Intervento di Mons. Gian Carlo Perego alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:05:54

Buongiorno e grazie per questo invito. La Fondazione Migrantes, di cui sono presidente, è l’organismo della CEI per la pastorale delle migrazioni, cioè per valorizzare questa presenza, nella Chiesa e nella società, di persone che provengono da altri Paesi. «Nessuno nella Chiesa è straniero», diceva già nel 1996 San Giovanni Paolo II e «la Chiesa non si sente straniera in nessun luogo». L’estraneità è dentro, non è fuori. Da questo punto di vista, il tema delle migrazioni è uno dei temi che riguardano le persone che camminano a fianco, ma al tempo stesso la Chiesa è fatta da persone che camminano.

Il volto della migrazione in Italia è molto variegato, e tante volte la realtà non è indicata nei suoi contorni reali. Lo avevano già capito monsignor Di Liegro e il segretario dottor Monticelli della Migrantes nel 1990, quando sui giornali si parlava di cinque milioni di migranti in Italia. Allora pensarono a un dossier sull’immigrazione che dimostrò che gli immigrati erano 500.000, solo oggi sono arrivati ad essere cinque milioni. La percezione dell’altro è sempre sovrastimata. Oggi in Europa una recente ricerca ci fa il Paese in cui ancora la percezione di migrazione è sovrastimata. Gli italiani pensano che gli immigrati in Italia siano il 30% della popolazione, mentre sono l’8,5% della popolazione. Il primo elemento è proprio questo: la realtà e la verità dell’immigrazione, perché non si può governare un fenomeno falsandone gli elementi. Questo è un primo aspetto certamente importante. Il secondo aspetto, per continuare il discorso della realtà, è che il volto della migrazione è fatto di questi cinque milioni di persone – da dieci anni lo stesso numero – cinque milioni e ottantamila, ci dice l’Istat, ma c’è un un mondo sommerso di almeno 500.000 persone, e poi ragioneremo sul perché c’è questo mondo sommerso. Un secondo elemento, quindi, è che tante volte si confonde il mondo delle migrazioni legate al lavoro, legate al ricongiungimento familiare – oggi in Italia sono maggiori i numeri dei ricongiungimenti familiari di chi viene per lavoro ­– si confonde questo numero e questo volto con il volto dei richiedenti asilo e dei rifugiati. I richiedenti asilo e i rifugiati in Italia, tenendo presente anche l’arrivo massiccio degli ucraini che è stato di 170.000, sono 340.000, una città. Di questi 100.000 mila sono i rifugiati, e gli altri sono sostanzialmente persone richiedenti asilo, in attesa, oppure sono coloro che hanno avuto, parlo degli ucraini, un permesso di protezione temporanea, permesso che si è riproposto e ripreso per la prima volta dopo vent’anni – lo si era dato durante la guerra del Kosovo –, quando allo scoppio della guerra dall’Ucraina sono uscite 6 milioni di persone. Tenete presente che qui la realtà è anche un’altra rispetto a quella che magari tante volte abbiamo presentato. L’Italia è stata uno dei Paesi che ha accolto meno ucraini, pur avendo la comunità più numerosa in Europa: 250.000 persone. Abbiamo accolto 170.000 persone, mentre in Polonia ne sono state accolte 1.600.000, in Germania ne sono stati accolti un milione ed erano 100.000 gli ucraini, in Francia 350.000 mila, eccetera. E queste 170.000 persone per il 90% sono state accolte dai familiari stessi degli ucraini e dalla Chiesa, mentre solo il 10-12% sono entrati nel sistema pubblico dei CAS e dei SAI – il sistema binario dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia.

 

L’Italia vede sbarcare in queste ore 133.000 persone. Questo numero viene indicato come un peso importante per l’Italia, che deve affrontare da sola questo fenomeno. In realtà, negli ultimi dieci anni sono sbarcate a Lampedusa e sulle coste italiane un milione di persone, ma oggi di questo milione di persone ne sono rimaste 50.000. Come il Marocco, l’Italia è un Paese di passaggio: la ragione per cui Francia, Germania, Austria e Svizzera blindano le frontiere è perché chiaramente la maggior parte delle persone stanno andando in questi altri Paesi. Se il tema dei migranti – migranti economici, lavoratori, eccetera – è un tema nazionale, il tema dei richiedenti asilo e rifugiati è un tema europeo. In 27 Paesi abbiamo rinunciato alla sovranità su questo tema, per regolarlo insieme con il regolamento di Dublino, regolamento che sapete essere in discussione. Quindi la logica dell’accoglienza dei richiedenti asilo è dentro un quadro europeo di cui ognuno fa un tassello. Fa un tassello chi è alla frontiera dell’Europa, chiamato soprattutto alla prima accoglienza, fanno un tassello i Paesi di passaggio e fanno un tassello i Paesi dove arrivano soprattutto le persone. Per quanto riguarda la percentuale di richiedenti asilo e i rifugiati accolti rispetto al numero di abitanti, noi siamo al quattordicesimo posto nel contesto europeo. La Germania ha accolto oltre un milione di rifugiati; in Francia siamo sui 400.000; il Belgio e la Spagna ne hanno accolti più di noi e poi percentualmente anche Cipro, Malta e altre realtà.

 

Governare le migrazioni

 

Inoltre, in Italia noi abbiamo un altro mondo di migranti, che sono gli emigranti italiani. I migranti italiani sono oggi 5.800.000. Cinque anni fa il numero degli emigranti ha superato il numero degli immigrati in Italia. Se a metà degli anni Settanta coloro che arrivavano in Italia erano più di coloro che partivano, oggi è il contrario. Soprattutto coloro che restano in Italia sono molti meno. Siamo un Paese che ha perso attrattività e questo è il problema serio. Siamo un Paese vecchio, un Paese che ha bisogno di lavoratori – e se ne sono accorti anche al governo, aprendo all’arrivo di 500.000 persone in tre anni. Siamo anche un Paese con una natalità molto bassa. Le nostre città, i nostri paesi hanno bisogno di rigenerarsi e nessuno sceglie il nostro Paese e le nostre città, pochi lo scelgono. È questo il primo problema della politica migratoria: come fare una politica migratoria che sappia attrarre e non rifiutare, perché noi abbiamo bisogno di rigenerare le nostre città – e rigenerarle secondo dei criteri. Il cardinale di Rabat ha già ricordato i quattro verbi che il Papa continuamente ripete: accogliere, tutelare, promuovere, cioè valorizzare le competenze di ciascuno, le capabilities di cui parla Amartya Sen, e poi integrare, concependo il concetto di integrazione come un concetto interculturale, un concetto biunivoco e non univoco, per usare una frase “pizza e kebab”, che sono buoni tutti e due.

 

Quindi i tre volti dei migranti sono tutti e tre da tenere presente. Noi abbiamo pochi migranti che stanno arrivando, abbiamo molti italiani che se ne stanno andando e abbiamo pochi richiedenti asilo e rifugiati che stiamo accogliendo nel nostro Paese. Quindi c’è bisogno di un governo delle migrazioni che abbia la capacità di accogliere, accompagnare, tutelare, valorizzare e integrare. Noi abbiamo una legge, la legge italiana, la Bossi-Fini, che non coniuga questi verbi e non aiuta quindi il governo delle migrazioni. Io ho partecipato anche al tavolo di lavoro della legge precedente, la Turco-Napolitano – Napolitano, tra l’altro, è una figura straordinaria anche sul tema delle migrazioni. Per fare un esempio, la notte prima della presentazione della legge Turco-Napolitano alla Camera, ero con la ministra Turco e il ministro Napolitano a fare le ultime correzioni. Avevano invitato un gruppo di persone delle diverse realtà associative, e al tempo io ero alla Caritas. È stato interessante che in quella notte si è inserito l’articolo 18 della legge Turco-Napolitano: in quegli anni c’era il dibattito su una nuova legge sulla prostituzione, la riforma della legge Merlin, di tante ragazze sulle strade, eccetera. Ecco, quell’articolo 18 prevede che una ragazza che entra in un percorso sociale oppure denuncia il suo sfruttatore ha diritto a un permesso di protezione, e quindi a una regolarizzazione. Pensate che questo articolo ha fatto sì che in vent’anni 15.000 donne sono oggi madri di famiglia, insegnanti, sono lavoratrici, imprenditrici, perché sono state accolte, regolarizzate, inserite in un percorso di protezione e poi diventate cittadine. Avevamo tutti dei progetti in quegli anni, anche perché nel 2000 ricorderete che il Papa lanciò due campagne: la cancellazione del debito estero, ma anche la liberazione delle donne vittime della tratta e avevamo diversi progetti in tutte le diocesi italiane. Ricordo che con l’aiuto anche delle forze di polizia andammo a prendere sulla via per Zingonia una ragazzina di quindici anni, che oggi è una madre di famiglia che ha tre figli nel Bergamasco, ha un’impresa, una lavanderia industriale con 26 dipendenti di cui lei è la dirigente. Il governo delle migrazioni si fa partendo dalla realtà e trovando delle risposte. Sempre nella legge Turco-Napolitano c’era l’istituto della sponsorizzazione, quindi la possibilità di incontro fra domanda e offerta di lavoro, che poi è uscita dalla legge Bossi-Fini. C’erano sì le quote, ma c’era anche lo sponsor.

 

Non si può governare il mondo del lavoro con delle quote stabilite una volta all’anno. Perché una persona deve entrare con un permesso per turismo se deve lavorare? Noi abbiamo 500.000 persone che oggi sono irregolari perché sono in questa condizione: almeno 350.000 cosiddette badanti, assistenti da persone, eccetera. L’incontro tra domanda e offerta di lavoro è una prima risposta fondamentale, con delle regole che partono dalle esigenze, che sono presentate dalle aziende di categoria, che sono regolamentate attraverso anche i patronati e altro. Ma questa è la modalità normale con cui la persona viene tutelata, con cui il suo lavoro genera un bene che è importante anche per la collettività, in cui certamente c’è un’attenzione anche in questo caso a un aspetto che non riusciamo più a gestire con le nostre strutture. Ogni anno 250.000 persone diventano non autosufficienti e noi abbiamo 150.000 posti. Centomila famiglie ogni anno devono trovare qualcuno che stia vicino ai propri cari non più autosufficienti.

 

Un altro passaggio importante è che queste migrazioni hanno fatto arrivare degli studenti che sono entrati nelle nostre scuole. Mediamente questi studenti, secondo le indagini, perdono un anno di scuola. Tutti sulla carta hanno il diritto di entrare in una classe, però se quelle classi sono già state formate, se uno è di un quartiere di Milano e tutte le classi e le scuole sono già piene, deve andare nell’altro quartiere, magari facendo venti chilometri. È quello che è successo a una mamma ucraina che lavorava come badante da un cardinale di 96 anni: ha fatto il ricongiungimento familiare ed è arrivata la sua bambina di sette anni. La mamma, insieme a un operatore, è andata nella scuola più vicina per inserirla. Ha dovuto girare 26 scuole perché tutte le classi erano già formate. Nessuno l’ha accolta. Alla fine, i carabinieri hanno costretto una scuola ad accogliere questa persona perché ne aveva diritto. Però la scuola è a sedici chilometri dall’abitazione di questa famiglia, una mamma sola con una bambina di sette anni. Inoltre, per due anni non si hanno diritti, come il diritto al trasporto eccetera. Questa bambina magari ha trovato qualcuno che la accompagni, ma in un quartiere della periferia di Napoli, un ragazzo di dieci anni che non va a scuola, dove va a finire?

 

A tre ministri della Pubblica istruzione abbiamo suggerito una cosa molto semplice: quando un papà e una mamma vanno a chiedere il ricongiungimento familiare di un bambino che è studente, gli si dia un tagliando con il quale iscriverlo già a scuola, in modo che abbia già una scuola che lo accoglie, perché questo bambino non arriva il 1° settembre o il 15 settembre, quando iniziano le scuole: arriverà quando la questura avrà elaborato la richiesta, ma deve avere una scuola che lo accolga. Questo è il primo segno dell’accoglienza che diventa tutela, che diventa poi valorizzazione della persona, che diventa anche capacità di riconoscere come una cosa importante il tema del ricongiungimento familiare. Oggi la maggior parte dei permessi di soggiorno sono per ricongiungimento familiare. In Italia il ricongiungimento familiare avviene mediamente dopo sei o sette anni, i tempi più lunghi di tutta Europa. Parliamo di famiglia e del valore di famiglia. La sicurezza è maggiore quando una persona ha la sua famiglia.

 

Qual è il problema? Il problema è che i parametri per la casa di una famiglia migrante non sono gli stessi di un cittadino italiano e quindi c’è il rischio, se uno ha tre o quattro figli, che non riesca a trovare una casa e a pagarsela, e proprio per questo tipo di discorso non ha accesso alle case popolari. Perché sempre di più il criterio è la residenzialità. Quindi tanti fanno la domanda ma per questo motivo pochissimi poi la ottengono. E poi ci sono anche le persone, i sindaci che dicono che abbiamo dato le nostre case solo agli italiani.

 

Se vuoi essere un Paese d’attrazione, se vuoi rigenerarti, c’è poi il tema della esperienza religiosa. Di questi cinque milioni di stranieri che sono in Italia un milione e mezzo sono musulmani, un milione e mezzo sono ortodossi, circa 900.000 sono cattolici, 350.000 appartengono alle varie chiese protestanti, poi ci sono 100.000 induisti, 100.000 buddisti, circa mezzo milione di atei, soprattutto provenienti dall’Albania e dalla Cina. Noi abbiamo una legge sulla libertà religiosa ferma al 1939. Forse c’è bisogno anche di accorgersi che questo Paese non ha più soltanto una esperienza religiosa, ma ne ha diverse. E il tema della libertà religiosa, che è un tema su cui poi Oasis è molto impegnata, il tema del confronto, del dialogo religioso ha bisogno di luoghi. Ha bisogno di attenzioni sul piano culturale, anche scolastico, ha bisogno di una serie di aspetti che sono importanti, di politica familiare o altro. Ecco, tutti questi aspetti mancano, soprattutto a chi arriva costretto a fuggire da alcuni Paesi in guerra. Conflitti, cambiamenti climatici e ambientali generano ogni anno cento milioni di migranti, di cui 40.000.000 sono per cambiamenti climatici, cioè persone che non hanno più la terra dove abitare. Ricordate l’appello del Papa per quella piccola comunità che vagava per l’oceano Indiano, perché abitava su un’isola e quell’isola era stata sommersa.

 

Ecco, queste situazioni si stanno moltiplicando: insieme alla desertificazione, stiamo vedendo anche i fatti che stanno avvenendo in Libia, Marocco, Turchia e altri Paesi. Questo tema sarà fondamentale. Quindi il problema è il governo della realtà dell’immigrazione.

 

Come Chiesa italiana, noi cerchiamo di informare con i tre rapporti che facciamo: il rapporto sull’asilo, il rapporto sull’immigrazione degli italiani nel mondo e il rapporto sull’immigrazione danno il quadro ogni anno su questi fenomeni. Cerchiamo di progettare dei servizi nuovi, delle esperienze nuove, non solo guardando al nostro Paese, ma guardando anche ai Paesi di provenienza. Quest’anno, il tema del Papa era «Liberi di partire, liberi di restare». La Chiesa italiana, dal 2017 al 2022 ha fatto 130 progetti proprio per accompagnare le persone nei Paesi di partenza, nei Paesi di passaggio e che vengono verso l’Europa, stanziano 30 milioni di euro solo su questo. In dieci anni la Chiesa italiana con l’otto per mille ha messo a disposizione per i progetti di cooperazione allo sviluppo 800 milioni di euro, senza contare i progetti di ogni singola diocesi attraverso le Caritas diocesane e attraverso i centri missionari. Ricordando a Marsiglia la Populorm Progressio, un documento straordinario, di una straordinaria modernità, il Papa ci diceva «Abbiamo il dovere di accogliere, il dovere di giustizia e il dovere di carità universale, carità come la pienezza della solidarietà e della giustizia».

 

Non si può, dopo quindici anni, essere fermi ancora allo 0,07 % del Pil per la cooperazione allo sviluppo, non siamo ancora arrivati allo 0,20. Non si può spendere il 90% dei soldi della cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese solo per le grandi strutture. Nella Caritas in Veritate Benedetto XVI ci diceva che, come cristiani, dobbiamo essere attenti alle microstrutture e ai microprogetti, più che alle macrostrutture.

 

Il microprogetto è l’accompagnare le persone, dalla scuola alla salute a quei beni che sono essenziali per la propria vita. Il governo delle migrazioni ha questi due sguardi: alla cooperazione allo sviluppo, ma anche a una cooperazione decentrata. La cooperazione decentrata significa valorizzare una presenza che può diventare un domani la risorsa di un Paese che oggi è in difficoltà, come è successo per noi. Negli anni Cinquanta, grazie a personaggi come De Gasperi, il nostro Paese ha potuto muoversi in Europa, in Francia, in Belgio, in Germania – cinque milioni di persone sono andate in Germania. E quando sono tornate queste persone? Negli anni Settanta, quando qui abbiamo ricostruito una vita, un lavoro degno di questo nome.

 

Non si può pretendere che le persone stiano a casa loro, come mi diceva un vescovo della Siria, quando un medico guadagna sei euro al mese e un insegnante tre. Che poi a lavorare non ci vanno perché la benzina costa di più di quello che prendono. Bisogna che il dovere di solidarietà, di giustizia e di carità strutturi effettivamente gli accordi fra Paesi e non semplicemente gli interessi economici o politici di un Paese solo. Come Chiesa cerchiamo di essere dentro questa realtà e leggerla con gli occhi della fede, ma anche con quel realismo che sempre ha caratterizzato la nostra storia.

 

 

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