Sono stati identificati con la generazione hippie, ma sono molto di più. La loro musica infatti è un distillato di “marocchinità”, che attinge a un patrimonio ricchissimo di stili e suoni, prestandosi a diversi livelli di lettura, dalla protesta politica alla passione estatica
Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:01:50
Marocco, anni ’70. Dopo una sofferta indipendenza ottenuta negli anni ’50 e il breve regno di Mohammed V, il primo decennio di potere di Hassan II (succeduto al padre nel 1961) è altrettanto turbolento, caratterizzato da rivolte popolari, omicidi, attentati, tentativi di colpo di stato, desaparecidos e un clima di paura e paranoia generale. In parallelo, ma su tutt’altro tono, in questi “anni di piombo” (sanawāt al-rasās), le spiagge del sud del Marocco si riempivano di hippie e musicisti del calibro di Jimi Hendrix, Frank Zappa e Cat Stevens.
In questo Marocco, così fervente sia a livello politico che culturale, in un mondo arabo altrettanto in subbuglio, c’era un quartiere periferico di Casablanca particolarmente vivo, quello di Hayy Mohammed, un miscuglio di etnie e folclori da tutto il Marocco, di famiglie contadine e suburbane in cerca di lavoro nel moderno settore industriale della nuova capitale economica. I Nass el Ghiwane sono i figli talentuosi di tutto questo, e in particolare di questo quartiere (awlād al-hayy).[1]
All’inizio non erano conosciuti come Nass el Ghiwane: un certo Ali al-Kadiri[2] li aveva ribattezzati i New Dervishes (“i nuovi dervisci”), e voleva indirizzarli (anche nel modo di vestire) verso il fenomeno hippie occidentale, che tanto andava di moda all’epoca. In disaccordo, i membri del gruppo optarono presto per una decisa “marocchinità” a partire proprio dal loro nome, di difficile traduzione, che pesca da tradizioni ancestrali del Marocco profondo.[3]
Insomma, dopo qualche buona esibizione (il ristorante Nautilus, la Casa della Gioventù, il Café Theatre) e dopo aver collaborato come musicisti agli spettacoli teatrali al Harraz e al Majdhoub[4] di Tayeb Essidiki, colui che diverrà tra i più celebri drammaturghi marocchini del secolo scorso,[5] approdano al Teatro Nazionale Mohamed V di Rabat: lì, una sera di giugno del 1971 il pubblico si rifiuta categoricamente di ascoltare l’orchestra della radio e televisione marocchina (RTM), obbligando i Nass el Ghiwane a rimanere sul palco. È l’inizio della leggenda.[6]
Non c’è spazio qui per ricostruire la ricca discografia del gruppo né il travagliato susseguirsi dei suoi membri (che conferma come dietro al loro nome vi sia più della somma dei singoli artisti). Provo però a ipotizzare quale sia stata la formula vincente del gruppo, che riassumerei nella parola “sintesi” senza compromessi.
Così come i componenti della band, così i loro strumenti (hajhuj, bendir o tbilat, tamtam, darbuka, guembri o sintir, con qualche aggiunta di banjo) sono la sintesi della varietà sonica del Marocco.
Allo stesso modo, la loro incantevole fusione di tanti stili musicali è la sintesi della storia e della geografica del Paese maghrebino: dall’aïta (lett. “grido” o “chiamata”, un canto strofico in arabo marocchino tipico delle pianure atlantiche, che varia da temi politico-sociali a lamenti per amori infelici, come nella loro Echems Ettalaa), al melhoun (antica poesia melodica, in origine beduina poi urbanizzatasi, come in Han Wa chfak), al gnawa (musica pentatonica rituale portata in Marocco dagli schiavi subsahariani, come la loro Ghir Khoudouni), l’aissaoui devozionale del Sahara o le litanie sufi degli hamadcha (come in Laayate Alik), le influenze berbere e ben altro ancora.
Insomma, i Nass el Ghiwane fanno parte, come dice il loro nome, della “gente” (nass). Sono “i figli del popolo” (Tahar Ben Jelloun dixit), immersi nella realtà marocchina, con testi in un complesso dialetto poetico che ricorda i boughanim, troubadours berberi dell’Alto Atlante (qui in azione) e che come questi ultimi tramanda la saggezza orale del popolo, la cosiddetta eredità materna, sotto forma di favole-pamphlet con una punta di modernità disincantata e ribelle.
La loro è proprio una voce “popolare”, franca e vivace, impegnata, poetica, ribelle, critica contro la miseria morale e materiale, allusiva e di dissenso sì, ma mai apertamente politica.
In effetti, i Nass el Ghiwane non si sono mai definiti “politici”, fatto che ha certamente permesso loro di cantare più o meno liberamente in un contesto dove i dissidenti facevano presto a scomparire, guadagnandosi addirittura la stima di Hassan II e del figlio Mohammed VI. Parafrasando un’intervista a Omar Sayyed, attuale leader del gruppo, si può dire che le canzoni dei Nass el Ghiwane erano solo il grido onesto di un mendicante che non spera di ottenere nulla. Questo non ha però frenato le numerose letture politiche del loro repertorio e la ripresa di alcune loro canzoni, durante la timida primavera araba marocchina.
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Numerosi gli artisti che si sono ispirati a loro (in particolare Lemchaheb e Cheb Khaled), tanti i documentari (su tutti il cult Trances/El-Hāl di Ahmed El Maanouni, restaurato grazie anche alla Cineteca di Bologna), tante le parole di elogio da personaggi del calibro di Martin Scorsese, che volle la loro canzone Ya Sah (“O Fratello”, dedicata a Boujmiî, primo membro del gruppo a scomparire prematuramente) nella colonna sonora del suo film L’ultima tentazione di Cristo (1988).
Il loro repertorio è vasto: spesso il tema amoroso, gli appelli all’uguaglianza e alla fratellanza universale, la critica sociale e la politica si mischiano inevitabilmente, come in Wa-anādī anā (“E io grido”), Fine Ghadi Biya Khouya (“Dove mi stai portando, fratello?”) o l’intramontabile Mahmouma (“Tormento”);[7] ci sono poi canzoni dedicate a temi specifici come Essamta (“La cintura”) sulle morti nello stretto di Gibilterra o Sabra wa Chatila sul massacro avvenuto in Libano nel 1982; oppure brani apparentemente spensierati (ma dal forte contenuto allusivo!) sui gatti, sulle api, sulle pulci e sui vassoi del tè, o ancora canzoni dai toni devozionali dedicate al Profeta Muhammad. Di recente, hanno pubblicato una canzone in lingua Tamazight, un brano che suona come un appello alla pace universale e uno sulle primavere arabe.
Di “primavera” però, avevano già parlato nel 1972, nel “classico” che vi presentiamo oggi, in perfetto equilibrio tra la loro vena più social-popolare di Nass e quella più ascetico-mistica di Ghiwane. Leggenda narra che, mentre lo stavano eseguendo, vennero interrotti dalla polizia, che chiese di spiegare le allusioni presenti nel testo.
I Rolling Stones dell’Africa o i Beatles marocchini? Ancora una volta, la palese inadeguatezza delle nostre descrizioni non fa altro che sottolineare l’eccezionalità dei Nass el Ghiwane, che vi invitiamo a respirare anche attraverso la loro fortissima presenza scenica.
Buon tarab e buona visione!
Canzone: Subhān Allāh sifnā wlā shtwa
Artista: Nass el Ghiwane
Data di uscita: 1971–1972
Nazionalità: Marocco
[Qui tutte le puntate di T-Arab]
Trovate il testo della canzone scorrendo verso il basso
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Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno
Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno[8]
E la primavera di questo Paese è divenuta un autunno
Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno
E la primavera di questo Paese è divenuta un autunno
I giorni sono trascorsi, sopraffatti dalla negligenza più totale
E l’ordine è divenuto inspiegabilmente caos. [9]
Mi dico, sorpreso, “la religione non è più così forte,
e si è indebolita la fede di noi arabi!”.[10]
I sionisti sono diventati molto potenti e tirannici
E quando abbiamo accettato le loro umiliazioni, il Medio Oriente è divenuto cieco.[11]
Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno
E la primavera di questo Paese è divenuta un autunno
La tirannia dei governanti ci ha procurato stanchezza e asperità
Non abbiamo pace e il popolo vive nella miseria e nei soprusi.[12]
Nessuno dei responsabili accetta di ascoltare il grido del popolo[13]
o servire [con giustizia] senza tradire [il popolo] e senza compiacere gli ordini [dei superiori]?
L’autorità farebbe di tutto per prendersi qualche mazzetta
E il testimone distorcerebbe la verità di ciò che ha visto
Capisci bene il senso di quel che ti dico, abbraccialo, traine vantaggio, placa la tua sete!
Questo è il segreto dell’essenza nella sua forma più pura e vera.[14]
Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno
E la primavera di questo Paese è divenuta un autunno
Per Dio! La nostra estate si è tramutata in inverno
E la primavera di questo Paese è divenuta un autunno
O i miei occhi! Avete versato così tante lacrime
e ho sopportato così tanto dolore.
O i miei occhi! Avete versato così tante lacrime
e ho sopportato così tanto dolore.
Quello che sta succedendo mi opprime, mi scuote
e mi lascia senza speranza
Quello che sta succedendo mi opprime, mi scuote
e mi lascia senza speranza
Per Dio! A coloro che me lo chiedono dico
Non cercate l’impossibile!
Me lo si può leggere in faccia![15]
Niente mi interessa più![16]
La morte è il mio destino.[17]
سبحان الله صيفنا ولّى شتوة
سبحان الله صيفنا ولّى شتوة
ورجع فصل الربيع في البلدان خريف
سبحان الله صيفنا ولّى شتوة
ورجع فصل الربيع في البلدان خريف
ومضت أيامنا وسرقتنا سهوة
وتخلطت الديان شلّى ليك نصيف
قلت أعجبي أضحت في الدين الرخوة
ولّى الإيمان عندنا في العرب ضعيف
الصّهيون في غاية العلو دركوا سطوة
وقبلنا ذلّهم عاد الشرق كفيف
سبحان الله صيفنا ولّى شتوة
ورجع فصل الربيع في البلدان خريف
جُور الحكّام زادنا تعب وقسوة
لا راحة والعباد في نكدّ وتعسيف
ولا تلقى عديل كا يقبل شكوى
يبلّغ ما يخون وما يرضى تكليف
والحاكم تا يصول تا يقبض الرشوة
والشاهد كا يدير في الشهادة تحريف
افهم المعنى وعيق واستفد واروى
هذا سرّ الكنان ما رامه تصحيف
سبحان الله صيفنا ولّى شتوة
ورجع فصل الربيع في البلدان خريف
يِكفاك ذا البكا يا عيني
يكفاك هم ذا الحال
يِكفاك ذا البكا يا عيني
يكفاك هم ذا الحال
الظرف غشمني ولاحني
ما بقى لي أمال
الظرف غشمني ولاحني
ما بقى لي أمال
لله يللي تسألني لا تطالب المحال
قصّتي واضحة في جبيني
ما بقت رغبة تلهيني
على الفراق عوّال