Amministrazione. Entrambi hanno approcci pieni di pregiudizi nei confronti della regione mediorientale e della fede islamica e hanno disegnato politiche nei confronti dei musulmani che hanno generato tra quest'ultimi risentimento contro Washington.
Ci sono stati però esempi di think tanks che nell'epoca post-11 settembre si sono opposti a questa linea, come Brookings, Foreign Policy Association e il Middle East Policy Council». Se c'è un limite, che più di altri i think tanks hanno mostrato negli anni seguiti all'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, secondo Addicott, è stato quello di aver indirizzato l'Amministrazione Bush verso un nemico non ben precisato. «Il governo e buona parte dei think tanks spiega hanno adottato una definizione, "guerra al terrorismo", che non descrive il fenomeno. Non stiamo combattendo contro una tattica, quale è il terrorismo. Non stiamo neppure combattendo tutti i gruppi terroristi in giro per il mondo. Né ci stiamo battendo contro l'Islam. Combattiamo, invece, contro gruppi militanti di estremisti islamici che puntano a colpire con grande violenza l'America. Al-Qaida cerca di dipingere quella attuale come una guerra tra l'Islam e l'Occidente, ma i think tanks non hanno ancora compreso pienamente come ribattere a questo tipo di propaganda.