“Isola della cristianità” e insieme museo di culture e credenze, l'Etiopia rappresenta un caso singolare nella vicenda dei rapporti tra Islam e Cristianesimo

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:49

"Isola della cristianità" e insieme museo di culture e credenze, l'Etiopia (dove oggi la maggioranza è musulmana) rappresenta un caso singolare nella vicenda dei rapporti tra le due grandi religioni. Una storia antichissima che risale da un lato agli Atti degli Apostoli e dall'altro ai primi anni della predicazione di Maometto. E ora offuscata da qualche tensione.

Parlare di “Rispetto reciproco e convivenza pacifica con l’Islam” può suonare un po’ strano in un momento e in una società in cui la minaccia dei terroristi suicidi sembra disseminare ovunque terrore un giorno sì e uno no.

Una volta ho chiesto ad un ambasciatore se nel suo paese fossero presenti degli etiopi. Senza alcuna esitazione, l’ambasciatore mi ha fornito precise statistiche: 200.000 etiopi, la maggior parte dei quali cristiani. Gli ho chiesto quindi, a proposito dei luoghi di culto, se i cristiani avessero mai avuto il diritto di culto nelle loro chiese. La risposta è stata tanto chiara quanto diretta: questo non succederà mai. Avevo a che fare con un paese islamico. Ma nonostante ciò esistono esempi di rispetto reciproco e pacifica convivenza tra Islam e Cristianesimo che possono servire come modello per la società di oggi. L’Etiopia ha qualcosa da offrire quanto a convivenza e rispetto reciproco. Carlo Conti Rossini, un noto storico del Corno d’Africa, ha definito l’Etiopia un museo di culture e credenze religiose.

L’Etiopia è anche conosciuta come l’isola della cristianità in Africa. Infatti, mentre le fiorenti comunità cristiane del Nord Africa sono state spazzate via dall’avanzata dell’Islam nel VII secolo, l’Etiopia è stato l’unico paese dell’Africa che ha conservato fede e tradizione cristiana. Lo spirito di tolleranza cristiana ha consentito ad altre religioni di esistere, tanto che oggi l’Islam rappresenta il 55% della popolazione etiope totale e fino a poco tempo fa il rispetto reciproco e la pacifica convivenza tra cristiani e musulmani sono stati davvero degni di nota.

Questa è l’esperienza che ho avuto personalmente di recente, quando Sua Santità Giovanni Paolo II, di beata memoria, il 25 Novembre 2003 ha costituito dai territori distaccati dell’Arcidiocesi di Addis Abeba l’Eparchia di Emdibir nel Guraghe.

L’Eparchia si estende su un territorio di 9.000 km2, dalla zona di Wolisso nella regione di Oromia fino a quella del Guraghe nel sud della regione. Si stima che su una popolazione di 3.000.000 di persone la maggioranza sia cristiana e circa il 35% sia di religione musulmana. Le relazioni tra musulmani e cristiani fino ad oggi sono per lo più positive. La creazione della nuova Eparchia nelle zone di Wolisso e Guraghe è stata accolta con entusiasmo e speranza sia dai cristiani che dai musulmani. L’accoglienza che ho ricevuto a Emdibir, quando ho fatto il mio ingresso nell’Eparchia il 15 Febbraio 2004, e la cooperazione di cui godo per l’esercizio del mio ministero sono un chiaro segno del rispetto reciproco e della convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.

Rispetto reciproco, libertà di coscienza, luoghi di culto separati, contesti comuni sia in ambito sociale sia in ambito familiare

Musulmani e cristiani hanno senz’altro luoghi di culto separati e tutti sono liberi di seguire i dettami della propria coscienza e del proprio credo religioso. Ma allo stesso tempo la maggior parte delle attività sociali viene portata avanti insieme. Musulmani e cristiani prendono parte insieme a celebrazioni di matrimoni o di funerali, riunioni della corte tradizionale di giustizia, iniziative per la promozione della pace e di assistenza, e a volte, ad alcune celebrazioni religiose come ad esempio il Mesqel, il trionfo della croce. In alcune circostanze, cristiani e musulmani vivono in pace e armonia anche all’interno dello stesso spazio e contesto familiare.

La diffusione della fede cattolica a Emdibir è attribuita a un musulmano convertito, che dopo aver incontrato per caso dei missionari cattolici, ha seguito la propria coscienza divenendo apostolo tra la sua gente e portando avanti per oltre vent’anni il lavoro di evangelizzazione insieme ad alcuni catechisti, senza l’aiuto di sacerdoti stabili. Uno di questi catechisti ha vissuto una vita così esemplare da essere considerato il Santo di Emdibir sia dai musulmani che dai cristiani.

Che origine ha lo spirito di rispetto reciproco e pacifica convivenza?

Islam e Cristianesimo sono le due principali religioni diffuse ovunque in Etiopia ed arrivate nel paese fin dai loro primordi. Secondo la tradizione, il Cristianesimo si diffuse in Etiopia subito dopo che un ministro della Regina Candace si fece battezzare da San Filippo, come ricordato nel capitolo 8 degli Atti degli Apostoli. Tuttavia, sappiamo per certo da fonti storiche attendibili riportate da Rufino (345-410) che fu durante il regno del Re Esana (330 circa) che il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Etiopia, dopo la missione apostolica di due fratelli di Tiro, Frumenzio e Edesio, che arrivarono quasi per caso in Etiopia. Frumenzio fu poi ordinato primo Vescovo d’Etiopia da Sant’Anastasio di Alessandria. Subito dopo, i Nove Santi Romani consolidarono la fede cristiana in Etiopia introducendo la vita monastica e traducendo nella lingua etiope le Scritture e molti altri testi religiosi.

L’Islam dal canto suo si diffuse in Etiopia in seguito all’arrivo nel 615 d.C., cinque anni dopo l’inizio della predicazione pubblica di Maometto, dei suoi seguaci in fuga dalla persecuzione dei Quraysh alla Mecca. Il Profeta Maometto avrebbe detto ai suoi seguaci: «se andate in Abissinia troverete un re (nejashi) sotto il cui regno nessuno è perseguitato. È un regno di giustizia in cui Dio vi farà trovare sollievo da quanto state soffrendo». In quel periodo l’impero di Axum era uno dei più grandi regni conosciuti sulla terra e il suo dominio si estendeva fino all’Arabia meridionale. Si dice che il Re Kaleb, venerato come santo in tutto il regno, in Oriente e in Occidente, abbia organizzato all’inizio del VI secolo una spedizione militare in Yemen per difendere la causa dei cristiani perseguitati. Il Profeta Maometto doveva essere a conoscenza della cultura e tradizione etiope quando suggerì ai suoi seguaci di cercar rifugio in Etiopia.

Ad ogni modo quando l’Islam penetrò in Etiopia, la fede cristiana era già ben consolidata nel regno di Axum, e perciò fu con gran spirito di tolleranza, rispetto e ospitalità che l’Etiopia cristiana accolse i seguaci del Profeta Maometto. Al paese, dopo che i musulmani ricevettero una così buona accoglienza, fu risparmiato il jihad.

Ancora per un certo periodo amichevoli relazioni continuarono tra cristiani e musulmani. Allo stesso tempo si aprì la strada alla penetrazione musulmana, che in Etiopia non ebbe lo stesso devastante impatto che ebbe in Nord Africa, poiché la cristianità etiope era profondamente radicata nella cultura del paese.

Con il passare del tempo la penetrazione musulmana in Etiopia attraverso il Mar Rosso continuò a crescere. Il regno di Axum perse la sua influenza sul Mar Rosso e sulle aree circostanti e con il declino del regno e il sollevarsi di alcuni gruppi etnici pagani l’Etiopia piombò nell’epoca più buia della sua storia. La cristianità per un breve periodo arretrò a causa della persecuzione di una regina pagana di nome Gudit o Esatu; poi con l’ascesa della dinastia Zague nel XII secolo si tornò di nuovo alla normalità. Questo periodo ebbe due diversi effetti: da un lato l’inculturazione del cristianesimo prese la sua forma definitiva, dall’altro si aprì la strada al consolidamento dei sultanati musulmani in Etiopia.

Poiché la Chiesa etiope dipendeva da Alessandria per la nomina dei vescovi e le direttive religiose, l’isolamento a cui era sottoposta divenne il pretesto per successive concessioni alla comunità musulmana. Quando per i cristiani d’Etiopia divenne quasi impossibile recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, a causa del loro stato d’isolamento in mezzo ai musulmani, il Re Lalibela trovò il modo di ricreare la Terra Santa in Etiopia. Il re fece venire artisti di talento a costruire undici chiese scavate nella roccia della città di Roha, in seguito chiamata Lalibela, che oggi sono considerate una delle meraviglie del mondo.

La restaurazione nel 1270 della dinastia salomonica da parte del Re Yekunoamlak coincise con il ripristino della vita monastica. La riforma della vita monastica venne attuata da due guide carismatiche, Abuna Ewostatewos al Nord e Abuna Teklehaimanot al Sud. Il famoso testo del Kibre Neghest che saluta i re etiopi come eredi del trono del Re Salomone e della Regina di Saba vide la luce proprio in questo periodo. A partire da allora Chiesa e Stato hanno unito le proprie forze nella difesa della fede cristiana, e così è stato fino all’Imperatore Hailesellassie, l’ultimo re della dinastia salomonica detronizzato dal regime comunista nel 1974.

Dall’epoca della restaurazione della dinastia salomonica ogni tentativo di attacco alla fede cristiana in Etiopia fu combattuto militarmente. La spedizione militare del Re Amdezion contro i sultani vicini è ben ricordata nelle sue stesse cronache (1330). Il Re Zer’a Yakob (1438-1468) contribuì enormemente alla riforma della Chiesa, con degli effetti che si sentono ancora oggi. Il re vanta al suo attivo molti trattati teologici, di disciplina e devozione, e fece tutto il possibile per sradicare i movimenti eretici.

C’è stato un breve momento in cui sembrava che l’Etiopia avesse perso ogni speranza di sopravvivenza. Durante la prima metà del XVI secolo Mohammed Gragn (il mancino), devastò l’intero paese, distrusse chiese, bruciò manoscritti, uccise i cristiani. L’Etiopia era al limite del collasso, quando l’esercito portoghese venne in soccorso del regno cristiano. Insieme all’esercito portoghese entrarono in Etiopia, come cappellani, anche dei missionari gesuiti che portarono a termine con successo la loro missione. Pedro Pais riuscì a convincere l’imperatore d’Etiopia Susenio a firmare un decreto d’unione con Roma. Sfortunatamente però il poco rispetto che i missionari gesuiti dimostrano per il rito, la cultura e la tradizione etiope provocò una dura reazione, e la fede cattolica venne bandita dal paese per 200 anni. Molti missionari francescani che tentarono di ristabilire il cattolicesimo in Etiopia pagarono con la vita. I sintomi della reazione spropositata della Chiesa Ortodossa etiope Tewahdo nei confronti della Chiesa Cattolica si sentono ancora ai giorni nostri e, per quanto possa sembrare strano, le persone tendono a vedere l’Islam come un male minore.

Una volta passata la minaccia musulmana del XVI secolo, l’Etiopia cristiana ha accettato di convivere pacificamente insieme all’Islam.

Durante il periodo coloniale, l’Islam ha trovato terreno fertile per l’espansione pacifica. L’imperatore Hailesellassie, capo della Chiesa Ortodossa etiope Tewahdo, concesse ampie libertà, ed ebbe rispetto anche della comunità musulmana. Involontariamente poi il regime comunista fu causa di un rinnovamento spirituale sia tra i musulmani che tra i cristiani.

Mentre la guerriglia aveva paralizzato le istituzioni governative soprattutto nel nord del paese, cristiani e musulmani unirono le proprie forze in un’opera di soccorsi e aiuti.

Oggi con la separazione tra Stato e Chiesa, la diffusione dei movimenti religiosi si è notevolmente estesa. Contemporaneamente la Chiesa Ortodossa etiope Tewahdo e la comunità musulmana si danno molto da fare per affermare la loro specifica identità.

Sebbene le relazioni tra cristiani e musulmani siano ancora buone, segni di insoddisfazione si sentono da entrambe le parti. La comunità cristiana si sente in un certo senso inerme di fronte alla sempre maggior espansione dell’Islam, mentre la comunità musulmana si lamenta della definizione dell’Etiopia come “isola della cristianità”, definizione che non tiene in giusto conto la sua significativa presenza. Le tensioni tra le due comunità sono cresciute in questi ultimi anni. Qualche anno fa il Sindaco di Addis Abeba è stato rimosso dal suo incarico perché accusato di aver agevolato la creazione di 80 luoghi di culto per i musulmani. Il fatto ha dato origine a fenomeni di tensione e violenza in entrambe le comunità della capitale e di altre città.

Nonostante tutto, l’Etiopia ha ancora un grande potenziale, radicato profondamente nella sua storia, per la costruzione di una società buona dove tutte le religioni possano vivere insieme una a fianco a dell’altra in armonia e pace. Il rispetto reciproco e la convivenza pacifica sono l’unica via civile verso il futuro.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Musie Ghebreghiorghis, Molti re, poche guerre e una lunga convivenza, «Oasis», anno II, n. 3, marzo 2006, pp. 106-108.

 

Riferimento al formato digitale:

Musie Ghebreghiorghis, Molti re, poche guerre e una lunga convivenza, «Oasis» [online], pubblicato il 1 marzo 2006, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/molti-re-poche-guerre-e-una-lunga-convivenza.

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